Capitolo 28

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Novembre è alle porte e si sta facendo sentire con il vento che mi riscuote tutta da capo a piedi, nonostante il giubbotto. Vado per la mia strada, seguendo il marciapiede verso il niente. Cammino senza sapere dove andare, con un unico intento: dimenticarmi della giornata di oggi, cancellare dalla testa quello sguardo freddo, quegli occhi velati dal timore delle mie parole. La sua voce roca che mi ha fatto accapponare la pelle, quel timbro profondo che mi ha scrollata facendomi tacere. Non sono riuscita a parlare come avrei voluto perché mi sono sentita troppo esposta, oppure sono state le sue frasi taglienti a farmi rimanere male.
Passo dopo passo, mi allontano da casa. Ho proprio bisogno di una passeggiata serale in compagnia dei lampioni, delle macchine e del fruscio delle foglie. New York si anima, ma non la seguo tra le luci dei locali, in compagnia delle confraternite e delle loro splendide feste. Posso anche evitare tutta questa ironia.
Non sono stata capace nemmeno di seguire la lezione e Thomas mi ha chiesto ripetutamente se mi sentissi bene e mi limitavo a fare di sì col capo, quando in realtà i miei occhi gridavano tutt'altro. Avrei voluto essere tra le braccia di quel ragazzo che mi aveva ferita, qualche ora prima, per fargli capire che ci tengo davvero a lui. Avrei voluto percepire un abbraccio racchiuso nella sua felpa nera, nel suo profumo alla menta misto al pizzico di tabacco, tenuta stretta da quelle braccia tatuate che credo non avrei mai potuto apprezzar così tanto.
Non mi hanno mai attirato i disegni sul corpo, almeno, non quelli eccessivi. Siamo opere d'arte, il nostro corpo lo è, e capisco l'esigenza di metterlo in mostra, ma al contempo sembra creare uno scudo. Kyle cerca di nascondersi dietro quella corazza d'inchiostro, ma forse non ha capito che sono incuriosita proprio da quello che tenta di nascondere, dalle imperfezioni che reprime con paura.
Passo proprio di fianco a Central Park e mi fermo sul posto, osservando ciò che si cela oltre il cancello che si chiuderà dopo mezzanotte. Guardo gli alberi che si stagliano nel buio quasi a sembrare anime viventi, noto la panchina su cui ero seduta oggi pomeriggio e quasi rimpiango di esserci venuta. Probabilmente avrei dovuto rispettare la sua volontà, lasciarlo nell'anonimato pur sapendo chiaramente che fosse lui. Solo che si è dimenticato che sono una persona molto riconoscente e non avrei mai lasciato che un messaggio mi fermasse, specialmente se si fosse trattato di lui.
Rivivo la sensazione di stordimento, la morsa alla bocca dello stomaco e il vuoto sotto i piedi. Questa volta non c'eri a tirarmi fuori dal burrone, non c'erano le tue braccia a sorreggermi.
Scuoto la testa, ridacchiando tra me e me per quanto possa sembrare patetica.

Continuo a camminare, lasciandomi alle spalle i ricordi di quei pomeriggi, di quelle orette passate a parlare in compagnia dei nostri sguardi che si cercavano, senza mai incontrarsi.
D'un tratto una sagoma, a qualche metro da me, cammina incerta, barcollando un poco. Mi arresto sul posto, osservando gli anfibi che si trascinano sulla strada. Arretro di un passo, uscendo dalla luce del lampione che si proiettava sulla mia figura. Mi volto accelerando di poco il passo.
«Hazel, sei tu?» Un tono biascicante si insinua dentro di me, il respiro che si mozza e i piedi che rimangono ancorati sul marciapiede, senza muoversi, senza fare un solo passo. Giro su me stessa, incontrando quegli occhi che ora sono illuminati dal neon giallo. Inclina il capo, cercando di scrutarmi nel buio, nell'ombra di me stessa.
«Kyle... ?» Risulta più una domanda, un sussurro che trema tra le mie labbra. Il vuoto attorno a noi, New York che sembra essersi spenta, fermata, per catturare quest'attimo.
«Cosa... cosa ci fai qui?» Domanda, vacillando quel poco per riprendere l'equilibrio perso. Sei ubriaco?
«Hai bevuto?» Non faccio caso alla sua frase, avvicinandomi di un passo per vederlo meglio. I capelli corvini scompigliati, le spalle un po' ricurve e le mani chiuse nelle tasche dei pantaloni. Non ha niente addosso, oltre alla felpa, e mi chiedo se abbia passato tutto il giorno a bere, in un bar. Lo guardo, cercando quelle iridi che mi hanno incuriosita e intimorita fin da subito, per la loro intensità.
«Non... non deve interessarti» Scuote la testa, socchiudendo le palpebre. Mi fa male vederti così, anche se te lo meriteresti per come mi hai parlato, oggi. Cerchi di mantenere vivo l'orgoglio, ma so benissimo che non avresti voluto dirle, quelle parole, perché non sei così, seppur ti conosca da poco.
«Giusto, hai ragione...» Lo sfido, guardandolo. Non ho motivo di impicciarmi nelle tue cose o pretendere che tu risponda ad una mia domanda, ma se te la pongo è perché ho bisogno di sentire la risposta.
«Ti accompagno a casa.» Aggiungo. Non ho intenzione di lasciarlo qui, solo, con l'alcol che gli scorre in corpo. Dovrei andarmene, allontanarmi perché è ciò che vuole, ma non ne sono in grado. Non più.
«Non ti dico dove abito.» Scuote la testa, come se fosse un bambino testardo.
«Hai bisogno che ti aiuti.» Mi avvicino ancor più con i nostri occhi che si toccano mentre si guardano, i nostri corpi che si chiamano, si attraggono mossi da qualcosa che è troppo forte. Il suo respiro caldo che si mischia al mio, la mascella che si serra, facendone risaltare il profilo rigido.
«Perché lo fai?» Un cipiglio nasce sul suo volto confuso. Aspira l'aria tra le labbra per poi cacciarla via in un soffio. I polmoni si svuotano, le sue spalle ampie che si irrigidiscono e l'ombra del cappuccio che gli oscura una parte del viso.
«Lo si fa tra... amici» Indugio sull'ultima parola e in risposta ottengo una sua risata divertita, un ghigno all'angolo della bocca che non riesco ad interpretare. Si morde il labbro inferiore toccandosi l'anellino metallico, per poi alzare il sopracciglio, squadrandomi. Sembra quasi che abbia smaltito la sbornia, ma credo sia più plausibile il fatto che lo regge fin troppo bene.
«Perché fai così?» Domando, mi stringo nelle spalle.
«Non capisci...» Con la testa fa segno di diniego, per poi sprofondare i suoi smeraldi nei miei. Mi fissa, lo guardo, e passano diversi secondi nel quale lasciamo che il vento parli per noi, che i motori di qualche macchina ruggiscano per le nostre anime che si graffiano a vicenda, in silenzio.

«Ti porto in un posto.» Conclude dopo diversi istanti. Attraversa la strada e indugio a seguirlo. Perché mi dovrei fidare? Mi maledico solo a pensarlo, sennò non sarei qua, non avrei continuato a rincorrerlo alla ricerca di risposte.
Si volta da sopra la spalla: «Che c'è, non vieni?!» Ridacchia, allargando le braccia teatralmente come ad invitarmi a raggiungerlo. Lo faccio: il primo passo e poi un altro fino a che non arrivo di fronte alla sua mole, alle sue braccia che mi aspettano. Mi afferra un polso con prepotenza, portandomi con sé in una folle corsa tra le strade.

I capelli che oscillano al vento, la sua mano ancora legata al mio braccio dove sento una forma strana di calore divampare da quel esatto punto. Lo seguo, lasciando a lui il potere di guidarmi verso l'ignoto, i miei passi che imitano i suoi senza fermarsi una volta.
Prendiamo il respiro, le mani sulle ginocchia e le nostre risate che riempono i polmoni e lo spazio tra noi. Mi alzo e ci guardiamo. Vedo il suo lasciarsi andare, probabilmente a causa della lunga bevuta... ma è proprio così che me lo immaginavo. La discrezione che cela un'anima pronta a sorprenderti con la sua energia, i tatuaggi che non assomigliano più ad uno scudo, bensì a un chiaro evidente segno della sua indipendenza.
«Perché sorridi?» Lo prendo in giro, sentendo il suo sguardo incollato addosso senza un motivo preciso.
«Non ci sono sempre dei perché, ma anche dei quando...» Sussurra, voltandosi. Rimango col fiato sospeso, aspettando che concluda la frase. Fa un passo, ma si ferma. Volta il capo, osservandomi da sopra la spalla, per poi spettinarsi i capelli.
«Sarebbe?» Chiedo, non volendo più aspettare.
«Quando sei con me, Hazel» Sussurra.
Le parole mi entrano nel petto togliendomi per la seconda volta il respiro, come se la corsa appena fatta fosse solo un eufemismo. Un sorriso nasce spontaneo sul mio volto, senza che me ne accorga.
«Guarda che nessuno ti impedisce di sorridere» Ricordo quello che mi disse, quella volta al parco, quando ero ancora troppo intimidita dal suo sguardo per poterlo ammettere. Sorrido, Kyle, lo vedi?

Capitolo revisionato.

// spazio autrice //
Ciauu🙈
Come state?❤️
Allora... Ho deciso di dividere questo capitolo in 2 parti perché sennò veniva troppo lungo😁
Spero che vi sia piaciuto😍
Kyle è ubriaco e Hazel per una volta si lascia andare, uscendo dagli schemi.
Cosa succederà ora?
Aggiornerò presto perché sono curiosa di farvi sapere come andrà a finire la serata❤️
Ci vediamo al prossimo aggiornamento!💞

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