16. Uno dei tanti caduti

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Ero nella mia stanza e dovevano essere come minimo le quattro del mattino

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Ero nella mia stanza e dovevano essere come minimo le quattro del mattino.

Stavo sudando e un leggero tremito mi scuoteva dalla testa ai piedi quando ripensavo alle ultime due ore. Il mio battito si era calmato, ma il mio sistema nervoso non ne voleva sapere niente e continuavo a scattare come una molla per ogni minimo movimento da parte di terzi.

Be', nella stanza c'era solo Jackson con me e non mi mollava un singolo secondo.

Se avessi ricevuto tutte quelle attenzioni solo tre ore prima da parte sua, mi sarei completamente sciolta. Gli avrei spiattellato ogni minima cosa che provassi per lui, rendendomi ancora più ridicola di quanto già non fossi.

Ma adesso...

In quel momento ero solo troppo sopraffatta per non aggredirlo verbalmente e fisicamente. Era come se avessi provato a tirare un tir per ore e ore senza smuoverlo di un solo centimetro, disperdendo energie inutilmente.

Il mio cuore era distrutto, non controllavo più i miei pensieri e a quel punto neanche il mio corpo. Mi limitavo ad abbracciarmi le gambe, stando rannicchiata sul letto e lasciando che delle lacrime bollenti ricadessero sul copriletto senza riuscire a frenarle.

Era come se la diga si fosse rotta, ma io ero troppo stanca per fare qualsiasi cosa si facesse quando si piangeva. Non singhiozzavo, non facevo smorfie imbarazzanti e qualcosa mi diceva che non avevo neanche il viso rosso... semplicemente le lacrime scendevano e basta.

Jackson si muoveva nella stanza come un animale in gabbia. Nervoso, incazzato, mortificato e colmo di senso di colpa. Le sentivo tutte quelle emozioni e stranamente ero abbastanza razionale da capirlo. Gesù, non capivo neanche come, ma lo capivo.

Però quello non toglieva il fatto che lo odiassi a morte.

Non parlavo da almeno mezzora, il tempo che avevamo impiegato per arrivare alla residenza di Reed, farmi lasciare sul mio letto e aver ascoltato i grugniti dell'uomo che era in grado di farmi vivere e uccidere nello stesso momento e le cose non dovevano avvenire neanche in quell'ordine.

Ero troppo stanca per pensare effettivamente a cosa fosse successo o per provare qualche altra emozione oltre il profondo vuoto che sentivo dentro. Ero prosciugata nonostante non avessi fatto molto, ma a quanto sembrava l'emotività coinvolgeva anche a livello fisico.

«Megan, come ti senti?» Jackson l'aveva chiesto venti volte e non aveva ricevuto mai risposta, almeno c'era da dire che non demordeva.

Si sedette al bordo del letto più lontano possibile da me, forse aveva intuito che non fosse la mia persona preferita in quel momento. E probabilmente non lo sarebbe stata mai più.

Però mi ero stancata di fare il vegetale e sebbene fossi esausta, una piccola scintilla di rabbia mi scosse tutta. Lo guardai, spostando i miei occhi sulla sua figura nera e ricurva. Lui intercettò il mio sguardo, la mia attenzione e sembrò rianimarsi un po'.

Beyond the surfaceWhere stories live. Discover now