17. Diventare una famiglia

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Il soffitto della mia camera aveva due crepe a forma di gelato

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Il soffitto della mia camera aveva due crepe a forma di gelato. Be', la fantasia doveva essere molta, ma ad una certa ora del giorno, la luce creava due piccole ombre che sembravano proprio due gelati.

Forse stavo davvero impazzendo, ma passare tutto quel tempo rinchiusa in una stanza non doveva fare bene a nessuno. Avevo perso la voglia di allenarmi o di vedere qualsiasi persona che non fosse mio padre, che veniva a trovarmi due volte al giorno.

Non sapeva niente di quello che era successo, ma sospettava che le cose tra me e Jackson fossero peggiorate. Anche perché le sue domande non erano così velate come pensava e sapevo bene che cercava di scoprire cosa fosse successo. Non mi infastidiva in fin dei conti, non solo perché comunque mi dava la scelta di raccontarglielo o meno, senza mettermi fretta, ma anche perché in fondo questa sua insistenza mi faceva capire che a me ci teneva davvero.

Proprio in quel momento ero con lui, sdraiata sul mio divano a leggere il nono libro che Jackson mi aveva portato.

Già, erano passate quasi due settimana dall'accaduto e lui non aveva fatto altro che portarmi un libro al giorno senza cercare neanche di parlarmi, mentre io non facevo altro che rimanere lì rinchiusa a leggere.

Forse potevo sembrare la classica ragazzina viziata che voleva rimanere in camera sua a fare chissà che cosa, ma la verità era che la mia testa era così pesante che non riuscivo a fare nient'altro se non leggere. Dovevo caricarmi di così tante informazioni da non dover pensare al resto e i libri mi aiutava davvero.

Poi la cosa peggiore... mi sentivo costantemente senza forze. Con il tempo era migliorato, ma era come se una patina di depressione mi avesse avvolta tutta e non mi permettesse di fare niente.

L'avevo già vissuto quel periodo anni e anni prima e per quanto mi sforzassi, non riuscivo proprio a ricordare come ne fossi uscita. Forza di volontà forse, anche perché mai nessuno si era accorto di ciò che stessi passando ed era venuto da me per provare a risollevare il mio morale. Rose in quel periodo non c'era e come sempre me l'ero dovuta cavare da sola.

«Lo so che in questi giorni non ho fatto altro che girare sul vero argomento del quale volessi parlare, ma adesso sto iniziando un po' a preoccuparmi, ragazza», disse Reed, alzandosi dalla sedia e iniziando a camminare per la stanza.

Alzai gli occhi dal libro e lo guardai, mentre posava il suo sul tavolo e si passava una mano dietro il collo. Era frustrato, lo vedevo, e mi dispiaceva tantissimo per lui.

Lo vidi ancora più stanco e le rughe attorno gli occhi sembravano sempre più profonde e fitte, ma la sua bellezza rimaneva comunque. Gli occhi erano sempre vispi e astuti e il fisico non era per niente appesantito dall'età. Era robusto, ma non in modo eccessivo e aveva sempre tutta l'aria di poter stendere qualcuno con un solo pugno. Non mi meravigliavo mai di come potesse incutere timore con una sola occhiata.

«Non ho mai fatto il padre, Megan, non mi è mai importato così tanto di nessuno come per te e... non so cosa fare. Ti vedo completamente spenta, quando vorrei solo che fossi felice», concluse la frase guardandomi dritto negli occhi e per poco non mi misi a piangere lì, di fronte a lui, andando poi a stringerlo in uno di quegli abbracci che mi avevano sempre negato.

Beyond the surfaceOnde histórias criam vida. Descubra agora