43. Until the end

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Ciao Tess, vi chiedo sempre di aspettare l'epilogo. Buona lettura!
Carola ♥️

Continuavo a sentire il suo sangue schizzarmi sul viso.

Era una scena che ripetevo nella mia testa come un loop infernale.

Lo sparo. Lo shock. Il terrore. Il sangue. La fine.

Una persona non c'era più. Per colpa mia.

Era successo tutto così in fretta che ancora non mi rendevo conto pienamente di ciò che era successo. Era surreale per me, non poteva esser accaduto davvero.

Quando muore qualcuno di caro, non lo si realizza subito. C'è il dolore della perdita, certo, soprattutto se è improvvisa, ma non è nulla in confronto a quello che si prova nei giorni seguenti.

L'avevo già provato con mia madre. Anche da piccola, il peso della perdita si manifestava dopo. Lo capivi davvero quando provavi a chiamarla e non ricevevi risposta. Quando ti aspettavi di vederla entrare in una stanza e dire una solita frase. Quando ti rendevi conto che non avresti più ricevuto i suoi abbracci, i suoi baci o sentito le sue risate.

Il vuoto lasciato da quella persona amata diventava sempre più evidente con il passare del tempo. Inizialmente, sembrava quasi che fosse ancora lì, che bastasse un momento per riavere tutto ciò che avevi perso. Ma poi, mano a mano che i giorni si susseguivano, quel vuoto diventava sempre più oppressivo, sempre più difficile da colmare.

Ogni piccolo gesto quotidiano e ogni momento di felicità condiviso non sarebbe più tornato, diventando un pugno allo stomaco ogni volta che te ne rendevi conto.

Eppure, io soffrivo sempre.

Mi sentivo come un vaso irrimediabilmente rotto, incapace di ricomporre i suoi cocci. Ogni respiro era un peso, ogni battito del cuore un lamento sommesso che si perdeva nel vuoto della mia anima spezzata.

Jackson non c'era più.

L'idea di non sapere cosa sarebbe successo, se lo avrei mai rivisto, mi terrorizzava più di qualsiasi altra cosa. Mi sentivo in balia dell'ignoto. Per me non ci sarebbe stata alcuna salvezza.

Chi si era occupato di lui ?

L'immagine del suo corpo inerte, abbandonato su quel prato freddo, mi perseguitava senza tregua. Quando avevo premuto il grilletto, lo sparo era scoppiato nell'aria, straziando il silenzio della notte e uccidendo anche me. Avevo sentito le urla disperate degli invitati, ma non erano nulla in confronto a quello che era uscito dal mio petto.

Era il mio cuore che aveva urlato, dilaniato in modo irreversibile dall'orrore di ciò che avevo fatto.

Era tutto così vero. Troppo vero. Io l'avevo ucciso.

Il rosso del suo sangue aveva macchiato la mia pelle, segnandola per sempre con il ricordo indelebile della mia colpa. Rosso. Rosso. Come le fiamme dell'inferno. Bruciava come loro del resto. Mi sentivo intrappolata in un incubo senza fine, in cui ogni momento era un tormento, un ricordo vivido della mia follia.

Non avevo potuto neanche toccarlo un'ultima volta, mentre mi trascinavano via con violenza, portandomelo via per sempre. Io avevo urlato, scalciato, combattuto con ogni fibra del mio essere, ma erano stati più forti di me e mi avevano allontanata.

Evocavo ancora il suo corpo immobile per terra. Il suo volto pallido, gli occhi chiusi, come se dormisse di un sonno eterno. Il suo sangue. L'avevo avuto sotto le unghie per due giorni.

La stanza in quel momento sembrava stretta intorno a me, le pareti sembravano chiudersi sempre di più, soffocandomi lentamente. Respirare diventava sempre più difficile, il mio petto si sollevava e si abbassava freneticamente, come se cercasse di sfuggire da qualcosa che non riuscivo a vedere ma che sentivo avvicinarsi, un'oscurità insidiosa.

Beyond the surfaceDär berättelser lever. Upptäck nu