11. Guerra e pace

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Jackson

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Jackson

Uscii per prendere una boccata di aria pulita, o meglio, sporca. Accesi una sigaretta ed aspirai a pieni polmoni la nicotina, sicuramente le sostanze cancerogene racchiuse in quella sottile carta bianca erano più salutari rispetto al clima che c'era in quella casa addobbata a festa.

Odiavo quel lavoro e, oltre al fatto che ci fossero persone che non erano per niente in cima alla lista di chi tollerassi, mi annoiavo a morte ogni volta. Quei borghesotti non sapevano divertirsi, ostinavano ad organizzare quei ricevimenti una sera sì e l'altra anche e per di più erano tutti uguali.

Ecco cosa saremmo se non fossimo chi siamo, sembravano urlare i loro occhi giudicatori, mentre noi ci aggiravamo per i tavoli. A ricordarcelo c'erano anche i fottuti cani da compagnia, agghindati come pronti per l'imbalsamazione, rivestiti con tutine costose e altezzosi quanto i padroni.

Ero sul retro della villa, nel quale c'erano i cassonetti della spazzatura e il parcheggio del personale. Quello mi sembrava l'unico posto adatto a me, a quelli come me, e non c'era bisogno che qualcuno me lo dicesse.

«Jackson, ci servi dentro!» Tobias mi avvertì che la mia breve pausa era finita, mi sembravano esser passati solo pochi secondi. Diede un colpo alla porta di metallo per richiamare la mia attenzione, ma non mi girai neanche a guardarlo.

Anche lui faceva quel lavoro con me, eravamo l'uno l'ombra dell'altro, costretti a subire quasi ogni sera il puzzo inconfondibile delle persone spilorce dell'alta Wealthill. Ma doveva esserci anche per noi una luce alla fine del tunnel, no? Sì, per forza. L'unico problema era che noi dovevamo percorrere quella galleria con due macigni attaccati ai piedi e qualche croce sulle spalle, mentre quelli là viaggiavano su un treno ad alta velocità con tutte le comodità che potessero desiderare. Non era giusto.

Eppure non mi preoccupavo. La mia filosofia mi era ben chiara: ogni cosa girava. Gli sforzi venivano sempre ripagati e ben presto la sfortuna si sarebbe abbattuta anche su chi navigava negli allori. Ad ognuno il suo, ad ognuno la sua fortuna, ad ognuno la sua colpa.

Sospirai e buttai la cicca per terra, sarei entrato subito per permettere a quei ricconi di finire con la loro tortura, se solo non fosse per qualcosa che catturò la mia attenzione. Due uomini dall'altro lato della strada portavano un sacco nero per i rifiuti e a giudicare dalla mole dovevano essere veramente pesanti, ma la mia esperienza mi suggerì che lì dentro non ci fosse della spazzatura, almeno non letteralmente.

Non era così strano assistere a scene come quella per me, ma lo era nel posto in cui mi trovavo. Lì tutto non veniva fatto con il rischio che qualcuno potesse assistere, veniva celato per dare l'impressione di assoluta perfezione e speravano di arrivare a crederci loro stessi.

Li osservai per bene, i tatuaggi e la postura "da rozzi" sottolineavano il fatto che quelli fossero della bassa Wealthill. Non osai indagare oltre alla semplice occhiata di curiosità che gli lanciai. Avevo deciso di mettere un muro di cemento amato tra me e quella vita e non avevo nessuna intenzione di finire di nuovo nel giro per aiutare qualcuno che faceva di tutto per vedermi marcire dall'altro lato della città. O magari dietro le sbarre.

Beyond the surfaceWhere stories live. Discover now