37.

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I suoi occhi mi stanno letteralmente penetrando l'anima. Mi sento esattamente come il primo giorno in cui l'ho incontrato.
Non scorderò mai quanto fosse pungente il suo sguardo mentre attraversavo la sala riunioni. Mi stringo nel cappotto come a volermi nascondere, e lui lo nota.
La sua barba è più lunga, anche se sempre ben curata. I capelli corti, con il solito taglio ordinato. Il suo corpo però, è diverso.
È più muscoloso, più massiccio. Indossa un maglione bianco che lo fascia dolcemente e dei pantaloni marrone scuro. È un cambiamento appena percettibile; Sono sicura che solo chi lo ha visto nudo possa notarlo.
Non credo si possa essere più belli di così.
Sono ancora impalata sulla porta, i piedi sui tacchi degli stivali che protestano.
"Oh si, infatti è qui il tuo telefono." Dice Brad indicandolo.
È ancora poggiato al camino.
"Vieni Vic, non stare lì impalata". Mi dice Mike sorridendomi.
Cerco subito Alex con lo sguardo, che accorre in mio soccorso.
Viene verso di me a passo svelto.
"Beviamo qualcosa insieme." Mi dice a bassa voce.
"Voglio andare via." Dico in un sussurro.
"Ormai sei qui Vic. Se vai via ora, domani sarà solo peggio." Risponde.
Già, se ora fuggo domani dovrò comunque affrontarlo durante l'allenamento. E no, non sarò più pronta di adesso.
"Non ce la faccio.." dico ad Alex.
"Invece sì." Risponde.
Neymar sembra intuire il mio disagio, perché torna a darmi le spalle riprendendo il discorso con gli altri, concedendomi un momento di pace dal suo sguardo.
Bene, emetto un sospiro di sollievo.
Forse Alex ha ragione; affrontare il primo incontro con Neymar fuori dal campo può essere l'idea migliore. Qui non ho nessun vincolo contrattuale. Posso andare via come e quando voglio.
Mi faccio coraggio e do il cappotto ad Alex, che insieme alla mia borsa va a poggiare dall'altra parte della stanza.
Mi sento nuda e vulnerabile. Tuttavia riesco a realizzare che questo atteggiamento da cerbiatta ferita non mi porterà da nessuna parte. Ho vissuto ventisei anni dentro una corazza, e posso tranquillamente rientrarci.
Mi schiarisco la gola e raggiungo il gruppo al centro della stanza.
I miei occhi squadrano la tavola che qualche ora prima ho imbandito, alla ricerca di qualcosa di serio da bere. Trovo ancora poggiato il calice di vino che ho trangugiato prima.
Bene, lo raggiungo e vado in cucina a riempirlo.
La bottiglia è sempre allo stesso posto.
Faccio un sorso, prendo un bel respiro e sono pronta.
Quando rientro in sala da pranzo i ragazzi si sono messi comodi; Neymar ha messo la valigia in un angolo della stanza e adesso sta mangiando in piedi accanto a Mike.
Lo so che i suoi occhi mi cercano continuamente; anche se lui non vuole farlo notare, io me ne accorgo.
Li raggiungo camminando con sicurezza.
Neymar ora mi fissa senza nasconderlo.
"Ti trovo bene." Dico, e fortunatamente la mia voce non mi tradisce.
"Posso dire lo stesso." Risponde. La sua voce è un richiamo per la mia anima. Mi mancava, mi mancava così tanto.
Mike sorride guardandoci prima l'uno poi l'altra. Sembra una madre orgogliosa che osserva i figli fare pace.
"Sei stato bene?" Chiedo schiarendomi la gola.
Mi guarda negli occhi qualche istante, rimanendo in silenzio per una manciata di secondi.
"Si. Giocare in Premier League è stato molto stimolante". Risponde.
Quando dice stimolante i suoi occhi fanno una discesa veloce sul mio corpo, per poi tornare al mio viso.
Sorrido.
"Ne sono felice". Gli dico.
E lo sono davvero. Sono felice che questi sei mesi sia stato bene.
"Hai tagliato i capelli." Dice subito, andando sul personale. Avrei preferito tenere la conversazione sul lavoro e basta.
"Si.. ero stufa. Troppo difficili da gestire". Rispondo sorridendo.
Lui allunga la mano libera, e mentre tutti nella stanza tratteniamo il fiato, mi sfiora le punte dei capelli. Poi mi mette una ciocca dietro l'orecchio destro.
Subito e visibilmente la mia pelle si riempie di brividi. Il suo tocco non smette ancora di farmi questo effetto.
"Ti stanno bene." Mi dice con tono morbido.
Le farfalle che ormai credevo morte di vecchiaia nel mio stomaco, riprendono a svolazzare dispettose.
Quando ritrae la mano io sono ancora di cemento di fronte a lui.
Sento alle mie spalle il vociare sollevarsi di nuovo.
Fingo di essere impassibile e mi vuoto il bicchiere di vino in bocca.
Purtroppo però, non lo sono realmente.
Ho il bisogno di... vado verso l'uscita a passo spedito.
Mi chiudo la porta alle spalle e mi siedo su un muretto costruito da supporto alla struttura.
Ho lasciato il cappotto dentro. Sento freddo ora.
Meglio, mi fa bene.
Poggio le mani sulle ginocchia e piego la testa in avanti. I capelli corti mi ricadono sul viso.
Perché sono così? Perché non riesco a fare finta di nulla? Perché non riesco ad andare avanti?
Cerco freneticamente nelle tresche posteriori dei pantaloni. Avevo conservato un ultimissima sigaretta nel pacchetto. Ho promesso a Mike di non fumarne mai più; ma sapevo che in occasioni come questa mi sarebbe servita l'ultima.
Purtroppo però non la trovo.
Sbuffo scoraggiata. La mia vita è un casino di merda e la felicità è solo un miraggio per me.
Elaborando questa triste verità, non mi accorgo subito che qualcosa è stato poggiato sulle mie spalle.
Quando realizzo e mi volto, Neymar è dietro di me.
Un giubbotto pesante, impregnato del suo inconfondibile profumo mi copre dal freddo.
Lui scavalca il muretto e si siede accanto a me.
Mi guardo intorno intercettando tutte le vie di fuga possibili.
"Ho mentito." Se ne esce dal nulla.
Io rimango in silenzio con il cuore che batte appena.
"Non ti trovo bene Victoria. Per niente". Dice.
Mi stringo il suo giubbotto addosso mentre il freddo fa condensare il mio respiro.
Non sentivo pronunciare il mio nome per intero da lui ... da mesi. Mi mancava.
Alzo lo sguardo ad incontrare il suo e tremo, ma sta volta la temperatura non c'entra niente.
"Io sto benissimo." Rispondo.
"Si per chi se la beve. Non io però." Dice.
Abbasso lo sguardo sul vialetto; una leggera patina si sta formando sopra. Sta notte ghiaccerà sicuramente.
"Sei .. troppo magra. Stanca. Il tuo viso è .. triste." Spiega fermandosi a tratti.
Le lacrime mi salgono subito agli occhi.
Spero che il freddo congeli anche quelle.
Purtroppo non succede, quindi con la manica del maglione le spazzo via in una frazione di secondo, sperando che non se ne sia accorto.
Mi schiarisco la voce.
"È il freddo." Dico. Sono fuori da un paio di minuti. Probabilmente avrò il naso rosso e le labbra violacee.
Lui ride, ma non è divertito. È più una risata esasperata.
"Prendi in giro gli altri non me." Il suo tono è brusco.
"Perché sei sparita?" Mi chiede e so che si riferisce alle chiamate alle quali non ho risposto.
Faccio spallucce.
È il momento della verità. Victoria non sei una codarda.
"Avevo paura che non saresti tornato mai più. Per questo quando mi hai detto del prestito ho reagito così. Se non fossi tornato mai più? Volevo solo aprire il paracadute prima di toccare terra." Finalmente ritrovo la parola, anche se la metafora che utilizzo non è di senso compiuto.
"Mai più? Ti avevo detto che sarebbero stati solo sei mesi." Protesta.
Anche il suo naso è rosso, e il suo respiro si condensa mentre parla.
Mi avvicino a lui e gli metto addosso metà del giubbotto che mi ha prestato.
Siamo così vicini che le nostre spalle si toccano.
"So come funzionano i prestiti. E so come funziona quando si gioca in un campionato nuovo, diverso." Dico.
Lui è rigido accanto a me, sta sulle spine.
"Pensavi che mi sarei innamorato dell'Inghilterra e non sarei tornato più?" Chiede.
"Era una possibilità." Rispondo.
Stiamo tremando entrambi, così lui allarga il braccio a contatto con me e me lo passa attorno al corpo, poi mi attrae a lui e mi cinge anche con l'altra mano.
"Non protesto solo perché fa freddo." Dico riferendomi al suo gesto.
Anche se non è vero. Io rimarrei qui anche mentre il gelo mi cristallizza le ciglia pur di non staccarmi da lui.
Il suo calore è familiare, il suo profumo è l'odore di casa per me.
Lui ride e la risata gli rimbomba nel petto.
"Io non sarei mai rimasto lì Victoria. Io sarei sempre tornato da te. Ma tu mi hai tagliato fuori.. non mi hai fatto nemmeno spiegare". Si lamenta.
"Io .. mi rendo conto che certe volte non riesco a riflettere bene. E solitamente sono le volte in cui si parla di te". Il vino e il freddo insieme mi fanno uno strano effetto.
"In questi mesi.. tu.. hai.." non so cosa sta cercando di domandarmi, quindi rimango in attesa che completi la frase.
"Hai visto qualcuno? Frequentato qualcuno?" Mi chiede con tono incerto.
Rido nervosamente.
"Il tuo problema è questo? Se ho scopato con qualcuno mentre eri via?" Dico arrabbiata.
"E tu? Tu Neymar? Hai scopato con qualcuna? Il playboy di qualche tempo fa ha ripreso a vivere in Inghilterra?" Lo canzono.
"Rispondi." Dice arrabbiato.
Mi alzo lasciando la parte di giubbotto che mi copriva le spalle cadere.
Il freddo mi colpisce subito.
"Sai cosa c'è? Sono stati sei mesi di merda. Uno schifo. E no, sinceramente non ho avuto voglia di scopare con nessuno." Dico con il tono leggermente più alto di poco fa.
I suoi occhi si sgranano appena.
"Ma credi che io invece mi sia divertito? Credi che sia stato bello stare senza di te?" Mi risponde alzandosi.
Il suo giubbotto cade a terra.
"Non lo posso sapere." Ribatto.
"Beh te lo sto dicendo io. Victoria, io non vedevo l'ora che quel fottuto prestito giungesse al termine per poter tornare da te. Che ti sia chiaro una volta per tutte. Io non ho mai pensato di rimanere lì, neanche un giorno di più." Adesso sta urlando.
Mi guardo intorno; sicuramente ci staranno sentendo da dentro.
Non è il luogo ne il momento per questa discussione.
Però il mio cuore adesso è più leggero. Lui voleva tornare da me. Lui voleva stare con me.
"E se tu fossi stata meno traumatizzata da questa cazzo di vita bastarda che hai avuto, lo avresti capito subito." Mi rimprovera.
È duro, le sue parole sono severe. Traumatizzata. È così che sono?
Anche lui deve pentirsi subito del tono che ha usato perché socchiude gli occhi strizzandoli un paio di secondi.
"Io .. non volevo dire.." cerca di sistemare.
"Hai detto benissimo. Tranquillo." Lo incalzo.
Io sono traumatizzata, e questo si ripercuote sulla mia vita privata.
Faccio qualche passo indietro.
Sento la porta spalancarsi. Alex arriva come un avvoltoio.
Mi mette il mio capotto sulle spalle e mi passa un braccio attorno.
Il suo tocco non è come quello di Neymar.
Sono scossa, e sto riflettendo sulle sue parole.
"Andiamo." Mi dice Alex.
Il mio corpo troppo stanco non si oppone;
Neymar lo sta guardando truce.
"Stiamo parlando." Dice ad Alex.
"Non più. Per oggi ti sei giocato la tua possibilità". Risponde Alex trascinandomi via.
Mi accompagna alla mia auto e mi porge le chiavi e la borsa.
"Ce la fai a guidare?" Mi chiede.
No. Assolutamente. Ma non voglio che lui guidi la mia auto. Non voglio che la guidi nessuno tranne...
"Si." Rispondo prima di concludere il pensiero.
"Vai piano la strada sta ghiacciando." Mi dice.
Annuisco, ma con la testa non ci sono proprio.
"Mi raccomando." Aggiunge.
Chiudo la portiera dell'auto e metto in moto.
Guardo il quadrante, il cambio, ma tutto attorno a me sembra sfocato.
Scorgo Alex ancora fermo fuori nello stesso punto.
Non voglio che si proponga di accompagnarmi.
Ingrano la retromarcia e facendo appello all'ultimo briciolo di sanità mentale che mi rimane, vado via.

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