47. Un'altra dimensione

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Jackson

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Jackson

«Non ti dispiace avere un po' di foglie nei capelli, vero? Non ho intenzione di portarti in camera», sussurrai a Meg, mentre passavo le mie mani su tutto il suo corpo messo in risalto da quel vestito.

Era bellissima quella sera, perfetta e inavvicinabile come avrebbe dovuto essere e non c'era niente di più eccitante per me che rovinarle tutto. La volevo con i capelli spettinati, il trucco sbavato e cosa più importante a gambe aperte, che gemeva per quel che le facevo.

La volevo subito, non c'era modo di nascondere quanto la volessi. Maledetto me e il giorno in cui avevo deciso che la sua bella bocca impertinente mi piaceva. Da allora tutto era andato a rotoli.

Non controllavo più niente, a partire dalle mie emozioni. Quando l'aveva vista pochi momenti prima...

Avevo odiato il nostro mondo per un attimo quando l'avevo vista con quell'essere senza spina dorsale.

Non avevo mai provato così tanta rabbia per una persona, be', forse sì, ma quel Ward attivava quell'istinto omicida che era dormiente da molto tempo. Non capivo perché lo avevo odiato così tanto quando le sue mani erano finite sui suoi fianchi o quando lei si era aggrappata a lui per rispondere al bacio. Non capivo perché...

Ma mi rifiutavo di credere che fosse gelosia. Non mi era permessa quella. Non avevo quel lusso io. Nella mia vita tutto andava e veniva, mi passava addosso e neanche me ne rendevo conto, quindi che senso aveva essere geloso per qualcosa che non sarebbe mai stato mio? E quella piccola borghesotta, che rimaneva senza fiato ogni volta che la toccavo, era esattamente l'ultima delle persone per la quale potessi provare certe cose.

Era solo divertimento in fin dei conti, no? Entrambi volevamo evadere dai nostri mondi troppo stretti e la passione era l'unica valvola di sfogo da quelli che erano i nostri obblighi e i nostri impegni.

Però la consapevolezza che solo io potessi farle certe cose, vederla ansimare, toccarla quando volessi e immergerle le dita nei capelli per baciarla fino allo sfinimento... era qualcosa che mi mandava totalmente in estasi.

Quindi fanculo tutto.

Mi piegai in ginocchio davanti a lei senza neanche rendermi conto di quel che stessi facendo, guardandola dal basso con la luce della piccola torcia che ne illuminava i contorni.

«Guarda un po' chi si inginocchia». Mi provocò con un sorrisetto, mentre il petto le si alzava e abbassava velocemente per le mani che risalivano tutta la sua coscia. Sfiorai ogni suo centimetro.

Mi presi il mio tempo per toccarla, affondando con le dita in quella carne morbida e liscia. Aveva messo qualche centimetro in più in quella settimana e li sentivo sotto le mie mani. Il seno leggermente più gonfio, fianchi più dolci e gambe più sode. Mi piaceva, ma probabilmente l'avrebbe fatto in qualsiasi caso.

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