La Fenice #1 [La Fenice Serie...

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Fama, bellezza, successo. I ragazzi del gruppo A della Fenice hanno tutto e chiunque vorrebbe essere come lor... More

Introduzione
.
Prologo
I. - L'exhibition
III. - Non posso restare
IV. - Sguardo al passato
V. - Una proposta
VI. - Il raduno
VII. - Fine del sogno
VIII. - Gerarchie
Q&A
IX. - Incontri inaspettati
X. - Il Consiglio
XI. - L'ultimo ostacolo
XII. - L'Opening
XIII. - Il nuovo volto
XIV. - Impressioni
XV. - Una dei tanti
XVI. - La missione
XVII. - Niente sarà più come prima
XVIII. - La radura
XIX. - Tutto quello che non sai
XX. - Disillusione
XXI. - Troppe attenzioni
XXII. - Lampi nel vuoto
XXIII. - Esprimi un desiderio
XXIV. - La sfida
XXV. - Il mostro del lago
XXVI. - Dall'altra parte del vetro
XXVII. - Senza via di uscita
XXVIII. - Il rompicapo
XXIX. - Rivelazioni
XXX. - La partita d'esordio
XXXI. - Niente è cambiato
XXXII. - Quello che conta davvero
XXXIII. - Oltre le apparenze
XXXIV. - Un passo in avanti
XXXV. - Vittorie e sconfitte
XXXVI. - Le parole non dette
XXXVII. - Sussurri
XXXVIII. - La storia più convincente
XXXIX. - Città fantasma
XL. - Fuga dalla realtà
XLI. - Lontano dagli occhi
XLII. - Un nuovo anno
XLIII. - False identità
XLIV. - Fuori programma
XLV. - Omissioni e bugie
XLVI. - Nella notte
XLVII. - La verità
XLVIII. - Dolce e amaro
XLIX. - Vendetta
L. - Neve
LI. - Il piano
LII. - Un momento per riflettere
LIII. - La punizione
LIV. - Presenze
LV. - Benvenuta nel nostro mondo
LVI. - L'abbandono
LVII. - Qualsiasi cosa accada
LVIII. - Non è il posto adatto a te
LVIII. - Un spiraglio di luce
LIX. - Il primo allenamento
LX. - Lei non è più qui
LXI. - Smarrimento
LXII. - Parole nel vento
LXIII. - Sotto la maschera
LXIV. - Un nuovo viaggio
LXV. - Emozioni
LXVI. - Istinto e paura
LXVII. - Incontri cercati
LXVIII. - Te lo prometto
LXIX. - Il vero nemico
LXX. - Marcia indietro
LXXI. - Così lontani
LXXII. - La prova decisiva
LXXIII. - L'ultima battaglia
LXXIV. - Compromessi
26.08.2017 - Fenice Day
LXXV. - Apri gli occhi
LXXVI. - Il risveglio
LXXVII. - Il posto sbagliato
LXXVIII. - L'amara verità
LXXIX. - Sola
LXXX. - Prima pagina
LXXXI. - Al limite
LXXXIII. - Eri tu
LXXXIV. - L'ultima exhibition
LXXXV. - Ferite del passato
LXXXVI. - La connessione
LXXXVII. - Ventiquattro ore
LXXXIX. - L'addio
LXXXIX. - Nuovi Ricordi
XC. - Quella notte
XCI. - Guardarsi dentro
XCII. - L'ingresso segreto
XCIII. - Vittorie e sconfitte
XCIV. - È troppo difficile dire addio
XCV. - Schegge di luce
XCVI. - Non qui
XCVII. - Non capirò, non capirai
XCVIII. - Corsa contro il tempo
XCIX. - Scontro diretto
C. - La fine
CI. - Flussi di coscienza
CII. - Vincitori e perdenti
CIII. - L'ultima partita
CIV. - Tre passi indietro
CV. - Il Closing
Epilogo
Ringraziamenti

II. - Il gruppo A

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Fuori l'atmosfera era di attesa. Nel cardo un ammasso di gente agitava volantini sul viso sperando di ricevere un po' di sollievo. La fila per raggiungere i propri posti all'exhibition iniziava già dal mattino. Sulla corsia riservata sbucavano le numerose tute verdi e rosse, quelle dei gruppi C e B, i più colpiti dal fascino del gruppo A.

Proseguii verso il campo centrale. Il cardo era la strada principale della Fenice e divideva l'accademia in due lunghe metà fino a quando non si dissolveva al cospetto del Nido. A sinistra del cardo c'erano i campi di allenamento, divisi in gruppi; a destra i cinque campi interrati, che venivano usati durante i tornei o altri eventi. Superai i campi A e raggiunsi il decumano. Era lì che le file finivano, lì si affacciava il Nido. Era alto, possente, coperto sui lati da lamiere bianche e splendenti che si intrecciavano tra loro come vimini bianchi. Il Nido era lo stadio centrale, e dopo di esso c'era solo tranquillità e silenzio.

Se c'era una cosa che non avevo mai sopportato della Fenice, quelle erano l'exhibition. Era come se in quei giorni il mondo si fermasse: gli allenamenti erano sospesi, e anche se non ti obbligavano ad andare nel Nido non avevi grandi alternative. Non eri costretto ad amarle, ma non andarci voleva dire essere escluso da qualsiasi conversazione nei giorni successivi. Non dovevi fare il tifo per uno dei ragazzi del gruppo A, ma non votare durante le exhibition significava non ottenere cinque punti sulla classifica finale. Per chiunque le exhibition erano ritenute fondamentali, ed era impossibile dimenticarsene. La pubblicità di quell'evento era ovunque. Come se la maggior parte delle persone avesse ancora bisogno di essere convinta.

Io, che credevo che l'unico modo per migliorarsi fosse allenarsi, ero rimasta forse l'unica a pensarlo. I campi dei gruppi B e C erano deserti. Avanzai ancora. Una volta anch'io ero stata come tutti loro: arrivavo alla Fenice all'alba per occupare i posti migliori nello stadio, cercavo qualsiasi informazione su di loro, guardavo ininterrottamente il canale della Fenice, aspettavo ore in fila per un autografo o una foto. Avevo fatto di quel gruppo di ragazzi il centro della mia esistenza. Poi avevo capito che non aveva senso.

Mi lasciai lo stadio alle spalle, svoltai verso Alcatraz. Tra gli allievi non poteva chiamarsi altrimenti un posto che racchiudeva il blocco accademico e la palestra, soprattutto per le torture che produceva la prima. Anche nei campi D ed E, gli ultimi dell'accademia, silenzio tombale.

Nella sala attrezzi del piano interrato c'era così tanto silenzio che i miei passi sul parquet risuonavano nitidi. Sull'erba finta della zona C alcune ragazze facevano gli addominali, fissando il visore della parete davanti a loro ogni volta che si tiravano su.

- Ecco, l'hanno annunciata - la voce affaticata di Push tuonò in quel frastuono.

- La data dell'Opening? Era ora - commentò il bendato.

- Quattro Novembre, tra un mese esatto - continuò, rifiatando ad ogni parola, mentre tirava le braccia a sé stringendo i manubri. Marco, detto Push, aveva diciannove anni ed era non solo il più grande del gruppo B1, ma anche quello dalla presenza più duratura. Non c'era nessuno tra noi che conoscesse meglio i membri del gruppo A, che analizzasse le exhibition più di lui; soprattutto, non c'era nessuno tanto sicuro di esserne il nuovo membro.

- E ti hanno già detto che sarai tu l'asso nella manica dell'A? - gli domandai. Gli altri cominciarono a sghignazzare.

- Ma come sei simpatica, cervellona! Lo sai perfino tu che nessuno viene avvisato prima dell'exhibition di Ottobre, proprio per mantenere la scelta segreta il più a lungo possibile - rispose serio.

- Secondo me sono tutte storie. E' impossibile prepararsi ad una cosa del genere con così poco preavviso... Un mese è troppo poco. Per me, chiunque sia, lo sa almeno da Settembre - disse il bendato, seduto davanti alla lat machine, in attesa di iniziare la nuova serie e sistemandosi la fasciatura sul ginocchio.

- Avvisata, ragazzi. Quest'anno sarà una ragazza! - sbucò Lucri dietro quest'ultimo, con due manubri stretti nelle mani. La guardai interrogativa.

- E' convinta che sarà una ragazza perché ci sono quattro ragazzi e tre ragazze. Ma non sono quasi mai stati pari, quindi non ha senso - aggiunse Push.

- Perché sei tanto sicuro di essere tu il prescelto? - chiese allora Sarah con una voce flebile. Era l'ultimo acquisto dei B1, arrivata in accademia solo l'anno prima ed entrata nel gruppo B2 con le selezioni. Avevo provato a fare amicizia, ma la cosa non aveva funzionato. Estorcendo informazioni a Sebastiano l'unica cosa che ero riuscita a sapere era che fosse molto brava e che provenisse da un piccolo circolo immerso nella campagna inglese. Quello che invece avevo scoperto io con l'esperienza era la sua timidezza. Non parlava quasi mai, se ne stava sempre in disparte ad ascoltare, fissando tutti con dei grandi occhi chiari. Dava l'impressione che facesse di tutto per non dare nell'occhio e ci riusciva piuttosto bene.

Push si girò stupito verso di lei e per poco non mollava la presa della macchina. Poi riprese fiato e, ricco di soddisfazione, cominciò ad elencare le sue motivazioni. Lei lo guardava assorta, portando dietro all'orecchio un ciuffo di capelli biondi e lisci sfuggiti alla coda. Tutti gli altri continuarono i loro esercizi senza distogliere lo sguardo.

- ... E poi Kahn è passato dai campi B parecchie volte nell'ultimo anno, e si è sempre fermato al mio. Ho quattro anni di esperienza nel B1, che sono ormai quasi la normalità per chi aspira ad entrare nell'A. E quindi, timida, questo è il suono della tua voce. Chi l'avrebbe mai detto... -

Sarah rimase zitta, a disagio tra gli sguardi insistenti.

- Grazie per il curriculum, le faremo sapere - tuonai io con una voce bassa, catturando così l'attenzione. Scoppiarono tutti a ridere, tranne Push. Sarah mi rivolse un'occhiata riconoscente.

- Ah già. Ho anche superato per due anni di seguito il tabellone del gruppo B ai Master Finali. Ok, ho perso due volte con Centrini, ma è sempre stata lottata -

- Peccato che Centrini ha cinque anni in meno di te - avanzò il bendato. Si beccò un'occhiataccia.

- Non dico che devo essere preso, dico solo che se anche quest'anno non succede è tutto pilotato. -

- Eppure non mi sembra che abbiano mai sbagliato un colpo - aggiunse ancora il bendato - Basta guardare Bassi, o la Gallone -

- Perché, cos'ha Bassi in più di me? Sta lì solo perché fa colpo sulle ragazze - sbuffò ancora. Scoppiai a ridere.

- Sul serio? Bassi ha vinto tornei in cui tu non accederesti neanche alle qualificazioni - dissi.

Lasciai il bilanciere al suo posto, rimanendo seduta sulla panca dopo l'ultima serie di pettorali. Push senza dire una parola si sedette accanto a me, spingendomi di lato con prepotenza. Si beccò una gomitata.

- Cervellona, e tu che ne sai? Non eri così snob da non essere interessata al gruppo A e alle exhibition? -

- Infatti. Le exhibition per me non contano. Ma quello di cui parlo io è tennis. Sono gare, tornei, graduatorie - risposi.

- E' la stessa cosa: nei gruppi A entrano solo i migliori, e solo chi è dell'A fa le exhibition. Le due cose, come vedi, coincidono. E poi proprio tu parli, che non hai mai partecipato ad un torneo internazionale -

- Cosa c'entra Marco? Lo sai che lo fa per scelta - mi difese Lucri.

- Sì, per scelta. Un modo come un altro per dire paura -

La voce del presentatore tuonò nella palestra, interrompendo la nostra conversazione. Fingevo di essere concentrata sulle mie ultime due serie di addominali, ma notavo anche io che l'atmosfera si era fatta elettrica.

Sulle schermate della palestra comparve un gruppo di ragazzi, circondato da alcuni uomini della sicurezza. Si muovevano, parlavano, sorridevano come se il mondo girasse realmente intorno a loro. Ed era così.

Il gruppo A era il motivo per cui tutta quella gente rimaneva incollata allo schermo durante le exhibition, il mito per cui molti ragazzi avevano cominciato a giocare a tennis, la ragione che aveva spinto i genitori ad iscrivere i propri figli nelle migliori accademie nella speranza di trovare un talento nascosto, che faceva aumentare sempre di più la lista di candidati alle selezioni di Settembre. Il motivo per cui la Fenice era diventata una delle più prestigiose accademie di tennis del pianeta.

L'inquadratura si soffermò per un secondo sul volto del loro allenatore, un uomo elegante, con i capelli castani leggermente brizzolati ai lati e gli onnipresenti occhiali-schermo dalle lenti celesti. Stava parlando con l'ultimo della fila, un ragazzo rachitico e dai capelli corvini, Hugo Centrini.

Hugo Centrini era considerato uno dei più forti under 16 d'Italia, ed era stato a suo tempo anche fra i migliori under 14, quando forse io avevo cominciato a girare per i tornei provinciali. Era figlio di un colosso sudamericano del caffè, che non aveva esitato a spedirlo in Italia non appena aveva scoperto il suo talento in pallonetti e smorzate. Anche se tutti più di questo ricordavano i suoi innumerevoli tic.

Mi voltai per chiedere il numero di ripetizioni a Fabio e notai che anche tutti gli altri erano incantati davanti al visore. Loro, avvolti in completini delle collezioni più esclusive, con le loro racchette sponsorizzate, con gli obiettivi dei fotografi sempre puntati, non potevano che essere i più ammirati lì dentro.

Alcune ragazze iniziarono a sgomitare e ad avvicinarsi. In primo piano adesso c'era il primo della fila, Orlando Bassi. Occhi di ghiaccio, capelli biondo platino di mezza lunghezza, un viso angelico e un fisico alto e longilineo. Era il più egocentrico ed insopportabile del gruppo A, e di conseguenza anche il più amato. A chiudere il cerchio c'erano i suoi successi nel circuito giovanile, i suoi atteggiamenti da ribelle che riempivano le pagine di gossip e uno stuolo di ragazze famose additate come sue ragazze o presunte tali. Il suo migliore amico, Alessandro Falco, era un armadio grande e grosso dal servizio letale. Aveva diciott'anni ed era diventato il numero 400 del mondo a soli quindici, dopo aver raggiunto una serie di successi tra cui spiccava la finale degli Junior Australian Open. Il suo abbigliamento consisteva solo in pantaloncini da basket, canotte lunghe e calzettoni di spugna. Qualsiasi cosa per evidenziare il suo fisico scolpito e disegnato ad arte. Aveva fatto tornare di moda i tribali in un periodo in cui nessuno più si tatuava. Che fortuna.

Quei ragazzi non erano solo giocatori di tennis, ma vere e proprie celebrità. Partecipavano a competizioni mondiali, erano allenati da un team di eccellenza, ma la loro presenza non mancava mai agli eventi più esclusivi e vivevano, ovviamente, rinchiusi nel loro mondo, lontani da tutto il resto. Erano osannati in ogni angolo della Fenice e fuori, anche da chi non aveva mai visto un torneo di tennis, grazie a contratti milionari tra abiti, profumi, bibite energizzanti. Erano praticamente ovunque. Fin qui non c'era alcun problema, ma qualcosa di loro mi infastidiva enormemente: avevano eretto una barriera intorno a loro, ignorando chiunque non frequentasse il loro giro esclusivo o avesse una classifica confrontabile. Per loro le persone erano solo un numero in graduatoria, e chiunque non fosse alla loro altezza non meritava attenzioni. Esattamente come me.

Questo era il gruppo A.

Un'eccezione però c'era: Giulia comparve davanti allo schermo, mentre salutava raggiante il pubblico. Anche lei era ormai si vedeva più lì che tra i viali dell'accademia, ma poi qualcosa era cambiato. Nell'ultimo anno Giulia aveva ripreso a parlarmi. Sebbene ci vedessimo poco, sembrava rimasta nel bene o male la stessa ragazza che avevo conosciuto qualche anno prima.

L'inquadratura si spostò, inquadrando una ragazza alta, magra come uno spillo e dalla pelle olivastra. I capelli neri erano legati in una coda alta e liscia che raggiungeva metà schiena. Portava un paio di occhiali dalla montatura nera e spessa, dai quali non l'avevo mai vista separarsi. Claudia Gallone era un'autentica forza: era tra i primi 50 della classifica juniores e da un anno era entrata nel circuito professionistico, ottenendo eccezionali risultati. A quindici anni. Della sua vita prima della Fenice non si raccontava molto. Tre anni prima aveva lasciato la Calabria, dove aveva vissuto con la sua numerosa famiglia di sportivi. Come Giulia non era molto ricca, ma una volta scoperto il suo talento la Fenice non aveva aspettato ad offrirle un mega contratto a tanti - tanti davvero - zeri.

Distolsi lo sguardo per rimettermi al lavoro. Mi accorsi con sorpresa che la palestra si era completamente svuotata. Solo il bendato, accanto a me, tirò su ancora qualche chilo di pettorali, prima di abbandonarmi. L'exhibition stava ormai iniziando e in quel momento una ragazzina bionda e alta stava facendo il suo ingresso, i capelli raccolti in una treccia, orecchini di perla e un vestitino bianco e argentato cucito perfettamente addosso. Era la più piccola del gruppo, ma il suo aspetto e soprattutto la grinta che mostrava in campo le regalavano almeno un paio d'anni in più.

Giravano tantissime voci su quella ragazzina e sul suo arrivo alla Fenice. Le leggende narravano che fosse stata abbandonata in un orfanotrofio e adottata da Kahn, altre che i suoi genitori fossero così potenti da decidere di parcheggiarla in un'accademia di tennis perché non potevano occuparsi di lei, altri ancora che Serena Williams in persona l'avesse vista gareggiare ad un torneo, chiamando immediatamente i dirigenti e facendo in modo che il gruppo A la ingaggiasse a soli nove anni. Ovviamente erano solo storie inventate nel tentativo di trovare il segreto di Noemi Bellisario, che a soli undici anni ere la campionessa italiana in carica del circuito under 14 e tra i migliori talenti a livello internazionale. Era presto per esserne certi, ma di certo la stampa non aveva aspettato, visto che era tra le più corteggiate dagli sponsor e tra le più osannate dal pubblico. Era la "fidanzatina d'Italia", per il suo modo di fare spontaneo, divertente e solare. E anche per la sua doppia personalità: quando entrava in campo si trasformava in un essere senza pietà, rivoltando avversarie come calzini. Il suo campo, in qualsiasi luogo giocasse, era sempre il più affollato.

Mi stupii di quante cose sapessi di quel gruppo, ma poi realizzai che non era certo merito mio. Erano ormai passati nove anni dalla fondazione della Fenice, e i membri del suo gruppo eletto si alternavano da altrettanti. Le exhibition erano seguite in molti paesi, così come il canale ufficiale della Fenice poteva contare su una folla milionaria di visitatori. Ma a Verdiana, dove prima ancora della Fenice era esistito il Tennis Club Italia per oltre trent'anni, la febbre per il gruppo A arrivava ai limiti dell'ossessione.

Le exhibition erano ormai nel vivo, con il match di apertura tra Orlando Bassi e Alessandro Falco. L'avevo perso. Mi ero distratta e avevo perso il suo ingresso. Raccattai le mie cose e uscii dalla sala pesi, dirigendomi verso nord lungo il corridoio del piano interrato. Attraversai il blocco palestra e anche quello accademico. Non incontrai un'anima viva. In compenso, le voci della folla urlante si avvertivano nitide. Arrivai in fondo al corridoio e salii per la scala, poi uscii dalla porta laterale. Il campo di calcio, in uno degli angoli più remoti dell'accademia, apparve davanti ai miei occhi. Durante le exhibition era il posto migliore per fare una corsetta senza rischiare di essere disturbati.

Mi stavo avvicinando per scavalcare la recinzione quando mi accorsi di non essere da sola. A destra, a pochi passi dal boschetto, c'era Push, insieme ad altri due ragazzi. Non era una novità, anche se solitamente portava avanti i suoi affari con discrezione, nei bagni del secondo piano del blocco accademico. Ma negli ultimi tempi qualcuno aveva pensato deciso di fare la spia ed era stato costretto a cambiare postazione ogni volta.

Ognuno nel B1 aveva un soprannome, quello di Marco era Push. Chi non lo conosceva poteva credere che fosse riferito alla forza dei suoi colpi, saette di diritto incrociato davvero letali; pochi potevano ammettere di conoscere il reale significato di quel nome affibbiatogli da qualche anno. Marco spacciava medicinali, vitamine, integratori ed alimenti non autorizzati all'interno della Fenice e sospettavo che con qualcuno non si limitasse a ciò che era legale. Correva un rischio inimmaginabile.

Da quando era stata fondata, La Fenice aveva portato avanti una lotta spietata contro il doping. Aveva investito in macchine dalla tecnologia avanzatissima, strutture enormi e per i più svariati utilizzi, uno staff di esperti nei campi dello sport, ma anche dell'alimentazione, della psicologia, e chissà cos'altro, dimostrando che i tempi degli imbrogli erano ormai superati. Nonostante ciò, collaborava da sempre con l'agenzia antidoping e ci sottoponeva ogni due mesi a severissimi controlli. Aveva escluso in tronco dall'accademia chiunque avesse trasgredito alle regole, aveva mosso una pubblicità negativa verso queste persone in maniera così spietata che avevano quasi tutti smesso di giocare per la vergogna.

Nonostante questo, c'era sempre qualcuno che tentava di fare il furbo, e Push non aveva rinunciato al suo business. Ma non me ne preoccupavo: se davvero le cose avevano preso una brutta piega, prima o poi l'avrebbero beccato.

Push si girò di scatto, nascondendo in fretta la consegna e rilasciando il colletto di uno dei due ragazzi di fronte a lui.

- C'è qualche problema? - chiesi con cautela.

- No, cervellona. Niente in cui dovresti immischiarti -

Il ragazzo vicino annuì. Era un ragazzo del gruppo C, uno di quei ventenni insospettabili e dalla faccia pulita.

- Conosci le regole. Tu non mi hai mai visto -

- Neanche tu - dissi, e con un balzo passai dall'altra parte della ringhiera del campo. Lui annuì e se ne andò. Quello era un modo molto efficace per vivere serenamente nel gruppo B1.

Alla Fenice, se non eri nel gruppo A, dovevi trovare un altro modo per renderti popolare. C'era chi aveva creato un gruppo musicale, chi primeggiava nei corsi extra, chi organizzava nei propri alloggi feste di successo. Push aveva trovato questo, il bendato si era costruito un'immagine con i suoi continui infortuni, per me non ce n'era stato bisogno. Cervellona era piombato su di me con la stessa velocità con cui avevo raggiunto il tabellone A del Master Finale per due anni di seguito, il primo partendo dal lontano tabellone B2. Ero la stratega, la ragazza dal fisico magrolino che correva come una pazza e che con astuzia vinceva le partite. O almeno, questo era quello che si diceva. Ma per me la verità era tutt'altra. Io mi vedevo più come una confusa ragazza che tentava di vincere a tutti i costi e con tutti i mezzi a disposizione, più che come una cervellona. Ma questo non era importante per gli altri. La divisione in gruppi, i soprannomi, le graduatorie: tutto alla Fenice doveva essere controllato e catalogato, era l'unica cosa che contava.

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