Capitolo 41

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«In questi ultimi tempi io ed Elizabeth ci siamo viste spesso e abbiamo avuto modo anche di parlare di... questo, ecco. Mi ha accennato qualcosa... hanno subito un trauma grosso.»
Bevo un sorso del tè caldo che mi ha preparato mia madre. Lei sfoglia la rivista, ma alza gli occhi non appena conclude la frase. Anche lei è rimasta colpita, ma scommetto la metà di me. Scarlett mi ha raccontato praticamente tutta la storia e il resto della notte l'abbiamo passata abbracciandoci, incapaci di dire altro come se quelle parole avessero svuotato entrambe. La differenza abissale è che la mia amica l'ha vissuto, questo incubo, a me è stato solo raccontato.
«Ho cercato di mascherare il più possibile la mia reazione... voglio dire, non me lo sarei mai aspettata. Sono così care entrambe, neanche da immaginarsela una disgrazia del genere.» Sospira, incrociando le braccia al petto.
La cruda realtà è quella che molto spesso non vediamo, quella che ci viene nascosta. Pensiamo che chi ha i soldi, una villa e un sorriso sul volto, viva la vita migliore di chiunque altro, che tutto sia leggero, senza nessun peso da portarsi sulle spalle. Ma la verità è che niente è come sembra e ciò che ci inganna di più è l'apparenza.

Doveva solo essere aiutato perché lui aveva perso tutto quanto...  Scrisse un biglietto dicendoci di non chiamare la polizia, di non cercarlo e rispettammo la sua decisione...
Ripenso a quanto mi ha detto Scarlett riguardo al fratello adottivo, mi chiedo chi sia veramente. Non puoi essere tu Kyle, non ci voglio nemmeno pensare.
Continuo a camminare diretta al parco, verso quell'unica panchina che sembra aspettarmi, uno dei pochi luoghi nel quale riesco a riflettere. Il freddo mi riscuote, ma i brividi sono provocati da tutt'altro. Kyle l'ho incontrato la prima volta nel giardino di Scar, ma se fosse realmente scappato, due anni fa, perché tornare? Perché rischiare di esser visto? Perché cercare lavoro nella stessa città e non altrove?
Non posso pensare che il ragazzo che mi occupa i pensieri sia proprio quel fratello adottivo al quale non hai ancora dato nome, non posso credere che sia proprio quel bambino che aveva perso tutto, Scar.
Scuoto la testa, convincendomi che non c'entri niente in questa brutta storia, ma non posso ignorare l'evidenza.
Mi siedo, il ferro che è freddo quanto il clima di questo pomeriggio, il cielo grigio e nuvoloso, triste, malinconico. Non ci sono bambini in giro e lascio che il silenzio si faccia largo dentro di me, con la speranza di liberarmi da pensieri opprimenti, domande che mi pongo da ieri sera senza sosta.
Non puoi essere tu quel ragazzo sedicenne, quel bambino che aveva bisogno di essere accolto in una famiglia che non aveva più. Non puoi farmi questo, non ora che mi sono affezionata a te. Non puoi tenerti dentro un segreto così grande, avermi mentito per tutto questo tempo.
Una fogliolina cade sulle mie gambe fasciate da leggins neri, la prendo tra le mani proprio come ho fatto ieri con la foto: lentamente, con circospezione, dolcemente. La osservo alla ricerca vana di qualcosa che, tant'è, non trovo mai. La guardo e mi chiedo da che albero sia caduta, da dove provenga. Perché io, di te, non so quasi nulla del tuo passato, non me ne hai mai parlato.
La sciarpa si stringe attorno al collo, ma il respiro mi manca perché non sento più niente, la testa gira e non ho la forza di sorreggere questa foglia proveniente da chissà dove. La lascio volteggiare col vento, prima che si adagi sul terreno umido, freddo, screpolato come lo sono le mie labbra.
«Non è bene uscire con questo tempaccio.» Si siede accanto a me. Sembra conoscermi talmente bene da saper dove trovarmi. Il fatto è che ora non volevo essere trovata, non volevo che i suoi occhi vedessero la confusione nei miei.
«Hai appena fatto la stessa cosa.» Accenno un sorriso, guardandomi le mani che maneggiano un bottone del cappotto. Non ho il coraggio di guardarlo.
«Cos'hai?»
Mi chiedi semplicemente 'cos'hai'. Forse è l'unica domanda alla quale non so rispondere per la confusione che ho dentro, l'uragano che mi stravolge ogni minuto che passa. Forse è l'ultima domanda che avrei voluto sentir sussurrare dalle tue labbra, ma sai esattamente cosa chiedermi. Sai benissimo quando le cose non vanno e hai il coraggio di restare ad ascoltarmi. Hai il coraggio di sederti accanto ad una ragazza che ha più domande che risposte, più difficoltà che altro, più caos che nitidezza tra i pensieri. Resti anche quando so che vorresti scappare. Resti spogliandoti del tuo orgoglio, mettendoti a nudo, esponendoti come lo sono io. Mi chiedi semplicemente 'cos'hai' e me lo sbatti in faccia. Me lo dici il più chiaramente possibile che mi hai capita, che mi stai leggendo dentro ancor prima che ti dia il permesso. Me lo sussurri all'orecchio, mi guardi toccandomi con la stessa dolcezza di quando i polpastrelli accarezzano le corde di una chitarra. Lo fai senza vergogna. E me lo dici. Me lo gridi aspettandoti una risposta.
«Avevo bisogno d'aria.» Faccio spallucce, sistemandomi meglio i guanti che mi ha prestato mamma. Mi limito a fargli intendere che voglio cambiare argomento.
«Cazzate.» Una piccola risata priva di alcun sentimento esce dalle sue labbra. La condensa ci avvolge: quella dei sussurri, dei respiri che si fondono l'uno con l'altro.
«Sto bene, davvero...» Cerco di essere il più convincente possibile, fissando la suola delle scarpe sul cemento che ha lo stesso colore del cielo sopra le nostre teste.
Mi prende il mento tra due dita e mi obbliga a guardarlo negli occhi. Incontro quegli smeraldi che mi fanno soffrire all'idea che sia proprio lui quel bambino, al solo pensiero di averlo avuto accanto per così tanto tempo senza che me ne accorgessi. Fuggo dalla verità, è quello che sto facendo. Mormora lentamente: «Cos'hai?» Di nuovo, con lo stesso tono sicuro, con le vibrazioni calde che mi fanno tremare sotto il suo tocco.
Sento il freddo sulla faccia, ma le sue dita, nell'esatto punto in cui mi sorregge, bruciano sulla pelle. Mi tocca con la dolcezza di un bambino, mi scava dentro con la razionalità di un adulto.
Chiudo gli occhi, prendendo un bel respiro. «Perché restare, quando si desidera soltanto scappare?»
Appena riapro le palpebre la sua espressione è mista di confusione e qualcosa che mi squarcia. Sgretolo sotto le sue dita.
«A volte si sente il bisogno di scappare con la mente, non per forza da un posto all'altro.» Abbassa lo sguardo, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, la schiena che si appoggia alla panchina spoglia.
Lo osservo attentamente, analizzando quelle parole che sembrava le volesse gridare al mondo intero, ma allo stesso tempo sussurrarle alla foglia che si trova ai miei piedi.
Stai capendo ora? Non so come interpretare il tuo silenzio, non so a cosa tu stia pensando. Parlami, dimmelo che non sei il fratello di Scarlett, gridamelo in faccia con tutto il fiato che hai e risvegliamoci da questo incubo. Non posso pensare che tu abbia sofferto in quel modo, non lo voglio accettare. Sono fin troppo sensibile per una cosa che nemmeno mi riguarda, lo so. Trovo che l'essere sensibile renda l'uomo vero, puro e reale.

Comincio ad avere freddo sul serio, non so più neanche io la ragione.
«Avvicinati, stai tremando.» Ti limiti a dirmi, ma il fatto che tu un po' ci tenga a me, fa piacere. Mi scalda il cuore sapere di avere accanto un uomo al quale importa sapere come mi senta, che si preoccupi di trattenermi nel suo abbraccio ogni volta che è possibile. Perché tu forse dai per scontate molte cose, ma la dolcezza con cui mi spogli da tutto ciò che mi rende insicura, l'audacia con la quale decidi cosa è meglio per me e l'iniziativa di assicurarti che io stia bene... mi lascia senza respiro.
Non voglio solo il suo braccio attorno alle mie spalle, voglio che mi inglobi perfettamente in lui. Mi siedo sulle sue gambe, lasciando che mi stringa da entrambi i lati, che mi faccia sentire al sicuro quando vedo crollarmi le cose addosso per tutto ciò che sto scoprendo mentre entro nel suo mondo. Perché mi hai stravolto la vita, che tu lo voglia o no.
Restiamo fermi per diverso tempo, senza aver il coraggio di dire altro, abbandonando i nostri corpi che parlano tra loro, quando, di parole, non ne abbiamo più. Restiamo insieme come se domani non ci vedessimo, come se dovessimo viverci per un solo giorno. Ancora un altro istante.
«Kyle... ?» Mormoro, indugiando su ciò che ho da dirgli.
«Mmh?» Il petto vibra sotto la mia guancia, le braccia che si aggrappano alle larghe spalle. Anzi, non ho niente da dirti, non ho bisogno di parlare per fartelo capire.
Alzo il capo, prendo la sua guancia, e faccio entrare in collisione le nostre labbra nel silenzio più totale.

Capitolo revisionato.

// spazio autrice //
Ma ciauuuu
Come state?
Cosa ne pensate del capitolo? E' Kyle il fratello adottivo? Mah, si scoprirà!!!
Ci vediamo al prossimo capitolo!💕

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