Capitolo 25

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KYLE

L'aria mi sferza il volto come se fosse una spada gelida. Mi percuote da capo a piedi, il cappuccio che sollevo sulla testa. Ficco le mani nelle tasche dei jeans e continuo a camminare lungo il marciapiede. Decido di accendere una sigaretta e permettere al fumo di distendere i nervi che sento tesi. Aspiro, i polmoni che si riempiono e che si svuotano successivamente. I lampioni della strada mi illuminano, di tanto in tanto, le macchine che sfrecciano sulla strada e il frastuono che arriva da lontano.
Trascino i miei Dottor Martens sull'asfalto, gli occhi bassi che cercano di seguire la traiettoria dei piedi, senza riuscirci. Sono troppo distratto per tornarmene a casa, nonostante sia stata faticosa, come giornata. Stringo tra le labbra quello che diventa, piano piano, un mozzicone. Il fuoco che la brucia, la riduce in cenere ad ogni mio respiro. La butto per terra, stufo. La schiaccio sotto la suola come mi è solito fare e continuo per la mia strada. Socchiudo per un momento gli occhi, sperando che l'aria fresca calmi l'uragano che sento dentro.
Sbuffo, chiedendomi ancora cosa ci faccia alle nove di sera su una strada che porta tra le ville lussuose. Di nuovo qui, eh? Ridacchio dentro di me, trovando qualcosa di buffo in tutto questo.

Sto per tornare indietro quando la mia attenzione viene catturata dalle luci provenienti da una delle tante case. Una più monotona dell'altra.
Mi arresto sul posto e mi appoggio al muretto con una gamba, guardando con un ghigno sfacciato qualche idiota che vomita nell'aiuola davanti all'entrata. Scuoto la testa, chiedendomi cosa ci trovino di tanto divertente a queste feste, se non per avere alcol gratis e abbindolare ragazze a caso. Non sono nella giusta posizione di giudicare, perché è successo qualche volta di partecipare ai party, ma non me n'è mai interessato abbastanza. Le mie gambe si muovono da sole verso la porta d'entrata, la curiosità che scorre nelle vene. Colgo l'occasione per spillare qualcosa da bere per evitare che la gola si secchi ancor più. Passo inosservato, vista la miriade di gente che comincia a ballare già dall'ingresso. Mi faccio spazio tra i corpi che si muovono a ritmo di musica e cerco di dirigermi verso una plausibile cucina, non prima di incontrare l'unica chioma castana che potrei riconoscere fra le altre. Le spalle piccole e magre, le curve nascoste sotto un semplice abito che sembra tutto fuorché banale, su di lei. I miei occhi si focalizzano sui ciuffi che, puntualmente, le si riversano davanti al volto e le lentiggini che costellano le guance.
Vado avanti, chiedendomi se, effettivamente, non me la sia sognata. Appena arrivo davanti ad un frigo apro l'anta e prendo della semplice acqua fresca. Mi appoggio con una mano allo scaffale e sbatto ripetutamente le palpebre, non facendo molto caso al dolore nella zona delle tempie.
Lei non può essere qui. Hazel, tu non sei come gli altri. Tu sei molto più di una ragazza che frequenta questa gente.
Sospiro rumorosamente, maledicendo me stesso per star pensando a ciò. Ma la verità è che in quegli occhi ho riconosciuto una purezza e una semplicità che non riesco ad accomunare a questo genere di cose. Credo sia anche la stanchezza che mi porta all'esasperazione.

Bevo lentamente, la bocca che si inumidisce e la gola che manda giù il liquido fresco. Abbasso lo sguardo alla ricerca di risposte che non riesco a darmi, la curiosità che non riesco a reprimere. Quella ragazza non la smette proprio di rimanermi nella testa, come io non smetto di vederla. Ogni volta ho come la sensazione di voler sapere tutto di lei, di abbattere quel velo di insicurezza che para davanti al volto, senza mostrarmi realmente quello che è. Quei modi timidi, riservati e dolci che non riesco a scrollarmi di dosso.
«Meglio che vada...» Sussurro dopo aver passato -come minimo- un quarto d'ora a fissare il muro bianco dinnanzi a me.
Passo in rassegna i volti anonimi che ballano nella sala, alla ricerca dell'unico che non riesco a trovare. La cerco, invano, perché so benissimo che, se la trovassi, non cambierebbe niente. Aumenterebbe la voglia di osservarla nei suoi atteggiamenti tranquilli, di cercare qualcosa in quelle iridi che mi scrutano con una curiosità che mi rende nervoso, anche se non lo do a vedere. Noto che cerca di leggermi dentro, percepisco il suo sguardo che corre, impaziente, sui tatuaggi che si intravedono dalle mani, e non posso far altro che apprezzare. Sono sempre stato degnato di un'attenzione diversa, ma mai come fa lei. Perché ho come la sensazione che lei cerchi di andare oltre quello che c'è all'apparenza... fino al mio cuore cosparso d'inchiostro.
Mi dirigo verso la porta d'uscita, non prima di sentire una voce femminile gridare  quelle cinque lettere che non riesco a cacciare via dalla testa. I passi si fermano, si arrestano sul posto. Mi irrigidisco, il capo che si volta automaticamente in direzione delle scale da cui proveniva il suo nome.
Sono pazzo, mi ripeto mentre faccio li scalini. Eppure non me lo sono sognato, non credo di arrivare a questi punti, mi dico.
«Ma l'hai vista quella?!» Ridacchiano due ragazze mentre percorrono la strada opposta alla mia. Mi soffermo sulla loro esclamazione e provo a capire se c'entri qualcosa con il nome che ho sentito chiamare a gran voce.
«Cosa succede?» Mi intrometto, proprio mentre faccio li scalini due a due. Il loro sguardo è stranito, in un primo momento, come se si chiedessero se effettivamente mi stia riferendo al loro discorso. Le guardo dall'alto con indifferenza, una smorfia che si crea spontanea su vestiti decisamente troppo corti.
«Uhm... ti riferisci alla ragazza ubriaca?» Chiede una bionda, per poi scoppiare successivamente a ridere. Non ho bisogno di sentire altro perché la mia mente comincia a intravedere già diversi scenari. Passo una mano tra i capelli, frustrato.
Appena arrivo al secondo piano, il respiro affannoso mi muore in gola.
Non puoi essere tu, Hazel. Chi ti ha fatto questo? Me lo chiedo perché non riesco proprio ad immaginarti con un bicchiere di alcol tra le mani. Tu non sei questo, sei molto di più. Sei superiore agli altri, non devi abbassarti al loro livello. Non così.

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