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CHIARA POV'

Arrivati davanti casa mia, il ragazzo aveva spento il motore dell'auto. Sapevo di farlo star male, tenendo il muso in quel modo, ma quella era stata una giornata orribile. Non so per quale motivo, ma mi sentivo totalmente destabilizzata, triste e allo stesso tempo irritata. Ero così frustrata dal fatto che non ci fosse una spiegazione a quel mio umore, che avevo voglia di strapparmi i capelli e piangere, o forse avevo solo voglia di buttarmi a letto e dormire, fingendo che quella giornata non fosse mai trascorsa. Da quando mio padre mi aveva umiliata davanti a tutti, chiedendomi della mia vita sessuale con Sebastian, la giornata era andata solo peggiorando. Prima per la ragazza a scuola, che ci aveva provato con il mio ragazzo, poi per Tamara e la sua scenata strappalacrime, in cui scappava piangendo. Non ero nemmeno riuscita a godermi la nostra vendetta. Era quasi come se mi fosse semplicemente passata davanti agli occhi; ma non avevo provato quel senso di appagamento che restituirgli il male che ci aveva fatto avrebbe dovuto darmi. Era stato piuttosto rapido e in dolore, quando invece mi sarei dovuta godere ogni lacrima che le usciva dagli occhi. La mano di Sebastian che si appoggiò alla mia coscia mi strappò dai miei pensieri e mi indusse a votarmi verso di lui, trovandolo già a fissarmi. L'unica cosa che però mi dispiaceva davvero era di aver rovinato la giornata anche a lui, a causa del mio malessere. Sospirai e sentii la frustrazione accumulata premere sempre di più perché mi sfogassi. Ma ero consapevole che se mi fossi lasciata andare avrei pianto come una bambina. –Mi dispiace tanto. – sussurrai, con gli occhi lucidi. Il ragazzo mi accarezzò dolcemente la coscia e mi lasciò un leggerissimo bacio sulla guancia, per poi appoggiare la fronte sulla mia. –Passerà presto, bambolina. Sta tranquilla, è solo una brutta giornata. – mi disse, tentando di rassicurarmi, con tono morbido, in un sussurro. Annuii, consapevole che avesse ragione. Il giorno dopo, quando mi sarei svegliata, mi sarebbe probabilmente passato tutto, ma non me la sentii comunque di sorridergli. –Ti amo. – gli dissi semplicemente, con una voce talmente bassa che pensai non mi avesse nemmeno sentita. Il nodo che sentivo stretto in gola mi impediva di parlare con una voce normale, ed avevo paura di scoppiare a piangere se ci avessi tentato ancora. –Ti amo anch'io. – sussurrò, segno che avesse udito le mie parole. Mi allontanai lentamente, e dopo aver slacciato la cintura scesi dall'auto, dirigendomi in casa. Mentre infilavo le chiavi nella toppa sentii il motore dell'auto rombare, e successivamente le ruote fare attrito sull'asfalto, poi il loro rumore sempre più distante. Feci scattare la serratura ed entrai in casa, levandomi subito il cappotto ed appendendolo all'attaccapanni. In quell'istante Jo scese le scale, e una volta arrivato a pochi passi da me il suo sguardo si fissò nel mio e lui si bloccò. Erano un paio di giorni che avevo scoperto cosa mi nascondeva, e da quel momento non gli avevo più parlato, né avevo avuto il coraggio di guardarlo in faccia, L'avevo deliberatamente evitato per tutto il tempo, per evitare una scenata, ma lui sembrava non averci nemmeno fatto caso. –Qualcuno ha suonato alla porta? – chiese, probabilmente perché mi vide ancora accanto all'ingresso. A quel punto, quando mi rivolse la parola con tanta naturalezza, non riuscii a fare a meno di chiedermi se non si sentisse almeno un po' in colpa. Ma dai suoi occhi riuscivo a vedere che no, non si sentiva minimamente in colpa. –No, tranquillo. Era solo il vicino di casa che chiedeva dello zucchero. – incalzai, con voce tagliente, lasciandogli un occhiataccia fulminea prima di scansarlo e salire le scale, diretta nella mia camera. La frustrazione e la rabbia si stavano accumulando sempre di più e trattenermi dallo scoppiare diventava ogni minuto più complicato. Non volli nemmeno prendermi il tempo di osservare la sua reazione a quella mia provocazione. Era patetico, non c'era altro da dire. –Senti Chiara... - iniziò, provando a venirmi dietro, ma mi inchiodai in cima alle scale, voltandomi verso di lui con sguardo truce, facendolo fermare di colpo pochi gradini prima di rggiungermi. –No, senti Chiara un corno. Non voglio sentire quello che hai da dire, sei uno stronzo. – dissi, amareggiata, sentendo le lacrime accalcarsi ai lati deigli occhi, causate dal nervosismo accumulato durante tutta la giornata. Perché stavo così male? Mi voltai, diretta nella mia stanza, e non riuscii più a trattenere il pianto, che come un torrente in piena sfociò dai miei occhi con prepotenza. Le lacrime iniziarono a divorarmi il viso, sciogliendo il trucco, lacerandomi le guance delicate, e dei piccoli singhiozzi fecero forza per uscire dalle mie labbra, che io tentavo di serrare, mordendole. Entrai nella mia camera, spingendo la porta con forza, che finì per sbattere addosso al muro e rimbalzarvi, tornando indietro a chiudersi, e quando sentii un altro colpo simile al mio capii che mi avesse seguita fino nella stanza. –Non è come pensi. Non l'ho lasciato entrare solo perché volevo che riflettessi a mente fredda. Che diavolo, Chiara, sii ragionevole. Se lo avessi lasciato entrare in casa e aveste parlato, come sarebbe finita? Non ci avresti pensato un secondo a perdonarlo, non avresti nemmeno riflettuto su ciò che volevi realmente. – gridò, entrando con irruenza, avvicinandosi fin troppo a me. Sbarrai gli occhi e mi voltai repentinamente verso di lui, andandogli in contro rabbiosa. In quel momento ringraziai che non ci fosse nessuno in casa, o avrebbero assistito a quella tremenda scenata, e sarebbe stato un altro motivo per provare vergogna davanti a loro. –Puoi dire quello che vuoi, ma ciò non toglie che non avevi alcun diritto di non dirmi che era passato. Mi sono convinta che di me non gli importasse e tu mi davi ragione, lo offendevi. Questo come lo giustifichi? – sbottai, agitando le mani come una pazza, sempre più incazzata. La mia voce era modificata dal pianto, più acuta e sconnessa, mentre cercavo di fare in modo che ogni parola non risultasse simile ad un singhiozzo. Era innegabile che in parte avesse ragione: l'aver potuto pensare in modo un po' più obbiettivo mi aveva permesso di prendere la mia decisione di lasciare Sebastian, per rispetto verso me stessa. Cosa che parlando con lui non sarei mai riuscita a fare. Ma l'avermi nascosto un dettaglio così importante, lasciandomi credere che il mio ragazzo non mi reputasse abbastanza importante, era imperdonabile. Non ne aveva il diritto. –Io... io ero geloso okay? Ma l'ho fatto per una buona causa. Ti giuro Chiara che non avevo intenzione di peggiorare la situazione. Volevo solo che ragionassi bene su quello che era successo senza che lui ti influenzasse e hai fatto la tua scelta. – disse, provando ad appoggiarmi una mano sulla spalla, ma io mi scansai bruscamente, osservandolo amareggiata. Che lo avesse fatto in buona fede o per gelosia, non cambiava quello che era stato il risultato delle sue azioni. A quel punto aggrottò le sopracciglia e scosse la testa, incredulo perché ancora fossi convinta che avesse sbagliato. –Mi vuoi dire che se ti avessi informata di quel dettaglio le cose sarebbero state diverse? – chiese, esasperato, aprendo le braccia e alzando ulteriormente il tono di voce, come se proprio non capisse perché me la stessi prendendo tanto. La cosa che mi mandò ai matti fu quella vena di fastidio che trapelava alla fine della sua frase. Come se avesse il diritto di esserlo, come se non avesse spudoratamente mentito per tutto quel tempo. –Sì, sì che sarebbero state diverse. Avrei per esempio evitato di passare due settimane a darmi della stupida per aver sprecato tanto tempo dietro ad un ragazzo a cui non importa di me, quando ehi, sorpresa, a lui di me importa. Ma ce la fai?! – sbottai, al termine della pazienza, spintonandolo neanche troppo piano. Era così irritante quel suo non tenere conto dei miei sentimenti. Tanto a chi importa se io ero stata male per quello, l'importante per lui era che prendessi la decisione che più riteneva giusta, cioè quella di lasciare Sebastian. Avrei tanto voluto prenderlo a ceffoni fino a fargli entrare in testa che aveva sbagliato ad agire in quel modo, ma penso che prima di riuscirci gli avrei deformato la faccia. Frustrata come lo ero stata poche volte mi passai le mani sul viso, portandole poi fra i capelli, che tirai per l'esasperazione. Quella discussione stava prosciugando ogni goccia di energia che ancora avevo, e se già ero convinta che quella giornata andasse male, quello era solo un altro motivo per volerla cancellare definitivamente dai miei ricordi. Sospirai e feci ricadere pesantemente le mani sui fianchi. –Per quanto poco, pensavo che un minimo ti importasse di me. – conclusi, con gli occhi gonfi, sopraffatta dalle mie emozioni, stanca morta, esausta da tutto. Ero amareggiata, più di ogni altra cosa. Mi voltai, non riuscendo più a guardarlo negli occhi, e in realtà nemmeno a sostenere quella conversazione, e mi buttai sul letto, rivolta con il corpo verso il muro. I minuti che seguirono quello scambio acceso di parole li trascorsi nel più totale silenzio, tanto che credetti che lui se ne fosse andato via, e ne fui sollevata. Ma quando sentii il materasso piegarsi sotto il suo peso rimasi delusa nello scoprire che lui fosse ancora lì. –A me importa di te... - sussurrò il ragazzo e la sua mano si appoggiò alla mia spalla, lasciandomi una carezza con il polpastrello del pollice. Il calore che la sua mano distribuiva sulla mia pelle era più piacevole di quanto avrebbe dovuto, e stavo cercando di autoimpormi a non farmelo piacere troppo. Il suo tono, così sincero, mi fece stringere il cuore e risalire le lacrime agli occhi, commovendomi, e a quel punto infuriò una lotta dentro di me, mentre tentavo di resistere alla tentazione di abbracciarlo. Perché è così semplice farsi perdonare da me? Mi chiesi. Perché cedo con così poco? Due paroline e mi fregano tutti. E se stesse mentendo? Se mi avrebbe mentito ancora? Continuavo a chiedermi. –Sei l'unica amica che ho... l'unica di vera. Abbiamo legato tanto in queste settimane. Ti voglio davvero bene e lo ammetto, ho sbagliato, ma non ti voglio perdere così. Ti scongiuro, dammi una seconda possibilità. – mi implorò, e a quel punto trattenermi dal cedere fu difficilissimo. Ero fin troppo arrabbiata con lui, mi aveva mentito, ma era anche vero che se lo ero tanto era solo perché da lui non me l'aspettavo, perché mi ero fidata e in un certo senso ci tenevo. –Vuoi che ti perdoni? Lo vuoi davvero? – chiesi, voltando il viso verso di lui, guardandolo fisso negli occhi. Il colore cupo delle sue iridi, a sentire le mie parole, divenne più cristallino, illuminato da una scintilla di speranza. Ma non sarebbe stato tutto così facile per lui, come forse immaginava. Forse l'avrei perdonato, ma non avrei di certo dimenticato. –Sì. – affermò, sicuro delle sue parole. Ero disposta a concedergli il mio perdono ad una sola condizione, e per lui non sarebbe stato piacevole. –Se davvero lo vuoi, devi chiedere perdono a Sebastian, e giurarci su ciò che hai di più caro che fin quando staremo insieme non tenterai mai più di metterti fra di noi. – dissi, tenendo gli occhi fissi nei suoi, in attesa di una sua reazione. Rimase per un istante interdetto, sgranando di poco gli occhi, poi scosse leggermente la testa e riportò lo sguardo davanti a se, sospirando frustrato. –Quindi se lo faccio... torneremo amici? – chiese, senza nemmeno guardarmi negli occhi, con tono monocorde. E dalla sua reazione capii di aver toccato il tasto giusto con quella richiesta. –Ci vorrà del tempo perché torni a fidarmi, ma se saprò di poter contare su di te e che non mi mentirai più, allora sì, tutto tornerà come prima. – affermai, annuendo. Lui voltò per un secondo il viso nella mia direzione, e quell'alone di fastidio e frustrazione che gli erano dipinti negli occhi non mi passarono inosservati. Annuì in rimando, e una volta alzatosi dal letto, se ne andò. Sarebbe stata dura fidarmi ancora di lui, ma ci avrei provato, a patto che lui ci chiedesse perdono. Sarebbe stata quella la sua punizione, chiedergli scusa. Non vedo cosa peggiore per lui, di doversi umiliare davanti a Sebastian. Mi asciugai le lacrime che prima avevano rigato il mio viso e presi un respiro profondo, tentando di scaricare un minimo la tensione, inutilmente però. Mi alzai dal letto e mi diressi all'armadio, decidendo, senza un vero e proprio motivo, di cambiare felpa e indossare quella che Sebastian mi aveva fatto stampare e regalato a natale. Sfilai quella che avevo messo quella mattina, gettandola poi a terra, e rapidamente, sentendo un brivido non appena si alzò anche la maglietta sottostante, la sostituii con l'altra. Afferrai il colletto e lo sollevai fino a fargli raggiungere il mio naso. Incredibilmente aveva ancora il profumo di Sebastian, ed era tanto forte che iniziai a pensare che ce l'avesse spruzzato sopra prima di regalarmela. Afferrai il telefono che avevo nella tasca dei jeans e gli scrissi un messaggio. Lo stavo facendo andare avanti e indietro per nulla, e un po' mi sentivo i colpa per disturbarlo in quel modo. Era sempre così gentile e disponibile con me, non lo meritavo affatto.

A Sebastian:

Puoi venire a casa mia? Se mi chiami ti spiegherò tutto strada facendo.

Scrissi.

Da Sebastian:

Arrivo subito bambolina.

××SPAZIO AUTRICE××
Siete fantastiche. Non potrei desiderare delle lettrici migliori. Grazie per tutto il supporto. Per i bei commenti. Per i voti. Per esserci. Siete parte essenziale del libro. Senza di voi non esisterebbe. Vi voglio un bene dell'anima. Al prossimo capitolo.

Lidia00x
Inchiostroalpostodelsangue//

"Come aeroplanini di carta"Where stories live. Discover now