44. Breathe

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Qualche mese dopo...

Rose

Seduta nel taxi, guardavo fuori dal finestrino, osservando il mondo che scorreva.

Le campagne di Dublino erano di una bellezza struggente, con colline ondulate che si stendevano a perdita d'occhio, coperte da un manto di verde smeraldo.

I prati erano punteggiati da pecore bianche e mucche che pascolavano placidamente. Muretti a secco separavano i campi, creando un mosaico di terreni ben curati. Qua e là, piccoli cottage si nascondevano tra gli alberi, con i loro giardini fioriti pieni di margherite e papaveri.

I fiori di ginestra, di un giallo brillante, contrastavano con il cielo grigio e nuvoloso, tipico di quei luoghi. La luce filtrava attraverso le nuvole, creando giochi di ombre e riflessi sui corsi d'acqua che serpeggiavano tra i prati.

L'aria sembrava immobile, sospesa in un tempo antico, lontano dal frastuono della città.

Ma mentre ammiravo quel paesaggio bucolico, il mio cuore era colmo di dolore.

Negli ultimi mesi, la mia vita era cambiata in modo radicale e devastante. Tutto quello che conoscevo e amavo era stato stravolto, lasciandomi sola a raccogliere i pezzi.

Mi ero sentita tradita e abbandonata, come se tutto il mondo mi avesse voltato le spalle. Ogni giorno era stato una lotta per trovare la forza di alzarmi dal letto, di affrontare la realtà senza di loro. Ogni cosa mi era sembrata priva di senso, e il futuro, un tempo così promettente, per molto tempo era stato solo un'ombra nebulosa.

Non mi era stato permesso di vedere Cody, sebbene avesse provato in molti modi ad avvicinarsi a me. Le mie guardie erano triplicate, non uscivo senza tre uomini alle calcagna. Be', quando potevo uscire, ovviamente. Perché la mia libertà era stata limitata di molto.

Mio padre, anche se ormai neanche riuscivo a definirlo più in quel modo, era un mostro. L'avevo odiato ogni singolo giorno con la paura che quel sentimento si sarebbe potuto intravedere dai miei occhi. Lo odiavo in silenzio perché avevo paura di lui e di quello che avrebbe potuto farmi.

Era stato la causa della sofferenza di molte persone. Persino dei miei fratelli. Jackson e Megan. Erano morti per colpa sua.

Non avevo potuto neanche realizzare la notizia che Jackson fosse mio fratello che il secondo dopo era già privo di vita. Mio padre aveva costretto Megan a premere il grilletto proprio davanti i miei occhi.

E poi non mi aveva permesso di seppellirli. O almeno Jackson. Per mia sorella c'era stata una piccola cerimonia, molto anonima e senza lacrime. Per lui... niente. Avevo sperato che quelli della bassa Wealthill si fossero presi cura del suo corpo e l'avessero commemorato.

Era stato un periodo infernale, atroce. Ero stata sola in una casa che non sentivo più mia. Rinchiusa. Avevi capito come si era sentita Megan per tutto il tempo che io non c'ero stata. Soprattutto maltrattata da quello che credeva esser suo padre...

Era stato orrendo. Avevo creduto di poter impazzire, definitivamente.

Poi però, era arrivato Travis.

Con una lettera.

Le ultime parole che aveva scritto Megan.

Per me.

In quel momento le avevo sulle gambe. Il foglio spiegazzato e un po' strappato per tutte le volte in cui l'avevo letto, aperto e ripiegato.

Ormai lo conoscevo a memoria.

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Cara Rosetta,

è la tua sorellona che ti scrive. In questo momento sono in uno stato pietoso, quindi spero di riuscire a scrivere tutto nel migliore dei modi possibili.

Beyond the surfaceWhere stories live. Discover now