28^

40.5K 1.8K 105
                                    

Quattro ore dopo...

Vidi in lontananza il dottore, camminava velocemente verso di noi con la cartella clinica fra le mani. Con un balzo saltai giù dalla sedia, svegliando Luca che mi si era addormentato sulla spalla, e gli andai in contro. Con il cuore in gola e le mani sudate mi fermai danti a lui, guardandolo sofferente, in attesa che mi desse notizie della ragazza. Sul suo viso si aprì un sorriso e piano piano gran parte dell'ansia che provavo svanì. –La signorina Rossi sta bene. Siamo riusciti ad estrarre il proiettile senza provocarle nessun danno. È stabile e sveglia, potete andare da lei, ma solo uno alla volta. È ancora un po' intontita dall'anestesia, ma non sente alcun dolore. – ci informò, con un sorriso cordiale fisso sulla labbra, felice di poterci dare una buona notizia. A quelle parole, tutto il vuoto che avevo nel petto, tutto il peso che sentivo sul cuore, svanì, nel nulla, lasciando spazio solo ad un'immensa gioia. Incapace di reggermi in piedi mi sedetti sulla prima sedia che trovai, passandomi le mani sul viso. –Non ci posso credere. – sospirai, sorridendo incredulo. Mi sembrava di star impazzendo. –È una ragazza forte. – disse il medico agli altri ragazzi, prima di congedarsi con una stretta di mano. La mano di Luca si posò sulla mia spalla, facendomi alzare il viso verso di lui, e sorrise. –Va da lei. – mi disse, dandomi una pacca sulla schiena. Alle sue spalle Eva e Tom si stavano abbracciando, probabilmente sollevati dalla buona notizia che ci aveva dato il medico. Annuii, ancora sorridendo, e senza farmelo ripetere mi alzai, avviandomi alla sua stanza. Quando varcai la soglia della sala d'aspetto mi misi a correre per il corridoio, beccandomi le lamentele delle infermiere che avevo rischiato di investire. Sembrava non finire mai. Arrivato davanti alla porta della sua camera non persi un secondo e la spalancai, correndo dentro. Erano ore che non aspettavo altro. Ero così preoccupato che non potesse farcela. Mi dicevo che lei sarebbe sopravvissuta, che era forte e di sicuro non sarebbe potuto accadere nulla di male, non a lei, ma allo stesso tempo non mi sentivo sicuro di ciò, e con il cuore appesantito continuavo ad aspettare, impaziente che quel momento arrivasse. –Chiara. – La ragazza stava fissando il paesaggio fuori dalla finestra, mentre con la mano destra giocava distrattamente con una ciocca dei suoi capelli, persa fra i suoi pensieri. Dal camice spuntava la grande fasciatura bianca e il braccio sinistro lo teneva appoggiato al ventre, mentre la spalla era immobilizzata. Voltò lentamente il viso verso di me, ma evitò di guardarmi negli occhi, tenendoli sul mio petto. –Dobbiamo parlare. – disse, con un accenno di voce, mordendosi il labbro preoccupata. Il sorriso mi morì sulle labbra e la preoccupazione presto ritornò ad appesantirmi il petto, mentre lo stomaco si annodava. Chiusi la porta e mi avvicinai al letto, sedendomi accanto a lei, appoggiando una mano sulla sua coscia.

CHIARA POV'

Dovevo chiudere con Sebastian, per il suo bene, ma la sua mano sulla mia gamba e la pelle d'oca che il suo tocco mi aveva procurato non facevano altro che ricordarmi che ciò che provavo dipendesse in gran parte da lui e dalla sua presenza nella mia vita. Incrociai per un secondo i suoi occhi e il suo sguardo preoccupato mi fece male al cuore. Non avevamo avuto un secondo di pace. Perché le cose fra noi dovevano essere così complicate? Perché non potevamo stare insieme come due persone normali? Ogni volta che le acque sembravano calmarsi, da dietro l'angolo spuntava un nuovo problema. Che fosse tra noi o qualcun altro c'era sempre qualcuno a mettersi in mezzo. L'unica cosa che mi dava la forza di dirgli addio era probabilmente sapere che se non l'avessi fatto sarebbe finito in prigione. Sospirai e abbassai lo sguardo sulla sua mano. Se lo avessi guardato negli occhi, essendo ancora intontita dai farmaci post operatori e dall'anestesia, avrei dimenticato perché lo stavo facendo, e ogni buon proposito sarebbe andato a farsi benedire. –Sebastian... penso che non dovremmo più vederci, né parlare o avere più... nessun tipo di contatto. – Inaspettatamente trovai, da qualche parte dentro di me, la forza di alzare gli occhi su di lui. La sua espressione era indecifrabile, la sua mano lentamente aveva iniziato a fare più pressione sulla mia coscia, mentre la disperazione prendeva lentamente forma sul suo viso. E mentre balbettavo quelle poche parole mi chiedevo perché, cos'avevo fatto di male, come avevo potuto farmi mettere i piedi in testa da Federico, ancora? –Perché? – chiese giustamente lui. La sua mano era molto bianca mentre stringeva la mia coscia, ero sicura che avrei sentito un dolore insopportabile per la sua stretta, se non fossi stata sotto antidolorifici o qualsiasi fosse la droga spacciata per medicinale mi avessero dato dopo l'operazione. –Perché ci stiamo facendo del male. Guardaci, guarda come ci siamo ridotti. Ci stiamo facendo la guerra, fino a stamattina non volevo nemmeno più vederti in faccia. Facevamo a gara a chi faceva soffrire di più l'altro. Io baciando Luca tu baciando Christina. – dissi, tentando di dare un tono drammatico al discorso. Dovevo trovare la scusa migliore per allontanarlo. Per il suo bene, per lui. –Non è vero, ci stiamo amando. – provò, con la disperazione nella voce, aggrappandosi a quell'ultima speranza che gli restava, ma non sapeva ciò che sapevo io, non sapeva che qualunque cosa avesse detto io non avrei cambiato idea. Portai la mano destra alla sua guancia e la accarezzai. Lui appoggiò la sua mano sulla mia e sentii la pelle d'oca incresparmi le braccia, in un riflesso involontario. –Sei sempre il primo a correre da me quando piango. – dissi, sentendo le lacrime accalcarsi ai lati degli occhi, e vidi quella meravigliosa scintilla di speranza accendergli lo sguardo. Una scintilla che stavo per soffocare brutalmente, con le parole più brutte che avrei mai potuto dirgli. –Il problema è che sei anche la ragione dei miei pianti, Sebastian. Io non ho la forza di andare avanti così. – Sentii il rumore del suo cuore, mentre andava in pezzi. Chissà se lui era riuscito a sentire il mio. E trattenere le lacrime a quel punto divenne quasi impossibile. Stavo dicendo addio al ragazzo che amavo, era inevitabile piangere, mi diedi della stupida per aver pensato anche per un solo secondo che magari mi sarei potuta a trattenere. –Siamo sempre al confine fra amore e odio. Un passo in più e finiremmo per distruggerci. – dissi. Il groppo in gola si faceva sempre più stretto ed ogni parola era un'agonia. Persino guardarlo negli occhi in quel momento mi faceva male. –Ci distruggeremmo in ogni caso, prima o poi. – I suoi occhi fissi nei miei mi procuravano continui brividi, e le sue mani su di me cercavano quella sicurezza che non me ne sarei andata, quella sicurezza di cui lo stavo privando, e lui rimaneva aggrappato a me come se avesse bisogno di me come dell'ossigeno, un po' come io avevo bisogno di lui. Tirai su col naso, il viso rigato dalle lacrime, spoglio dal trucco che mi avevano tolto, e passai il pollice sulla sua guancia, in una piccola carezza. –Il nostro amore ci condannerà a morte. – sussurrai, con un fil di voce. Il suo respiro caldo si imbatteva sulla mie labbra e resistere alla tentazione di baciarlo stava diventando impossibile, anche a causa del suo profumo. Abbassai il viso e tolsi la mano dalla sua guancia, facendola ricadere sul letto. Tolse la mano dalla mia coscia e mi sollevò il mento, così che i nostri occhi potessero incontrarsi, nuovamente. –Allora per me sarà un privilegio morire. – disse, con una sincerità che mi face sciogliere il cuore. Mi voltai, guardando a terra, mentre un singhiozzo mi vibrava fra le labbra. –Non mi rendi le cose facili. – dissi, sospirando stremata, asciugandomi le lacrime con la mano libera. Perché era così difficile lasciarlo andare? –Perché non voglio rendertele facili, Chiara. Mi hai fatto innamorare di te, di tutti i tuoi innumerevoli e fastidiosissimi difetti, mi hai sciolto il cuore, ora non puoi fingere che non sia successo niente e tirarti indietro. Non è così semplice. Siamo in due ora, non dipende solo da te. – sbottò. –Fallo per me. – lo pregai, appoggiando una mano al centro del suo petto, fissandolo con gli occhi colmi di lacrime. Fallo per te, avrei dovuto dire. –No, non ci riesco. – Questa volta fu lui a distogliere lo sguardo, alzandosi dal letto, facendo scivolare via la mia mano dal suo petto. –Be, ti ci devi mettere d'impegno amico. – disse una voce maschile, alle spalle del ragazzo. L'unico pensiero che riuscii a formulare, riconoscendo quella voce, fu: Non ora. Sebastian aggrottò le sopracciglia, confuso, e si voltò verso Federico, che se ne stava appoggiato allo stipite della porta, a braccia conserte. –Tu saresti? – chiese, con una certa irritazione nella voce, ma né io né Sebastian eravamo realmente pronti alla risposta che ci avrebbe dato il ragazzo. –Il ragazzo di Chiara. – disse, con tutta la naturalezza di questo mondo, guardandomi con il suo solito sorriso sghembo. Entrambi restammo a bocca aperta dopo le parole di Federico, ma fu Sebastian quello che ci restò più male, riuscivo benissimo a vedere il suo stupore tramutarsi in rabbia. I pugni stretti lungo i fianchi, le spalle tese, la mascella contratta. Abbassai lo sguardo, incapace di ribattere alla falsa affermazione del ragazzo, ma nonostante ciò sapevo che Sebastian mi stava guardando. Sentivo il suo sguardo bruciare sulla mia pelle. –Chiara, è uno scherzo vero? – chiese, con un tono che lasciava intendere la sua incredulità e al tempo stesso il suo fastidio. Sembrava non sapere a chi credere, ma soprattutto non voleva credere. Alzai lo sguardo su di lui, rammaricata, e aprii bocca per parlare, ma Federico mi precedette, forse pensando che avrei potuto negare le sue parole, ma ero ben consapevole delle conseguenze che ci sarebbero state in tal caso e non avrei agito così stupidamente. –No, non è uno scherzo. Non te l'ha detto? – ribatté. Mentre fissavo gli occhi azzurri di Sebastian, che mi imploravano di dirgli che era tutto una bugia, mi sentivo una schifezza, un vero e proprio rifiuto e non potei che sentirmi peggio quando abbassò il capo, facendo ricadere il ciuffo nero sulla fronte. Ora quasi ringraziavo il signore che mi avessero imbottita di farmaci, o non sarei riuscita a sopportare tutto ciò. –Allora è per questo che poco fa mi hai rifiutato, per lui. – accusò, con tono cupo e deluso, come se sé ne fosse reso conto solo in quel momento. Rialzò il capo e mi guardò, assottigliando lo sguardo, disgustato, e nulla avrebbe potuto ferirmi di più. Io sbarrai gli occhi, senza fiato. –No, lasciami spiegare... - mi ero ripromessa di non dirgli la verità, per il suo bene, ma ora che lo stavo perdendo non ce la facevo. Una parte di me pensava che fosse un bene se lui pensava quelle cose, in fondo mi stava facilitando il lavoro. L'atra parte sentiva il bisogno di aggrapparsi a lui, per non lasciarlo andare. Stava scivolando via, si stava staccando da me, e faceva male perdere una parte di se stessi, cosa che fino a quel momento avevo ignorato, a cui avevo dato poco peso. Federico venne verso di me, rivolgendomi di soppiatto un'occhiata di rimprovero, che mi rimise subito al mio posto, e si posizionò all'altro capo del letto, accanto a me. –Avanti amore, diglielo. –mi stuzzicò, mettendomi un braccio attorno alle spalle, ignorando il fatto che fossi appena stata operata, sicuramente una cosa irrilevante per lui. Prima che fossi umiliata oltre nella stanza si fece avanti il medico, interrompendo la tortura che era diventata quella conversazione. –Dovreste andarvene entrambi ragazzi, devo visitarla. – esordì il medico, togliendo gli occhiali e mettendoli nella tasca del camice, mentre apriva la mia cartella. Sebastian ancora aveva gli occhi puntati nei miei, delusi, e mi guardava come se gli avessi appena strappato il cuore dal petto e l'avessi calpestato davanti ai suoi occhi. Dio solo sa quanto avrei voluto strapparmi di dosso le flebo, andare da lui e abbracciarlo, avrei accettato anche solo di tenerlo per mano, ma sentivo che mi stava scivolando via dalle dita, come se una folata di vento lo stesse trascinando via da me. Annuì e insieme a Federico, che aveva un'espressione scocciata, uscì dalla stanza. –Allora signorina Rossi, come si sente? – chiese, concentrandosi sulla mia cartella clinica. Quando non ricevette alcuna risposta riemerse da essa e alzò gli occhi su di me. Mi riscossi dal trans che aveva annebbiato la mia mente, facendo vorticare i miei pensieri sugli eventi che avevo appena vissuto, e mi stampai un sorriso tirato sulle labbra. –Non sento dolore. – scrollai l'unica spalla che potevo muovere. Già, non provavo dolore, ma ciò non significava che stessi bene, perché io non stavo bene per niente. L'uomo mi sorrise, non sembrando accorgersi di quanti in realtà stessi male, e riprese ad esaminare la mia cartella. Ma d'altro canto il suo lavoro non era curare la mia anima, era curare il mio corpo. E nel frattempo, mentre aspettavo che mi visitasse, feci vagare lo sguardo per la stanza, pensierosa. Inevitabilmente mi chiesi come stesse Sebastian, cosa stesse pensando, dove fosse. Se poco prima non fosse arrivato il medico gli avrei sicuramente detto che lo avevo rifiutato perché Federico mi stava ricattando. Mi chiedevo se quindi quella sua interruzione fosse stata un bene o un male. D'un tratto l'uomo chiuse la cartella, producendo un rumore fastidioso che mi fece sobbalzare e puntare lo sguardo su di lui, che trovai già a guardarmi. –Questa mattina, prima di operarla, ho inavvertitamente ascoltato la sua conversazione con quel ragazzo, penso si chiami Federico. – sospirò, appoggio la cartella ai piedi del letto e andò a controllare la mia flebo. –Io di solito non mi faccio coinvolgere nella vita dei miei pazienti, non lo ritengo professionale, né tantomeno opportuno, ma in questo caso mi sento in obbligo verso di lei. – iniziò. –Non voglio entrare nei dettagli, non mi sembra necessario, ma mi sento in dover di dirle di stare attenta a quel ragazzo, solo questo. – concluse, guardandomi con una certa apprensione, come non avevo mai visto un medico guardare un paziente. –Grazie. – dissi, leggermente sorpresa, e dopo ciò tornò nelle sue vesti da medico, iniziando a visitarmi.

***

Conclusa la visita post operatoria, dopo avermi avvisata che un'infermiera sarebbe passata a portarmi i farmaci entro quella sera, il medico uscì dalla stanza, lasciandomi nelle grinfie dei miei genitori che, appena entrarono, iniziarono a bombardarmi di domande inutili e pressanti. Che senso aveva chiedere se stavo bene? Ero in ospedale cristo santo. –Lo sapevo che dovevi venire con noi, guarda che ti è successo. Hai voluto passare le vacanze con i tuoi amici e sei finita in ospedale. – esclamò mia madre, preoccupata, infilandosi le mani fra i capelli per poi toglierle e sventolarle in aria. Da infermiera ficcanaso e madre iperprotettiva quale era iniziò a mettere il naso in ogni dove, partendo dalla flebo, fino ai macchinari a cui ero attaccata, borbottando sommessamente sotto lo sguardo esasperato mio e di mio padre. –Andiamo mamma, sarebbe potuto succedere ovunque, non avrei potuto evitarlo. Quindi preoccuparsi adesso, che sto bene, non servirebbe lo stesso a niente. – sbottai, facendola voltare verso di me. Mollò la flebo che aveva in mano e mi puntò un dito contro. –Signorina, non parlare con quel tono impertinente a tua madre. – mi rimproverò scocciata, sventolandomi il dito davanti al viso. In certi casi mi chiedevo che senso avesse parlare con mia madre, quando era preoccupata era inutile, non dava retta a nessuno. –Ha ragione tesoro. Non avremmo potuto evitarlo. Sarebbe potuto accadere anche mentre era con noi. – Intervenne mio padre, forse l'unica persona riflessiva e razionale che non aveva un pensiero distorto della realtà, diversamente da mia madre, che si faceva coinvolgere emotivamente nelle situazioni. –E per la cronaca, non ti sei persa niente. – sussurrò poi, mettendo una mano al lato della bocca, per coprirsi dalla donna che stava a braccia conserte al suo fianco, mentre mi parlava. Diversamente appunto da mia madre, che le adorava, io e papà condividevamo anche un profondo fastidio nei confronti della nostra parentela e delle feste che implicassero un soggiorno a casa loro, non essendo l'unica ad aver avuto episodi imbarazzanti, narrati poi in quegli anni. –Me l'aspettavo tranquillo. – scherzai, mentre a mia madre usciva il fumo dalle orecchie, per nulla divertita dal nostro umorismo. L'uomo sorrise e andò accanto a mia madre, cingendola in vita con un braccio, che però sbuffò e alzò gli occhi al cielo. –Marco ha avuto un contrattempo, arriverà forse fra un paio di giorni. – disse, voltando il viso verso di me, ancora tenendo stretta a se mia madre. –Ora direi di andare, ti lasciamo riposare tesoro. – disse e staccandosi dalla donna, già visibilmente più rilassata, mi lasciò un leggero bacio sulla fronte. Mia madre sbuffo, ancora infastidita, e mi abbracciò. Per quanto orgogliosa fosse mi voleva bene e faceva la bacchettona solo perché era preoccupata per me, anche se non aveva motivo di esserlo.

_________________
Lidia00x
Inchiostroalpostodelsangue//

"Come aeroplanini di carta"Where stories live. Discover now