Spostai i rami intrecciati, affondando i piedi nel terreno fangoso. Sentivo la testa ronzare.
Respiravo a fatica, con il cuore che batteva così forte da sembrare in procinto di esplodere.
Quando separai anche gli ultimi rami rinsecchiti, guardai davanti a me. La sagoma nera era seduta su un tronco, pochi metri di umida, fredda erba ci separavano.
Alzò subito il capo. Il suo sguardo era gelido.
Avevo paura. Lo potevo sentire in ogni fibra del mio corpo. Ero immobile e terrorizzata.
Eppure, solo in quel momento realizzai che non avrei potuto rimandare più quell'incontro.
Solo in quel momento capii che non potevo più scappare.
Era arrivata la fine.
.
Davanti a me comparve il volto di Giulia.
- Sei sempre stata tu - dissi sconvolta.
Chiusi gli occhi per un secondo. Sentivo di svenire.
- Congratulazioni. Alla fine ci sei arrivata! - disse lei, alzandosi, con un sorriso perfido sul volto. Arrivai a grandi passi davanti a lei, che rimase immobile. Le strappai lo smart di mano.
Quelle chiamate. Quelle maledette chiamate senza risposta erano davanti ai miei occhi, che si stavano riempiendo di lacrime.
Il messaggio, quello che avevamo letto io e Claudia insieme. E poi altri. Decine, decine di messaggi e chiamate. Alcune riportavano altri contatti, anche sconosciuti, ma il più presente era sempre quello.
Quello dello smart di Giulia. Dove Giulia si mandava i messaggi, spacciandosi per lo stalker.
- Sei sempre stata tu... - continuavo a dire, scorrendo la lista di chiamate e messaggi - Non è mai esistito lo stalker – Giulia mi strappò il telefono dalle mani.
- Oh, sì che esisteva. Tanto tempo fa. Ma per me non è stato difficile scoprire chi fosse.
- Chi era?
- Buljat, naturalmente. Ma era ovvio che avesse tra le mani qualcosa che non sapeva gestire. Così ho preso il suo posto. È stato facile. Avevo bisogno solo dei loro segreti, per controllarli tutti.
Non sarei mai stata la prima il classifica, non sarei... mai andata a Wimbledon se non avessi raccolto informazioni su di loro e usate quando necessario.
Il primo è stato Orlando. Niente di più facile. Faceva di tutto per farmi ingelosire, per farmi capire che non ero degna di lui -
Giulia si sedette sul tronco. Ora era di fronte a me. Il suo volto era sempre lo stesso, ma allo stesso tempo risultava irriconoscibile. Il sorriso radioso era stato sostituito da un'espressione contratta.
Lo sguardo mostrava puro odio, ma anche una certa soddisfazione. Era quello il lato più oscuro, il peggiore. Era pronta a raccontarmi tutto, a prendersi il merito di ciò che aveva fatto. Come se aspettasse quel momento da una vita intera.
- È bastato indagare un po' per scoprire del suo piccolo vizio dello spaccio. Credeva di essere davvero così furbo, di riuscire davvero a farla franca. Ci ho messo solo un paio di mesi per capire che era lui il responsabile dello spaccio alla Fenice.
E lui non poteva rischiare che si venisse a scoprire, così mi sono fatta pagare il mio silenzio a caro prezzo. Adesso che avevo il controllo su Orlando avevo bisogno di controllare anche Claudia, così ho ordinato proprio a lui di scoprire cosa stava nascondendo la mia amica.
E ha svolto il suo lavoro egregiamente. Dopo qualche tempo, agli Australian Open, finalmente venivo a sapere di Claudia e Marzio, sebbene senza prove concrete.
Ma era bastato mandare un paio di messaggi anonimi alla mia amica in mia presenza per vederla crollare in lacrime e fare in modo che mi confidasse ogni cosa. Quello è stato il motore di tutto. La povera, piccola Claudia avrebbe fatto di tutto per conservare la sua aria da verginella e i suoi cari sponsor.
- Avevi detto che eri sua amica, che ci tenevi a lei.
Adesso Giulia mi guardò direttamente. I suoi lineamenti si erano fatti ancora più duri.
- Ed è così. Ma era più importante avere delle spie e degli alleati. Lei non si fidava di me, era arrivata a dirmi tutto di Marzio solo quando era stata costretta a chiedermi aiuto e io questo non l'ho accettato. Non potevo fidarmi di lei. Aveva capito che c'era qualcosa che non andava in me...
Scoppiò a ridere. Arretrai di qualche passo, ma lei lo notò. Si alzò in piedi, scaraventando il cellulare a terra, che rimbalzò lontano da noi.
- Che c'è? Adesso hai paura? – grugnì – Adesso hai paura anche tu?
Sudavo freddo. Mi allontanai ancora, fino a sentire sotto i piedi i rami della fine della radura e sui palmi delle mani rivolti indietro gli aghi pungenti delle siepi.
- Ci tenevo a lei più di quanto lei tenesse a me, ma non potevo permettere che questo mi accecasse. Perché, vedi, io mi stavo solo preparando. Non volevo conoscere i loro segreti per ricattarli o ottenere qualcosa da loro.
Sapevo che la minaccia non era lei, non era Orlando, o Noemi o Alessandro. Nessuno di loro avrebbe mai messo in dubbio la mia permanenza nell'A, il mio potere. Ma qualcuno sì. Doveva ancora arrivare, ma io sapevo già tutto.
Ed ero la scarpa vecchia, quella da buttare. Quella su cui far ricadere tutte le colpe quando sarebbe arrivato il suo turno: il turno di Beatrice Capuano!
La sua faccia simulò entusiasmo, ma ebbe solo l'effetto di farmi rabbrividire ancora di più.
- Beatrice, la perfetta Beatrice arrivata per prendersi tutto quello ciò che avevo costruito senza fare troppi complimenti! I miei amici, i miei fan, perfino l'unica persona alla quale sia mai stata interessata in tutto questo tempo!
Ma no, non l'avrei mai permesso. Non senza combattere. Il gruppo A non è niente senza di me: sono stata io a portarlo dov'è, a fare tutto ciò che andava fatto nei tempi giusti. Nessun agente è stato mai in grado di fare ciò che io sono riuscita a fare, nessuna pubblicità della Fenice è mai riuscita a portarla alla grandezza quanto me questo posto!
Ero io a far uscire i gossip giusti al momento giusto, ero io che mi assicuravo che nessuno, a parte me, divulgasse i nostri segreti all'esterno. Ci sono persone che sanno di Claudia e Marzio da sempre, eppure, solo grazie alla sottoscritta queste voci sono rimaste solo un pettegolezzo di bassa leva.
- È per questo che hai devastato lo spogliatoio, facendo cadere la colpa su di me. Eri tu che volevi cacciarmi via.
- Non così in fretta, Beatrice. Non così in fretta.
Vidi che era pronta a raccontare tutto dall'inizio, e io per la prima volta non sapevo se avrei voluto ascoltare quella storia.
Faceva male, troppo male. Giulia, la mia cara amica, era la persona a cui avevo dato la caccia per tutto quel tempo.
Qualcosa dentro di me cercava di combattere quel senso di paura e delusione: per una volta la mia testa si rifiutava di accettare di essere giunta a quella conclusione. Per la prima volta in tutti quei mesi la mia mente non cercava di trovare collegamenti a ciò che era successo per confermare una colpevolezza, ma al contrario per confutarla.
- All'inizio credevo che non sarebbe stato necessario cacciarti, o cospirare contro di te. Non avevo capito che non c'era spazio per entrambe in questo gruppo e che una delle due doveva sparire.
O meglio, lo sapevo, ma credevo che ci fosse una scappatoia. Volevo esserti amica sul serio. Ti conoscevo, eravamo già amiche, ed ero convinta che non avrebbero mai diviso le due care amiche. Ti avrei aiutato a capire come funzionava qui, non avresti potuto fare a meno di me. La Fenice non avrebbe potuto fare a meno di me.
Non sapevi niente di come andava tutta questa "roba". Questa roba... come se sapessi dove fossi capitata, come se fosse così normale essere accettati nell'A! Non avevi idea di niente, delle tue responsabilità, dei tuoi obblighi.
Ma ho resistito, ho pensato: "Magari, con il mio aiuto, capirà che il gruppo A è roba seria". Ma poi hai cominciato a calpestare ogni regola: a parlare con i B1, quasi rischiando di far scoprire i nostri accordi segreti; a confidarti con Buljat come se foste amici da una vita, nonostante ti avessi allarmato su di lui e ti avessi raccontato tutto quello che sapevo sul TCI.
Non ti avrei mai permesso di distruggere ciò che avevo faticosamente costruito.
Così sono entrati in gioco Claudia e Orlando. Avevo bisogno della loro collaborazione per ottenere ciò che volevo, ma allo stesso tempo non volevo rischiare di essere scoperta. Così mi sono finta vittima, e allo stesso tempo avrei allontanato i sospetti da me.
Niente di più facile: nella fase finale della Coppa Squadre il tabellone era insostenibile, avrei perso comunque. Ero nello spogliatoio da sola. Un colpo secco sul ginocchio. Niente di grave, il giusto per simulare un'aggressione e rimanere fuori dal circuito per un po'.
E poi il tocco di classe, in messaggio anonimo: "Se non fate come dico io, la povera Giulia ci rimarrà secca".