25. Two ghosts

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Megan

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Megan

Un secondo prima Jackson era lì e i suoi occhi avevano incontrato i miei e quello dopo il buio ci avvolse come un mantello stretto e asfissiante.

Reed stava arrivando e qualcuno da fuori aveva spento le luci per avvisarci. Dovevamo prepararci.

Ma io avevo il cuore che stava per esplodere nel petto. La gelosia iniziò a mescolare tutti gli altri sentimenti e mi sentii pervasa da una sensazione che non riuscivo ad identificare.

Volevo schiaffeggiare pesantemente Jackson, tirare i capelli rossi di quella cretina che era addossata a lui e urlare tutte le parolacce che avevo imparato in quell'ultimo periodo.

Ma non mi sembrava proprio il caso. La miglior difesa era l'indifferenza e l'avrei ostentata in tutti i modi possibili, sebbene dentro di me ardesse un fuoco che poteva bruciare tutti.

Stupida cretina!

Scossi la testa e mi girai di poco, certa che fossi indirizzata verso l'ingresso dal quale sarebbe entrato mio padre. Dovevo concentrarmi su quello e sulla festa a sorpresa che gli avevo fatto. Nessuno avrebbe potuto rovinarmi quel giorno.

Eppure sentivo che il mio sorriso non era del tutto sincero quando urlammo tutti in coro "sorpresa!" o quando abbracciai Reed e gli augurai un buon compleanno.

Odiavo esser così coinvolta. Odiavo quelle emozioni così forti che mi spaventavano. Perché non potevo essere come lui? Indifferente a tutti e a tutto?

«È merito tuo, vero?» Mio padre mi stava parlando e io dovevo smetterla di dare troppa importanza a cose e persone che non la meritavano.

«Cosa te lo fa pensare?» Ricambiai l'abbraccio e solo a quel punto mi resi conto di quanto ne avessi bisogno. Affondai così tanto la testa nel suo petto che riuscii ad esser inondata completamente dal suo profumo. Sapeva di sigaro e libri vecchi e non avrei mai pensato che un odore potesse ricordarmi casa, che ovviamente non era mai stata un luogo, ma solo e soltanto una persona.

Casa per me era Rose, le sue trecce e i suoi nastri colorati tra i capelli, e senza che me ne rendessi conto avevo iniziato ad identificare anche Reed in quel modo.

«Tutto bene, ragazza?» Si accorse che ancora non avevo accennato a staccarmi da lui e mi chiesi se potesse mostrarsi in quel modo di fronte i suoi uomini.

In quella città l'amore era sinonimo di debolezza, ormai l'avevo capito, quindi forse la sua posizione poteva esser compromessa se dimostrava così tanto affetto per sua figlia. Così mi staccai da lui e guardai un punto impreciso del suo petto, non riuscendo a guardarlo negli occhi. Avrebbe capito altrimenti che stavo cadendo a pezzi.

Beyond the surfaceWhere stories live. Discover now