- Abbiamo vinto una finale U18 e perso l'altra. 500 e 250 punti. 750 totali. Il TCI lo stesso: 750 punti.
- E pensare che per un manciata di secondi avremmo potuto perderle entrambe.
- Come sta adesso? – mi chiese Hugo mentre continuava a macinare numeri della sua testa.
- Bene, l'hanno portata in albergo. A quanto pare ha avuto un'intossicazione alimentare.
- Cresci ne sarà contentissimo – commentò sarcastico - 1450 per noi e 1100 per loro, ma c'è ancora molto in ballo – concluse con il suo squillante accento argentino.
- Le distanze si accorciano – commentai pensierosa.
Ci sedemmo vicini durante la partita di doppio di Orlando e Riccardo. Hugo batteva nervosamente le punte dei piedi sulla gradinata, e le sue gambe non stavano un attimo ferme.
Grosso e Gary, il thailandese che lo scortava ovunque andasse, uno tozzo e muscoloso, l'altro alto e agile, mettevano paura. Non che Orlando e Riccardo non ne incutessero. I due ragazzi della Fenice erano tra i migliori U18 d'Italia, e Orlando era tra i primi venticinque del mondo.
I colpi sensazionali non si fecero attendere. Orlando a rete faceva quello che voleva, alternando colpi accarezzati da gran maestro a smash sugli angoli, impossibili da prendere. Grosso a rete diventava una montagna. I game si giocavano tutti sul 40 pari e nessuno sembrava riuscire ad imporsi. Alla fine però, con i nervi saldi e pazienza, Riccardo si era guadagnato due breakpoint sul 5 – 4 con lo smash e aveva chiuso con una risposta lungolinea il primo set.
Dagli spalti si levarono grida euforiche e io sentii un peso in meno sullo stomaco. Il campo 1 era semideserto. Hugo tornò dal campo con una buona notizia: il TCI aveva perso la finale U16. Eravamo 1450 a 1250. Stavo tremando. Non era ancora finita, tutto era ancora in ballo, soprattutto perché con uno strettino di diritto di Gary si era guadagnato l'accesso al terzo set siglando il 6 – 2. Una strana paura cominciò a farsi largo: che il mio doppio misto, l'ultima partita rimasta, si sarebbe rivelato più importante del previsto.
Il sole era alto nel cielo e splendeva con forza, la tensione era così alta che non sentii più il bisogno della giacca. Il tiratissimo terzo set che avrebbe assegnato la vittoria sembrava non voler finire mai.
Durante uno dei cambi campo la folla sembrò agitarsi. Poco dopo sulle gradinate comparve Claudia, con uno sguardo neutro e dignitoso. Vederla in quel modo mi colpì, più di quanto potessi immaginare.
Stava affrontando quella brutta figura, e quei giorni da incubo del torneo, con una tale grazia, una tale eleganza, che provai invidia, una vera e sana invidia nei suoi confronti. Si sedette accanto a me, i suoi occhi ancora un po' lucidi e incavati. Applaudì insieme al resto del pubblico un'altra giocata straordinaria della nostra squadra, poi mi chiese il punteggio.
- Sei pari – dissi trattenendo il respiro per la tensione.
Il pubblico era tutto per Orlando, dopo il passante rifilato a Grosso, ma io non riuscivo a staccare gli occhi da Riccardo. Il pugno teso dopo ogni punto vinto, la mano sinistra che accarezzava i capelli scuri, il saltello prima di rispondere.
Il suo sguardo era fisso e profondo, come se stesse passando gli avversari ai raggi x. Si girò di spalle, Orlando lo raggiunse a fondo campo. Con una mano davanti alla bocca si diedero istruzioni. Il punteggio era sul 6 - 3. I ragazzi avevano tre match point.
Neanche il tempo di realizzare, che subirono un'inaspettata rimonta. Il lob alto e perfetto di Orlando superò ancora una volta Grosso, nervoso e infuriato più che mai, colpendo la riga esterna del corridoio. Gary andò subito per segnarla: secondo lui era fuori.
Mi alzai in piedi, ero convinta fosse entrata. Il giudice di sedia scese dal trespolo e corse verso la riga, tra le proteste dei ragazzi della Fenice che si erano avvicinati alla rete cercando di non fare invasione. La decisione del giudice era però presa. Dentro.
Feci un respiro di sollievo. Il punteggio era di 7 a 6 per la Fenice. Il sollievo durò poco: il diritto di Orlando ancora una volta di smorzò sulla rete, cedendo al servizio dell'avversario. Parità.
I ragazzi stavano cambiando campo sul 9 pari. John, serioso, si posizionò accanto a loro e cominciò a parlar loro animosamente. Mancavano solo due punti e quell'interminabile match sarebbe stato loro.
- Dai, sono solo due punti – disse nervosamente.
- Ce la faranno, devono farcela – sussurrai.
Il servizio di Riccardo, dritto sulla T, fu recuperato per miracolo dai ragazzi del TCI che dopo due scambi si aggiudicarono il punto. Match point per gli avversari. Mentre intorno il pubblico esultava per la performance delle squadre, io non riuscivo più a godermi quei colpi. Tremavo.
Seguii quel punto con il cuore in gola, quasi tentata dal girarmi. Riccardo sferrò un rovescio lungolinea così potente da lasciare completamente immobile l'uomo a rete. La palla tesa lo superò e andò a depositarsi perfettamente sulla linea di fondo, fuori.
Non era possibile. Non era vero. Sentii le orecchie ovattarsi, mentre il giudice di sedia proclamava il punteggio. Il boato del TCI alle mie spalle era da brivido.
- Non è possibile – mi girai correndo verso Hugo, saltando gente e gradini e rischiando di cadere. Hugo non si girò e si limitò a dire, con voce strozzata: - 1600 a 1700. Il TCI ci ha superato.
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Avevo passato l'ultima ora di gioco sudando freddo. Non poteva andare meglio di così, le sorti dell'intera Coppa Squadre erano nelle mie mani, e in quelle di Orlando.
John e Marzio ci avevano chiamato, a me e Orlando, mentre gli altri erano andati a mangiare. Erano ormai le due del pomeriggio e la tensione era altissima. Ci appartammo dietro i campi dei bambini, gli ultimi, i più lontani, per metà riparati dall'alto e inaspettato sole cosicché nessuno potesse disturbarci.
John fece un lungo discorso motivazionale, in cui spiegava che sarebbe stato Orlando, il più esperto, a trascinare la coppia. Io dovevo solo rimanere calma, anche se sembrava sempre più difficile, e attenermi gli schemi.
- Gli schemi – mi bloccai sul vialetto. Orlando mi guardò come se fossi un'aliena.
- Non me li ricordo. Non mi ricordo niente.
- Smettila di comportarti come una ragazzina, Capuano. Non servono ad un cazzo gli schemi di Cresci. Tu fai solo quello che ti dico e andrà tutto bene.
Orlando era stranamente calmo, ed era come se sapessi che dentro di lui c'era una sorta di rassegnazione. Vedere le facce amareggiate degli altri mi fece capire che l'unica possibilità di vittoria fosse nella stanchezza di Grosso e della Stanford.
Entrai in campo tesa come una corda di violino. Il centrale era in subbuglio. Sentivo urlare incitamenti, i punteggi, opinioni non richieste e spesso sbagliate, sguardi attenti e distratti. Mi sistemai in campo dopo un riscaldamento pessimo, ero un tronco di legno.
Orlando mi sussurrò qualcosa all'orecchio che non riuscii neanche a capire, tanto era il caos. Nel giro di pochi minuti, come se stessi assistendo ad un film, mi resi conto che avevamo perso il primo set per 7 – 5.
- Non stiamo giocando male. Grosso sta sempre a sinistra, tira solo dritti a uscire. Mi spingerà fuori, dovrai coprire il centro. La Stanford non scende mai a rete. Quando è abbastanza lontana, fanne una delle tue. Guardala, gioca dieci metri dietro. Possiamo farcela, Capuano. Chiaro?
Feci un cenno di sì, ma non ne ero troppo convinta. Quando Emilia tirò il primo servizio potente e ad uscire, non vidi neanche la palla. Grosso si girò ed esultò con l'amica.
La partita prese un andamento più equilibrato. Dentro di me, era come se due persone diverse si confrontassero. Una sicura di se, che si incitava e che era sempre pronta a vincere ogni punto; l'altra che timorosa e indecisa.
Non giocavo solo contro l'avversario, giocavo soprattutto contro me stessa.
Orlando urlava e mi caricava. Sentivo l'adrenalina spingermi a fare meglio, ed era un bene perché lui, complice la stanchezza, aveva cominciato a perdere colpi. L'ennesimo errore fu il tweener, assolutamente non necessario, che regalò il primo match point alla squadra avversaria.
Ero furente, tirai senza pensare. Ace. Fuori dal campo esplosero tutti. Non avevo mai tirato così forte.
Tiebreak. Quella CS poteva essere ricordata per i tiebreak decisivi. Solo che essere in campo era un'altra cosa.
- Forza – mi sussurrò Orlando dando le spalle al resto del mondo. Poi buttò giù un sorso di liquido blu, e io feci lo stesso con il mio. Mi afferrò il polso destro, sentivo la sua presa forte avvolgerlo con forza. Rimasi immobile, guardando il mio asciugamano bianco appoggiato sulle gambe.
- Portiamocela a casa – disse, poi lasciò la presa.
I punti si susseguirono veloci e intensi. Orlando riprese la grinta del primo set, io mi ero ormai fatta scivolare la tensione e la paura. Qualcuno gridò dagli spalti durante lo scambio. Colpii male la palla, che finì sulla rete di recinzione laterale. Corsi a prendere una nuova racchetta. Erano le terze corde che rompevo in quel torneo.
- Ti sembra normale questo casino, giudice? – urlò Orlando. L'uomo sul seggiolino aveva invitato al silenzio, ma non aveva concesso la palla disturbata, convinto che avessi colpito dopo l'urlo.
- Ma non è vero! – dissi con le mani al cielo. Orlando, mi rivolse uno sguardo impotente. I punti successivi continuarono così, col cuore che non la smetteva di battere fortissimo e la tensione nervosa che affiorava sulla pelle. Stavamo giocando bene, eravamo ormai carichi e pronti per il terzo set. E allora perché eravamo sotto 6 – 4?
- Calma – mi disse solo Orlando, prima di prendere posto. Grosso, con il suo insidioso servizio mancino, si preparava a servire. Presi coraggio, e feci anche io un passo nel campo. Orlando non se ne rese neanche conto.
La palla arrivò precisa sul mio diritto, Emilia Stanford che mi guardava con gli occhi neri e piccoli. Tirai, quasi chiudendo gli occhi. Diritto lungolinea. Era la prima risposta lungolinea che tiravo, sperando di sfruttare l'effetto sorpresa. La palla superò la racchetta di Emilia e andò depositandosi sulla riga di fondo.
Grosso alzò subito il braccio per segnalare l'out. Quel gesto, anche se legittimo, mi fece andare su tutte le furie. Il giudice di sedia ci mise un po' per valutare la palla. Ci girò intorno più volte, poi decretò la sua decisione.
- La palla è fuori – pronunciò.
Da quel momento tutto sembrò attutito. Le urla, il rumore, la lacrima che scivolò giù dall'occhio destro e che si depositò sul vestitino. Guardai il mio compagno di squadra: per la seconda volta lo sguardo di Orlando sembrò sinceramente triste.
I ragazzi del tennis Club Italia alzarono le braccia al cielo. Avevano vinto.
La premiazione, le foto, tutto ciò che accadde quel pomeriggio del 18 Marzo per me erano come ombre sulla terra rossa. L'atteggiamento della Fenice, anche dopo la sconfitta, doveva essere fiero, ma la verità era che nessuno aveva voglia di fingere.
Avevo pianto, in un misto tra tensione e tristezza. Ero così delusa da me stessa che non riuscivo guardare oltre i miei piedi, ripetendomi che se avessi avuto più coraggio, se non mi – fossi comportata come una ragazzina – le cose sarebbero andate diversamente.
Avevo solo voglia di andarmene il prima possibile.
Adesso, mentre caricavo le mie cose sull'SV che mi avrebbe riportato a casa, vedevo alberi e foglie perdersi dietro gocce di pioggia pesanti.
Noemi guardava davanti a sé il visore aggrappato al sedile davanti, e digitava qualcosa sulla tastiera connessa. Riccardo guardava fuori, lo sguardo perso nel vuoto, così come Orlando e Alessandro, seduti al tavolo vicino.
Aldilà del finestrino aveva iniziato a piovere.
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Ciao a tutti!
Scusate il ritardo! Vacanze anche per ana :)
Cercherò di farmi perdonare con qualche aggiornamento in più la prossima settimana! :D
A presto!
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- 7 days.