27. Rescue me

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Megan

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Megan

Il dolore aveva un suono. Il nulla.

Era una nota prolungata che si diffondeva nell'aria e soffocava ogni speranza. Un lamento silenzioso, un'eco di risate infantili perse per sempre. Lo sentivo come un tatuaggio invisibile impresso nella mia anima, un segno che raccontava la storia di quello che mi era stato strappato via.

Non riuscivo a pensare per quanto facesse male, non riuscivo a respirare. Sentivo il dolore come un vento gelido, congelando ogni scintilla di calore che mi era rimasta e lasciando dietro di sé la desolazione. Lo sentivo come un pugnale acuminato rigirato nel mio petto, lacerando ancora di più tutto ciò che era già distrutto.

Era passata una settimana ed io non mi ero ripresa neanche un po'.

Ero stata circondata dal silenzio, non volevo sentire nessuno se non i miei ricordi, che facevano troppo rumore per quanto fossero belli rispetto alla realtà. Il suo sorriso, i sogni incerti, la dolcezza di ogni suoi gesto. Non volevo sentire nessuno, le parole degli altri diventavano pallide, incapaci di alleviare quel vuoto che avevo dentro e che non sarebbe mai più sanato.

Si allargava e si espandeva ad ogni colpo che la vita aveva deciso di infiggermi. Prima mia madre e adesso Angeline...

Angeline, tesoro mio.

Guardavo il mondo attraverso occhi che avevano conosciuto il calore della presenza e ormai erano solo avvolti nell'ombra della sua assenza.

In quei giorni non avevo toccato cibo se non qualche bordo che Jackson si ostinava a portarmi, non ero uscita neanche una volta dalla mia camera e non riuscivo a fare niente se non vivere nei ricordi. Alternavo momento di lucidità a momenti in cui ero prigioniera della mia stessa testa. Avevo attacchi di panico scaturiti da un singolo pensiero o da un incubo così vivido da sembrare vero.

E in fin dei conti lo era.

Gli incubi erano diventati la realtà ed era esattamente quello che succedeva quando si perdeva una persona amata.

Ed io amavo quella bambina con tutta me stessa. Avevo sognato da tempo come sarebbe stato vederla crescere, adottarla e renderla mia a tutti gli effetti. Perché noi due in fondo già ci appartenevamo. Ero la sua mamma e lei me lo confermava ogni volta che sbagliava a chiamarmi in quel modo ed io non la correggevo mai perché sentivo quelle parole incredibilmente vere.

"Sei come la mamma", mi aveva detto uno dei primi giorni in cui avevo iniziato a fare volontariato nell'orfanotrofio. Avrei voluto esserlo davvero e assicurarle un futuro decisamente migliore rispetto al suo passato.

Ma lei ormai non c'era più. Mi era stata strappata via dall'uomo che mi aveva già privato di tutto.

Tanner aveva lasciato un biglietto.

Rendi mia figlia, altrimenti lei sarà solo la prima di tanti altri

E il mio odio verso di lui era triplicato. Lo volevo morto con ogni fibra del mio essere e non sarei stata in pace finché non fossi andata al suo cazzo di funerale.

Beyond the surfaceWhere stories live. Discover now