17. Chiacchiere e punizioni

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Il girono dopo a scuola fu una tortura

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Il girono dopo a scuola fu una tortura. Odiavo avere altri pensieri per la testa, soprattutto quando non riuscivano a farmi concentrare su quel che stessi facendo. Continuavano a vorticare nella mia mente le parole di Blaire e di Jackson, insieme al suo fiato caldo sul mio collo e l'occhiata provocatoria che mi aveva rivolto.

Non sapevo cosa fosse successo ad entrambi in quel caso, o negli ultimi incontri ravvicinati che avevamo avuto. Fino a prova contraria non riuscivamo a sopportare l'altro senza preoccuparci di farlo notare, ma vendendo da due realtà completamente diverse c'era anche da aspettarselo.

«Come va nella bassa Wealthill, Megan?» Un sibilo sopraggiunse alle mie orecchie, facendomi irrigidire seduta stante. Caitlyn era partita all'attacco, sembrava quasi sventolare la sua coda a sognagli per far capire che era arrivato il momento di star attento a ciò che potesse fare.

Eravamo sedute nella mensa e dopo aver fatto allenamento con la squadra delle cheerleaders, eravamo affamate. Avevamo ancora la divisa con i colori della scuola, rosso e beige, visto che non avevamo mai il tempo di sistemarci e fare un pranzo dignitoso.

Eravamo vestite tutte uguali, ma io avevo una fascia in più sul braccio, si usava così nella mia scuola per indicare il capitano. Il top rosso scuro era a maniche lunghe e arrivava all'ombelico per poi far iniziare la gonnellina, che finiva poco sotto il sedere.

«Me la cavo». Non le diedi né la soddisfazione di farle sapere che le cose fossero andate male all'inizio né la delusione per non avermi dato una "giusta punizione" e farle inventare altri modi per mettere alla prova la mia pazienza. Il giorno precedente alla fine non era andata poi così male, i bambini erano stati tranquilli e per una volta mi ero sentita apprezzata.

«Caitlyn, com'è che l'hai chiesto proprio a lei?» Harleen scattò in mio soccorso.

«La prima che mi è capitata a tiro, non ho riflettuto molto e lei è stata così gentile da accettare subito». Sorrise falsamente, sistemandosi la coda di capelli rossi e posando subito dopo una mano sul suo cellulare.

Dimenticavo ogni tanto che lei praticamente aveva in mano il potere di farmi fare ciò che volesse. Mi chiesi il perché in tutto quel tempo non mi avesse costretta a fare altro. Dovevo comunque stare in allerta, poteva giocare le sue carte ogni volta che volesse ed io dovevo assolutamente trovare un modo per cancellare la foto. Non conoscevo la password e di conseguenza non potevo sottrarle il telefono senza prima sbloccarlo. Probabilmente l'aveva anche salvata da qualche altra parte o addirittura stampata... volevo piangere.

«Deve esser dura per te stare tra quelle persone». Amber non si preoccupò di celare il disgusto, nessuno in quel tavolo o in quella scuola era fan dell'altra metà della popolazione della nostra città.

Sospirai. «Cerco di non pensarci, di non ricordare quella notte. Quando sono là è difficile non chiedersi se la persona che mi ritrovo di fronte non sia proprio la causa di tutto». Provai a non esternare molto di ciò che provassi, ma era difficile non farlo mai, soprattutto quando ero con le mie migliori amiche.

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