Capitolo 29

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«Bow Bridge?» Domando confusa, ridacchiando al contempo. L'ho seguito all'interno di Central Park, ma i nostri passi ci hanno portato fin qui.
«Esattamente...» Sorride impercettibilmente. Si sdraia sulla pavimentazione, in legno, del ponte che collega due sponde. Di solito ci siamo sempre trovati all'opposto e mai nello stesso luogo, uno di fianco all'altro fino a sembrare simili. Ci siamo fatti trasportare dalla pazzia momentanea, da quel impreciso istante che ci ha dato la possibilità di avvicinarci senza farci male. Perché restargli vicino mi riesce più difficile di quello che sembra. I suoi repentini cambi d'umore, le emozioni così contrastanti e quelle sue espressioni che sono altalenanti. La maggior parte delle volte non lo riesco a capire e sono dell'idea che sia il suo scopo, visto che si è sempre allontanato appena lo sfioravo con gli occhi, ma non ora. Ora che ci troviamo sdraiati l'uno accanto all'altro, lo sguardo alto verso il cielo, pieno di stelle, e la voglia di dimenticarci di tutto resto. Vorrei che le sue parole non avessero un peso così grande sui miei pensieri, vorrei poter avere il dono di fregarmene, non ascoltarlo, non dargli importanza, ma non sarei io. Come non posso pretendere che si apra, che si lasci andare, che si fidi di me.

Rilascio un sospiro lungo, anche troppo. Lo lascio cadere, lo lascio viaggiare altrove insieme alla timidezza che si è sempre nascosta dietro la mia figura. Lui mi ha messa a nudo, mi ha spogliato di quel velo che portavo, mi ha tolto tutto ciò che mi frenava, che non mi faceva fare l'ultimo passo. Sento di potermi fidare, di sentirmi al sicuro al suo fianco, nonostante non mi abbia detto molto di lui. Lo leggo nelle sue iridi che non mi lascerebbe cadere, che quelle braccia me le tenderebbe anche domani. Voglio che sia così, lo voglio davvero. Non è egoismo, bensì una forma di affetto che mi lega a lui. Ho fatto dei sacrifici, sono andata al di là delle solite apparenze, me ne sono fregata del significato di sconosciuto, mi sono tolta ogni tipo di corazza, di vestito, che non mi conferiva di poter comunicare in modo vero con lui. Mi sono lasciata andare all'istinto, a quel sesto senso che mi sussurra spesso che posso contare su Kyle. Perché, in silenzio, si è preso cura di me e so che non l'ha fatto per ricambiare il favore... sarebbe stato troppo insensibile da parte di un ragazzo che, quando posa i suoi occhi su di me, legge ogni sfumatura delle mie iridi.
Rido, guardandoci. Due come noi sdraiati su un ponte, nel buio di Central Park e nella solitudine che si crea in questo luogo. E' buffa la situazione che è nata. Vedo un ragazzo ubriaco e una ragazza follemente persa nei suoi occhi e nei suoi modi per rendersi conto del resto. Poso una mano sulla bocca per soffocare la risata, senza dimenticare la nostra corsa tra le vie di New York, gli sguardi straniti della gente e la follia che ci ha accompagnato fin qui. Kyle, cosa stiamo facendo? Sarebbe noioso, se lo sapessimo.

«Sei pazzo» Esordisco, indicandolo. Ritorno a guardare la distesa blu che si staglia sopra di noi, l'immensità che si cela lassù, in confronto alla nostra piccolezza.
«... Di te» Annuisce, sussurrando. Lo sguardo perso chissà dove a intraprendere un viaggio di cui non sa nemmeno la meta. Alla ricerca di un qualcosa che non si è a conoscenza, di qualcuno di introvabile.
Per un attimo il respiro si ferma, alla ricerca dell'aria che sembra mancarmi. Faccio finta di niente, lasciando credere alla mia coscienza che in realtà ha perso il filo del discorso e parla a vanvera con qualche stralcio insensato di parole. Non sai quello che dici. Non parlarmi così, non dire cose di cui ti potrai pentire o che nemmeno ricorderai.
«Sei silenziosa...» Osserva e sembra essere perfettamente lucido mentre pronuncia la frase. Continuiamo ad evitare ai nostri sguardi di incontrarsi, lasciamo che siano i sussurri delle nostre voci a colmare il silenzio. Anche se, a dire la verità, i tuoi occhi mi mancano.
Lascio che faccia le sue osservazioni, non saprei che rispondere. Sono troppo impegnata a riflettere, a sopprimere l'imbarazzo che si sta prendendo gioco di me. 
Si sente il fiume scorrere sotto il ponte, si percepisce lo scrosciare dell'acqua ripetitivo e incessante. I nostri corpi abbandonati su una superficie, adagiati sopra un materiale comune che sta divenendo il nostro spazio.
«Si può essere belli come le stelle?» Domanda, alla ricerca di una risposta. Sembra parlare direttamente con loro, sembra richiamare la loro attenzione.
«Che narcisismo...» Esclamo, con ironia. Sorrido, lasciando che la mia battuta incontri le sue labbra che si aprono per ribattere, poco dopo.
«Non hai nemmeno pensato, per un attimo, che mi stessi riferendo a te?» Questa volta si gira, volge lo sguardo nella mia direzione e non posso far altro che assecondarlo, raggiungendo quegli occhi che mi sembrava di non vedere da troppo.
Scuoto impercettibilmente il capo, chiudendomi nelle spalle, lasciandomi scivolare addosso il suo complimento, con timidezza. Non ho mai pensato di ricevere delle parole di questo tipo o, piuttosto, neanche immaginavo che Kyle potesse dire una cosa del genere... dal momento che è sempre stato riservato nei miei confronti, escludendo le sue battutine e le sue provocazioni.
Ha bevuto, ricordo a me stessa.

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