La Fenice #1 [La Fenice Serie...

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Fama, bellezza, successo. I ragazzi del gruppo A della Fenice hanno tutto e chiunque vorrebbe essere come lor... More

Introduzione
.
Prologo
I. - L'exhibition
II. - Il gruppo A
III. - Non posso restare
IV. - Sguardo al passato
V. - Una proposta
VI. - Il raduno
VII. - Fine del sogno
VIII. - Gerarchie
Q&A
IX. - Incontri inaspettati
X. - Il Consiglio
XI. - L'ultimo ostacolo
XII. - L'Opening
XIII. - Il nuovo volto
XIV. - Impressioni
XV. - Una dei tanti
XVI. - La missione
XVII. - Niente sarà più come prima
XVIII. - La radura
XIX. - Tutto quello che non sai
XX. - Disillusione
XXI. - Troppe attenzioni
XXII. - Lampi nel vuoto
XXIII. - Esprimi un desiderio
XXIV. - La sfida
XXV. - Il mostro del lago
XXVI. - Dall'altra parte del vetro
XXVII. - Senza via di uscita
XXVIII. - Il rompicapo
XXIX. - Rivelazioni
XXX. - La partita d'esordio
XXXI. - Niente è cambiato
XXXII. - Quello che conta davvero
XXXIII. - Oltre le apparenze
XXXIV. - Un passo in avanti
XXXV. - Vittorie e sconfitte
XXXVI. - Le parole non dette
XXXVII. - Sussurri
XXXVIII. - La storia più convincente
XXXIX. - Città fantasma
XL. - Fuga dalla realtà
XLI. - Lontano dagli occhi
XLII. - Un nuovo anno
XLIII. - False identità
XLIV. - Fuori programma
XLV. - Omissioni e bugie
XLVI. - Nella notte
XLVII. - La verità
XLVIII. - Dolce e amaro
XLIX. - Vendetta
L. - Neve
LI. - Il piano
LII. - Un momento per riflettere
LIII. - La punizione
LIV. - Presenze
LV. - Benvenuta nel nostro mondo
LVI. - L'abbandono
LVII. - Qualsiasi cosa accada
LVIII. - Non è il posto adatto a te
LVIII. - Un spiraglio di luce
LIX. - Il primo allenamento
LX. - Lei non è più qui
LXI. - Smarrimento
LXII. - Parole nel vento
LXIII. - Sotto la maschera
LXIV. - Un nuovo viaggio
LXV. - Emozioni
LXVI. - Istinto e paura
LXVII. - Incontri cercati
LXVIII. - Te lo prometto
LXIX. - Il vero nemico
LXX. - Marcia indietro
LXXI. - Così lontani
LXXII. - La prova decisiva
LXXIII. - L'ultima battaglia
LXXIV. - Compromessi
26.08.2017 - Fenice Day
LXXV. - Apri gli occhi
LXXVI. - Il risveglio
LXXVII. - Il posto sbagliato
LXXIX. - Sola
LXXX. - Prima pagina
LXXXI. - Al limite
LXXXIII. - Eri tu
LXXXIV. - L'ultima exhibition
LXXXV. - Ferite del passato
LXXXVI. - La connessione
LXXXVII. - Ventiquattro ore
LXXXIX. - L'addio
LXXXIX. - Nuovi Ricordi
XC. - Quella notte
XCI. - Guardarsi dentro
XCII. - L'ingresso segreto
XCIII. - Vittorie e sconfitte
XCIV. - È troppo difficile dire addio
XCV. - Schegge di luce
XCVI. - Non qui
XCVII. - Non capirò, non capirai
XCVIII. - Corsa contro il tempo
XCIX. - Scontro diretto
C. - La fine
CI. - Flussi di coscienza
CII. - Vincitori e perdenti
CIII. - L'ultima partita
CIV. - Tre passi indietro
CV. - Il Closing
Epilogo
Ringraziamenti

LXXVIII. - L'amara verità

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By variation_theme

Non riuscii a ricordare un periodo della mia vita così fitto di incubi come quello che seguì il mio incidente. A volte mi sorprendevo in classe, nello spogliatoio, in campo, a mandare e rimandare indietro quelle scene nella mia testa.

Orlando non era il responsabile di quegli atti di bullismo, ma aveva le sue colpe. Iniziai a pensare che quel "non fidarti di nessuno" che Giulia mi aveva detto in sogno includesse anche lui. Mi ero fatta trascinare dalle suggestioni di quel sogno, e avevo perso tempo prezioso per indagare su Ivan, che aveva così avuto il tempo di far perdere le sue tracce.

Se c'era una cosa in grado di consolarmi adesso, era solo il tempismo della mia aggressione. Jade non aveva perso l'occasione di trasformarmi in una vittima. E dopo la CS non c'era niente di meglio che questo per distogliere dall'attenzione dalla sconfitta. 

La gente si schierò subito dalla mia parte. Chiunque, dentro e fuori l'accademia, non faceva altro che chiedermi se stessi bene. Il divieto di Cresci di avere contatti con televisioni e giornali a parte quelli strettamente interni alla Fenice non fece altro che mitizzare la mia figura. Gli sponsor che tanto mi avevano evitato nei mesi precedenti adesso intasavano la linea telefonica di Jade.  

Eppure, non riuscivo a godere di quelle attenzioni. Il prezzo da pagare era stato troppo alto: la pena delle ferite, l'impossibilità di rimanere da sola in una stanza senza entrare nel panico più profondo, senza uscita. L'ansia che mi saliva all'interno di un ascensore, la paura del buio. 

Nonostante tutto, mi mantenevo concentrata sulla convalescenza. Tutte quelle ore di fisioterapia cominciavano a sortire i loro effetti, ma avevo ancora problemi di equilibrio e per questo il mio calendario era tornato vuoto. Cercavo di rimanere positiva.

Giulia tornò alla Fenice dopo qualche giorno, portando con sé una massa di interrogativi su quale sarebbe stata la sua sorte. Il primo giorno era rimasta a lungo nella stanza di Cresci, e dai campi io e gli altri tentavamo di cogliere qualcosa senza successo.

Erano le tre del pomeriggio quando la vidi arrivare alla Fenice. Io stavo facendo qualche esercizio di stretching in campo insieme a John. Ci guardò da lontano e ci fece un cenno, ma non sembrò volersi avvicinare. Ricambiai, alzandomi. Non sapevo cosa dirle, non sapevo neanche perché mi stessi avvicinando. 

Le feci un cenno, e lei rimase ferma. Poco dopo scorsi sul suo volto un sorriso di circostanza, e mi accorsi che forse anche io non sapevo bene come comportarmi. Ero nervosa, ma non riuscivo a coglierne il motivo.

- Giu! - dissi, avvicinandomi. Eccolo, il momento. Giulia era proprio davanti a me. Schiarii la voce e cercai di comportarmi in maniera naturale, sperando che non si accorgesse dello sforzo.

- Beca, ciao - disse, ricambiando il mio abbraccio con distacco. 

- Ho saputo quello che ti è successo, come stai?

- Meglio. E tu? Quando sei tornata?

- Questa mattina. L'SV ha viaggiato tutta la notte - rispose con compostezza, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata fugace alle mie spalle.

- E negli scorsi giorni dove sei stata?

La mia finta naturalezza non era abbastanza e lei mi rivolse uno sguardo dubbioso mentre rispondeva al terzo grado.

- In Australia, ma li è ormai autunno e ho deciso di tornare. Era arrivato il momento – sorrise.

- Ci sei mancata. – dissi, e l'abbracciai ancora. 

– Anche voi, a me – rispose con così poca convinzione da farmi venire i brividi.

In quei pochi secondi mi sembrò di vagliare la possibilità di chiederle se quella conversazione fosse avvenuta davvero una moltitudine di volte, ma mi sembrava patetico. Allo stesso tempo, non sapevo come affrontarla e spiegarle ciò che era successo in sua assenza.

- Io... devo parlarti - aggiunsi. Lo sguardo di Giulia si fece sorpreso.

- Di cosa? - chiese, e avvertii ancora più chiaramente, nelle sue parole, quel freddo che mai avrei voluto sentire.

- Di qualcosa che riguarda me, te, Claudia. Tutti noi. Io so cosa sta succedendo.

- Non so proprio di cosa parli, Beatrice, e vorrei che tu non ne parlassi più - ribatté seccamente. Rimasi di sasso.

- Io... vado da Cresci. Mi sta aspettando - aggiunse, dopo il nostro prolungato silenzio.

- Sì... Certo.

- Ci... vediamo - aggiunse.

- Certo - risposi, guardandola andare via.

Quando tornai da John per proseguire lo stretching non riuscii a capire bene cosa era accaduto. La freddezza di Giulia, dopo la sua enigmatica partenza e il suo ancor più enigmatico ritorno, mi aveva lasciato senza parole.

- No, Beatrice. Non così... - disse John con tono di rimprovero, sistemandomi la gamba. Ebbi un brivido di dolore. 

- Oh, scusami John... - sussurrai.

- Ti vedo distratta oggi - aggiunse, rivolgendo un cenno più in fondo, dove avevo salutato la mia amica.

Giulia era andata via, Giulia era tornata. E per di più, non potevo ignorare quello che la Giulia della visione mi aveva detto, soprattutto dopo che quello che aveva detto su Orlando si era rivelato vero. 

Eppure la ragazza che avevo appena incontrato non aveva intenzione di parlarmi.

"John è la chiave"

- Cosa le succederà? - chiesi con apprensione. Lui fece un sorriso di circostanza.

- Non lo so, Beatrice. Quello che Cresci riterrà opportuno.

Sbuffai. Per quanto mi riguardava, John poteva essere al corrente di qualsiasi oscuro segreto sulla Fenice o sul nostro stalker, ma non sarei mai riuscita a carpirlo. Era la persona a cui mi ero più affezionata del team, ma anche la più difficile da interpretare.

- Tornerà ad allenarsi con noi? - chiesi.

- Immagino di sì. In fondo, credo che sia tornata per questo. Alzati, cambiamo esercizio - ordinò. Non aveva molta voglia di parlarne. 

.

La seduta di stretching fu interrotta da una delle numerose piogge torrenziali di Aprile. Gli altri raggiunsero direttamente i campi coperti, per me una sessione straordinaria di mental training. Quando l'acquazzone cessò io e Riccardo finalmente uscimmo per il nostro primo allenamento di ritorno dopo la CS. Era tornato proprio il giorno in cui io e lo stalker ci eravamo trovati più vicini che mai, senza sapere cos'era successo davvero.

Fuori non faceva poi così freddo, il viale si era asciugato in fretta. Ma i nuvoloni grigi che fluttuavano all'orizzonte ci facevano procedere con cautela. Probabilmente avrebbe piovuto di nuovo. L'aria era fresca e profumata di foglie, qualche volta arrivava anche una goccia d'acqua portata dal vento e rimasta ancorata ai rami degli alberi. 

Costeggiammo il campo di calcio: al suo interno i ragazzi del B2 schiamazzavano, altri simpaticoni del D si lanciavano disgustosi palloncini riempiti con l'acqua delle pozzanghere. Intorno qualcuno decideva sul da farsi, i ragazzi più grandi con cavigliere e asciugamani bianchi intorno al collo scherzavano tra loro e camminavano verso gli spogliatoi.

Riccardo non mi disse cosa c'era in programma per quel giorno, ma cominciò a camminare. Dopo aver superato il loft capii capii che era diretto verso il labirinto.

- No – dissi perentoria. Non avevo più varcato ancora quella soglia, non dopo tutto quello che era successo l'ultima volta.

- È ora che impari la strada – disse Riccardo, passando lo smart e spingendo il cancello. Iniziai a seguirlo, tenendo d'occhio il cancello che continuava ad allontanarsi.

Quando mi girai la visione del boschetto mi lasciò senza fiato. Era molto diverso da come l'avevo lasciato. Sembrava che ogni singola pianta, ogni goccia che cadeva sul terreno dopo aver dondolato su una foglia, avessero vita. I cespugli che nei mesi precedenti erano apparsi inanimati, secchi e scuri, adesso splendevano di margherite aperte verso il cielo. 

A volte un piccolo tocco di colore rivelava la presenza di campanule, cespugli di ibisco rosso. Le foglie di edera intorno ai tronchi più sottili erano di un verde brillante. Il profumo di gelsomino e rosmarino ci riempiva i polmoni. La pioggia sembrava amplificare i profumi di quei cespugli.

- Perché lo fai? Dopo quello che è successo alla CS... - chiesi dopo qualche tempo, riprendendo strada. Nello stesso istante scivolai in mezzo al vialetto. Il didietro ne restò completamente zuppo.

Riccardo scoppiò a ridere.

- No, tranquillo, non trattenerti - bofonchiai.

Mi porse la mano, tenendola stretta e tirandomi su. Atterrai a pochi centimetri da lui.

- Giusto. Dimenticavo che non posso lasciarti da sola un attimo in questo posto.

Il suo tono di voce era così delizioso che sentii lo stomaco contorcersi in un attimo, mentre rimanevo immobile davanti a lui. Stavo arrossendo, lo sentivo.

- Sono solo inciampata – mi dimenai sofferente. Come sempre lui ignorò la mia risposta.

La conversazione in palestra si era chiusa parlando di Sarah e di ciò che era successo nel labirinto, ma prima di allora i nostri toni non erano stati amichevoli.

- Quello che è successo non c'entra nulla, e in ogni caso non mi prenderei tanto disturbo se non mi avessero appioppato te e se la tua inesperienza, e soprattutto se il tuo pessimo orientamento non lo rendesse necessario.

- Sul serio, Riccardo. E' davvero così importante? – chiesi, ridendo terrorizzata.

- Certo che è importante. Non può ricapitare. Se non ci fossi stato io la scorsa volta...

- Ricevuto – risposi con un cenno incerto del capo. Presi a correre insieme a lui.

Corremmo per circa mezz'ora, e di tanto in tanto Riccardo indicava qualche nuova strada che sbucava da quella maestra, oppure mi faceva vedere la nostra posizione sul suo smart, almeno finché c'era segnale. 

Era assurdo come tutto fosse ormai tracciato e rintracciabile, ma in quella foresta la connessione rimaneva debolissima. Solo in alcuni punti riuscivamo a stabilire un contatto, ma durava pochi attimi e il segnale successivo ritornava dopo chilometri.

Ci fermammo nella stessa identica radura che avevo percorso prima di imbattermi nella stradina dei sussurri. Era passato così tanto tempo che quasi non la riconobbi. L'aria era calda e profumata, la debole luce del sole illuminava una struttura in pietra posta al centro, che presa dal panico non avevo notato. 

Sembrava tutto così diverso: il cumulo di pietre era circondato da grossi arbusti ricchi di fiori piccoli e gialli. Intorno ad un cespuglio di rosmarino un gruppo di mosche svolazzava disordinato. Intorno a noi gli alberi che prima apparivano spogli e tristi, ora erano ricolmi di foglie che vibravano al passaggio di qualche piccolo animale. Il rumore dei grilli era assordante. Sembravamo soli al mondo.

- Sai cos'è? – chiesi avvicinandomi alla struttura. Appoggiai il piede ben saldo su quello che doveva essere il tetto. A pochi metri da me una grossa cornice ormai quasi completamente sotterrata sembrava celare la porta d'ingresso della facciata principale.

- Masserie abbandonate. Questa foresta ha solo un secolo di vita, ma è stata utilizzata tanto nei primi anni da chi viveva qui.

- Vuoi dire che ci abitava qualcuno? – chiesi. La mia voce rimbombò nel vuoto e per un secondo tutto divenne scuro a causa di una nuvola passeggera.

- No, qui ci tenevano gli animali.

Girai intorno a quella struttura. In alcuni punti gli arbusti erano abbastanza radi da mostrare le aperture, finestre rudimentali. Erano ombreggiate da zanzariere ormai scure per la polvere, e dietro di queste erano sbarrate da persiane in legno scuro e malandato. Tutte tranne una. Una finestra mostrava uno scorcio dell'interno. Si vedevano solo pietre e arbusti, nient'altro.

- È proprio tranquillo questo posto.

- Io e Alessandro venivamo qui per questo. Nei primi metri del labirinto trovi chiunque, ma pochi si addentrano in quelli che secondo me sono i punti migliori della foresta. Basta camminare per qualche altro metro e si diventa invisibili, a patto che si sappia dove andare.

- Proprio quello che serve a me – commentai sarcastica, salendo sul tetto della struttura per continuare lo stretching.

- Non è da tutti. La maggior parte dei ragazzi dell'accademia ha paura di entrarci.

- Anche io, credimi.

- E allora perché ci vieni?

- E' l'unico posto in cui mi sento al sicuro.

Lui si avvicinò a me. Sentii le sue mani accompagnarmi la schiena, raddrizzandola, e portandola più in avanti. Riuscii finalmente a toccare con le punte delle dita le punte delle scarpe. Anche se faceva male, il tocco deciso di Riccardo mi sollevava dal dolore. Il suo profumo mi chiuse lo stomaco definitivamente.

- Se è Cresci che ti preoccupa, dovresti lasciar perdere. La tua punizione l'hai avuta, non hai più infrazioni – scoppiò a ridere. 

Alzai il busto giusto in tempo per sferrargli una gomitata sulle costole. Si spostò appena in tempo, ma perse l'equilibrio e cadde a terra. Mi guardò sconvolto, poi allungò la gamba e con il piede toccò l'incavo dietro il ginocchio. Mi piegai quasi immediatamente, cadendo a terra anch'io.

- Giusto per pareggiare i conti – aggiunse.

- La gente dice che non sei simpatico. Io ti trovo esilarante – commentai, rendendomi subito conto che la delicatezza non era proprio un mio pregio.

- Grazie, ora che me l'hai detto tu posso stare più tranquillo.

- Vedi come sei? Anche quando qualcuno ti fa un complimento riesci a prendertela!

- Ah... era un complimento? – mi guardò sottecchi in segno di sfida. Quello sguardo e l'intera situazione mi imbarazzarono a tal punto che dovetti cambiare esercizio e voltarmi di spalle per recuperare un colorito decente, prima di spostarmi nuovamente in sua direzione.

- Lo sai che non è Cresci che mi preoccupa, ma non mi credi, quindi eviterò di dirlo un'altra volta in modo da non essere ancora derisa da te.

Lui rimase in silenzio. Il rumore assordante dei grilli tornò in primo piano fino a quando lui non aggiunse, incerto: - Ancora con la solita storia, vero?

Non riuscii a capire se il suo tono era preoccupato, o se ancora una volta mi stava prendendo in giro. Ma sentivo che quel pomeriggio non potevo litigare, non con lui.

- Già. Lasciamo perdere. Non ho voglia di annoiarti con la "solita storia".

- Non ti stavo prendendo in giro. Se c'è qualcosa che vuoi dirmi, dimmela. Non ti interromperò stavolta.

- Non ce la faccio.

- Provaci.

Feci un respiro, sentendo le vertigini. Sapevo che quel'argomento era un campo minato per me, e sapevo che non sarei riuscita a dire tutto quello che avrei voluto. Ma per una volta mi resi conto che non era mancanza di fiducia in Riccardo.

- Ho un problema. Un problema che mi affligge da molto tempo. Ci sono momenti in cui riesco a gestirlo, ma durano pochi attimi. La maggior parte delle volte sto male, davvero male. E ogni volta che credo di averlo superato, di essermene liberata, ritorna a tormentarmi. Pensavo che stesse andando meglio, ma non è vero. Va... sempre peggio.

- Hai provato a risolverlo, questo problema?

Avevo un blocco, un problema. Il segreto che continuavo a custodire da quando ne avevo memoria era ancora lì, assopito in un angolo della mia mente, pronto a sovrastarmi. A distruggermi.

- Non è così facile.

- Non riesco a capire. Tutto si può risolvere.

Non ce la facevo. Non potevo dirglielo.

- No, non tutto. Ma non fa niente, Riccardo. La verità è che non mi sono capita neanche io.

Tentai un sorriso, avanzando nell'erba, ma dopo pochi passi notai che il ragazzo non mi seguiva.

- Sul serio? Ti arrendi così facilmente? - la sua voce aspra risuonò nel silenzio tombale del labirinto.

- Non mi sto arrendendo. È che la storia è più complicata di così e non ho voglia di parlarne.

- Non è così facile, o sei tu che ormai ti sei così abituata a fare questa... parte?

- Questa parte? Quale parte?

- La parte della vittima, Beatrice. Mi hai tormentato tutto l'anno con questa storia del non averti capito, e adesso che hai l'occasione di farmi ricredere su di te, di spiegarmelo, ti tiri indietro. Credevo fossi più coraggiosa. Pensavo avessi capito che tutto questo fa parte del gioco. I segreti, le folle, la paura... È tutto parte del gruppo A.

Ridacchiai istericamente. - Non sai di cosa parli...

- Davvero? La verità è che non sono io a non volerti ascoltare, ma tu a non voler parlare. Sono un po' deluso.

Persi la mia già vacillante calma definitivamente.

- Forse sei tu che sei un po' deludente! Non puoi capire, nessuno può capire che cosa significa. Sapevo che non dovevo parlarne con te, continuo a fare questi errori idioti senza rendermene conto!

Mi girai e tornai indietro camminando furiosamente.

- Dove stai andando?

Continuai a camminare, fino a raggiungere l'ingresso della foresta. Uscii e cominciai a camminare verso il cardo, con le lacrime agli occhi. Ancora una volta mi sentivo solo presa in giro da Riccardo, colpita nelle mie debolezze senza neanche il tentativo di essere compresa.

Quando ero convinta di averlo ormai seminato, sentii la forte presa sul braccio che mi costrinse a girarmi.

- Non parliamone più, ok? Basta. Evidentemente non capisci e non ti interessa. Ma io sono davvero sfinita.

- Sei davvero così permalosa? Non riesci ad affrontare qualcuno che ha idee diverse dalle tue? Sto cercando di farti ragionare, di farti parlare, e tu non riesci nemmeno a mantenere la calma!

- Ah, quindi tutto questo è una reazione alle tue parole? Cosa sei uno psicologo, adesso?

- No, ma si capisce lontano un miglio che stai cercando aiuto per questo, solo che sei così egocentrica o orgogliosa che forse hai deciso di affrontarla da sola. Pensi davvero di svegliarti un giorno e capire di essere pronta ad affrontare i tuoi problemi? Non funziona così! Non ci sarà mai la bacchetta magica che ti farà superare i tuoi problemi se non riesci neanche a stare calma mentre ne parli!

- Possiamo non parlarne più? – urlai tra le lacrime – Non voglio parlarne più, chiaro? Smettila!

Sospirai, strofinandomi la manica della maglietta sugli occhi ormai arrossati. Ero in iperventilazione e non riuscivo a fermarmi. Ci stavo provando con tutte le mie forze ma non ci riuscivo.

- Senti, non è colpa tua – sospirai, cercando di recuperare la calma. Per un secondo sentii un giramento, non ben sicura delle parole che stavano per uscire dalla mia bocca. Mi sentivo male, quasi di svenire.

- Evidentemente questa cosa non funziona. I nostri allenamenti non dovrebbero essere così. Chiudiamola qui.

- Sei seria? – alzai lo sguardo. Riccardo mi fissava incredulo. Risposi di sì, ma la mia voce sembrava estranea a me, come se qualcun altro avesse risposto al posto mio.

- È inutile che ci provi, non riuscirai a darmi la colpa per quello che ti succede. Non farò io il cattivo della situazione, Beatrice. È solo colpa tua se le cose ti vanno così. Fai la perfezionista per mascherare la tua paura di affrontare qualsiasi cosa, ti organizzi anche nelle cose più semplici perché non vuoi affrontare la realtà, e cioè che ci riesci solo quando vivi nell'ordinario. Ma appena le cose si fanno difficili, appena comincia la vera sfida, fai solo casini. E l'hai dimostrato davanti a tutti quando hai rubato i vestiti di Orlando.

- Non ci posso credere – mi girai. Claudia, Alessandro, Giulia, Noemi, Hugo e Orlando mi guardavano esterrefatti.

- Cosa? - chiese Claudia, con la voce strozzata.

- È la verità, Beca? Sei stata tu? – Giulia mi guardava sconvolta.

Mi girai verso Riccardo. No, non era stato un caso. L'aveva fatto di proposito. Li aveva visti arrivare e aveva deciso di sganciare quella bomba con il solo scopo di farmi stare ancora più male.

Mi girai ancora, come per cercare se cercare la comprensione di qualcuno. Ma non c'era perdono per me. Orlando mi guardava ammutolito.

- Come hai potuto? – sussurrai a Riccardo, ancora furente.

- Sei veramente patetica. Tu, con le tue manie di protagonismo e le tue ossessioni... Non mi sbagliavo su di te – il suo tono era disgustato.

- Ti permettevi di giudicare noi dall'alto della tua etica, e poi sei riuscita ad elaborare un piano per mettere in imbarazzo un tuo compagno di squadra? Complimenti, Capuano – aggiunse Alessandro.

- Domani avviserò Cresci della tua decisione – disse Riccardo, ma quasi non lo sentii. Cominciai a correre, via da lì, sconvolta, spaesata. Distrutta.

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