39. Mostro di ghiaccio

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Non seppi esattamente come mi ritrovai in macchina con Jackson, mia sorella e Cody

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Non seppi esattamente come mi ritrovai in macchina con Jackson, mia sorella e Cody. Nemmeno come arrivammo nella bassa Wealthill e ci ritrovammo a giocare e far merenda con i bambini.

Avevamo portato delle ciambelle glassate, frutta di stagione e barrette di cioccolato, ma non mi ero neanche resa conto che l'idea fosse stata mia di andare lì e comprare tutte quelle cose. Mi sembrava tutto così surreale e... bello, che non me ne capacitavo più di tanto. Forse era così la felicità, ti faceva dimenticare spazio e luogo, tempo e problemi. Fluttuavo da una conversazione all'altra con un sorriso sul viso, facendomi rendere conto quanto fosse strano per me farlo. Quasi mi fossi dimenticata come si ridesse, esser felice, vivere.

Vedere mia sorella che scherzava con le ragazzine orfane della sua età mi stringeva il cuore, soprattutto il modo in cui la accolsero. Aiutava i bambini a disegnare, chiacchierava con le sue coetanee come se nessuno le  avesse mai detto che quelle erano persone da odiare. Giocava con le bambole di pezza rotte insieme agli altri, aiutava i bambini più piccoli a mangiare e accarezzava tutti con sguardo amorevole.

Era un piccolo angioletto puro come loro e anche se avevano un passato diverso, in fin dei conti qualcosa in comune l'avevano lo stesso.

E Cody non aveva nessuna intenzione di lasciarla respirare senza che il suo ossigeno si disperdesse in una zona dove lui non fosse. Cercava di essere indifferente con le sue solite battutine da "cattivo ragazzo", ma ogni volta che lei rideva lui pendeva dalle sue labbra.

«Non credevo di poter mai assistere ad una scena del genere». Sobbalzai quando sentii la voce di Jackson provenire proprio ad un centimetro dal mio orecchio.

Mi girai a guardarlo senza ritirarmi a quella vicinanza, ma desiderando di colmare al più presto lo spazio tra di noi. Che ironia... fino a qualche tempo prima avrei odiato anche solo respirare la sua stessa aria e quel giorno invece volevo solo che lui mi baciasse così tanto da farmela perdere.

«Cosa?» Ero seduta a gambe incrociate sul tappeto del salone dei giochi e cercavo in tutti i modi di non far alzare la gonna di quel misero vestito.

Un mezzo sorriso increspò le sue labbra carnose. Il suo corpo grande e massiccio sembrava quasi non entrarci in quell'ambiente, ma lui si accovacciò affianco a me lo stesso. Distese le sue gambe lunghe e mi guardò. «Megan Tanner che gioca con le macchinine e soprattutto con bambini della bassa Wealthill».

Sospirai. «Con bambini, Jacks, semplicemente con bambini». Precisai, per far capire che era insolito che mi occupassi delle persone alte neanche un metro, non del fatto che appartenessero a quel lato della città.

Ero stata una stupida a farmi influenzare così tanto da mio padre e dal resto della società. Purtroppo quando si sentiva una sola campana era difficile farsi idee proprie, soprattutto per il fatto che nessuno era lì a difendersi. Li vedevo solo come persone che mi avevano strappato via mia madre, il mio mondo. Erano volgari, barbari e scimmie non ammaestrate, o così mi avevano detto. Ma poi c'era Jackson, Cody, tutti quei bambini così innocui e ingenui... non potevo fare di tutta l'erba un fascio, come Blaire mi aveva detto. Sicuramente c'erano persone cattive, ma non lo erano tutti. E se finivo per chiudere le porte in faccia tutti, senza neanche avere la pazienza di conoscerli meglio... be', sarei stata sola per sempre.

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