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Dopo essere tornata dall'ospedale, non facevo altro che passare da letto a divano. Mia madre era diventata tanto apprensiva da soffocarmi, si era fatta cambiare i turni, prendendo quelli di notte, così che di giorno avrebbe potuto fare la mia infermiera personale. Quasi rimpiangevo la scuola e la mia corsetta mattutina per non arrivare in ritardo. Appunto, quasi... Mi mancava Eva e anche suonare, sembrava passata un'eternità dall'ultima volta che avevo messo le mani su un pianoforte e in effetti ne era passato parecchio di tempo. Durante le due settimane in cui avevano fatto accertamenti per stabilire le condizioni in cui versava la scuola avevano distribuito gli alunni per varie sedi, disseminate in tutta la città, ed essendo quella che mi avevano assegnato troppo lontana mia madre aveva preferito tenermi a casa; ma ora che avevano dichiarato l'edificio agibile si tornava alla routine, ovvero alla corsa per arrivare in orario, ai pesantissimi libri in cartella e alle noiose lezioni. Mi vestii in fretta, infilando una felpa grigia e un paio di jeans blu scuro, e mi truccai come al solito. Scesi le scale, caricandomi in spalla lo zaino, e andai in cucina da mia madre. Era ai fornelli che armeggiava con delle pentole, probabilmente le stava spostando nel lavandino per metterle a lavare. La salutai con un bacio sulla guancia e sorrisi. –Allora, andiamo? Passiamo a prendere anche Eva. – la informai. Insisteva perché mi facessi portare a scuola in macchina almeno per un'altra settimana, così che non mi sforzassi troppo. –Fai colazione, devi mangiare e tenerti in forze. Mangi come un uccellino e sei dimagrita tantissimo. Fai colazione. – mi pregò, in tono supplichevole. Si, era vero. Dopo quello che era successo non mangiavo più molto ed ero dimagrita un bel po', ma il problema era semplicemente che non avevo appetito, non sentivo il bisogno di mangiare. –Mamma, non ho fame. Ti prego, andiamo. – la supplicai a mia volta, sperando che non continuasse a pregarmi ancora per molto. Per mia fortuna lasciò perdere subito, rassegnandosi. –E va bene, andiamo. – ripose e sbuffò frustrata. Prese le chiavi dell'auto e salimmo in macchina, dirette alla casa di Eva, davanti alla quale fummo in pochi minuti. Scesi dall'auto, guardando prima di attraversare la strada, e arrivata davanti alla porta suonai al campanello. Dopo pochi secondi apparì sulla soglia e con un sorriso abbagliante mi salutò. –Ei, come stai? – chiese abbracciandomi calorosamente. – Tutto bene. Tu come stai? – dissi, mentre dirigevamo alla macchina –Io sto bene. Salve Sara. – salutò mi madre, una volta sistemateci sui sedili posteriori. –Ciao Eva, ti prego dammi del tu. – disse, guardandola dallo specchietto retrovisore. –Ok Sara. – le sorrise. Ripartimmo e dopo aver chiacchierato un po', con mia madre che si informava delle attuali condizioni dell'edificio, scendemmo davanti a scuola. Diventava sempre più paranoica, giorno dopo giorno. Non avevamo cambiato sede perché l'edificio non aveva riportato danni molto gravi, a parte i muri che erano leggermente più neri, solo la mensa era inagibile. Fuori e nel cortile c'era un gran casino, si vedeva benissimo anche dal parcheggio, così, dopo aver salutato mia madre -che per la decima volta quella mattina mi aveva detto di stare attenta e di mangiare- ed essere scese dall'auto, decidemmo di andare in classe. Quando entrammo notammo che, ad avere la bella idea di entrare prima per evitare il trambusto di quella mattina, non eravamo le uniche, c'erano anche Luca e Tom. Appena vide il ragazzo ad Eva si illuminarono gli occhi e le comparve uno strano sorriso sulle labbra. Neanche a dirlo si avvicinarono e iniziarono a flirtare l'uno con l'altra, in modo a dir poco palese. Erano esilaranti: lei appoggiata al banco mentre si attorcigliava una ciocca di capelli nera sul dito e si mordeva il labbro inferiore, e lui che le stava praticamente addosso, a pochi centimetri del suo viso, con una mano poggiata sul baco dietro di lei. Stava succedendo qualcosa fra quei due ed era ovvio, chiunque se ne sarebbe accorto. Luca, alzando gli occhi al cielo per la scena indecente, si avvicinò a me, facendomi ridacchiare per la sua espressione, e iniziammo a parlare. A mano a mano che passava il tempo la classe si riempiva, accogliendo i nostri compagni che facevano un baccano tremendo. Mi persi a guardare una ragazza che saltava letteralmente fra le braccia di un ragazzo e non mi resi conto di Luca che ancora stava parlando. –Ti va di uscire con me una sera? – chiese, cogliendomi alla sprovvista. Sbattei ripetutamente le palpebre, spaesata, e scossi impercettibilmente la testa per riprendermi. –Oh... ehm... certo. – sorrisi, arrossendo leggermente. In quell'istante Sebastian varcò la soglia e i suoi occhi non tardarono ad essere nei miei. Ci fissammo per qualche istante, Luca che aveva ripreso a parlare gli dava le spalle, e spostò gli occhi sul ragazzo di fronte a me, guardandomi come per capire cosa volesse. Lo ignorai e spostai lo sguardo su Luca. –Allora, domani sera va bene? Ti porto in discoteca. – ammiccò, imitando uno strano ballo anni 80. Risi, coprendomi la bocca con la mano, e annuii. –Perfetto, va bene. – ridacchiai, mettendo una mano sulla sua spalla per fermarlo e impedirgli di rendersi ancora più ridicolo. –Allora passo a prenderti domani alle undici. –ammiccò sorridendo. In quel momento la professoressa fece il suo rumoroso ingresso, lanciando letteralmente la borsa sulla cattedra. –Fra due settimane ci sarà la gita scolastica. Andremo ad Amsterdam. – Fu la prima cosa che disse, con un tono talmente alto che mi fece sobbalzare. A quell'affermazione la classe si lasciò andare esultando e iniziando ad urlare e fischiare senza controllo. L'idea di passare una settimana ad Amsterdam, praticamente senza professori, solo fra "amici" mi intrigava parecchio, e a quanto pare non ero l'unica. Durante le gite i professori ci lasciavano liberi di fare tutto quello che volevamo, a patto che non ci fossimo fatti arrestare, come già era accaduto l'anno precedente, e che fossimo rientrati in albergo per la notte. La prof ci consegnò i fogli con maggiori informazioni, l'adesione e il bollettino, e senza perdere altro tempo iniziò la lezione. Io e la matematica non andavamo proprio d'accordo, quindi anche se avessi ascoltato non ci avrei capito molto, infatti rinunciai quasi subito a capire quello che stava spiegando la professoressa e feci vagare lo sguardo per la classe, persa. Avevo la testa fra le nuvole, i miei pensieri vorticavano fra due universi paralleli, un secondo pensavo a Luca e quello dopo a Sebastian. A svegliarmi da quello stato comatoso, in cui ero entrata già da qualche minuto, tanto intenso da perdere la concezione di tutto quello che avevo attorno, fu proprio la professoressa con la sua fastidiosissima voce squillante. Mi faceva venire voglia di sbatterle la testa sulla cattedra fino a farle perdere i sensi. –Signorina Rossi. Visto che mi sembra molto attenta e interessata alla mia lezione venga fuori interrogata. – Mi lanciò un occhiata di pura sfida, sorridendo soddisfatta. Scommetto tutto che aspettava il momento di beccarmi disattenta e mandarmi alla lavagna fin da quando era iniziata la scuola. Perché non te ne vai in pensione!? Pensai, sopprimendo l'istinto di fulminarla con lo sguardo. Mi alzai, grugnendo sommessamente, e andai alla lavagna, iniziando a scrivere. – (3+9/5-6+) (6+7/8+0-7) -9+6 (6+5/4-7-9-12/6) – dettò. Ero lì impalata, davanti alla classe che se la rideva per la mia colossale figura di merda, mentre con il gessetto tracciavo tratti indistinti sulla lunghissima lavagna nera. –Andiamo è facile! – sbottò Sebastian dal fondo della classe. Tutti, compresa la professoressa ci girammo verso di lui, guardandolo confusi. –Allora, signor Stark, non avrà nulla in contrario se la invito a venire alla lavagna e fare lei l'espressione. – disse la professoressa, abbassando gli occhiali sul naso e guardandolo da sopra essi. Lui, con un'innata calma e un sorriso strafottente stampato sulle labbra carnose, si alzò, sotto lo sguardo minaccioso della professoressa, e venne verso di me in tutta tranquillità. Nel prendermi i gesso dalle mani si avvicinò al mio orecchio. –Ho appena salvato il tuo bellissimo culo. Ancora. Mi aspetto un premio principessa. – sussurrò con malizia. Sbuffai esasperata e gli misi poco delicatamente il gesso in mano. –Sempre il solito coglione. – sussurrai a mia volta. Staccandomi gli lanciai un occhiataccia omicida, facendolo ridacchiare, e tornai al mio posto. Sapevo benissimo che premio voleva. Ma io non gliel'avrei mai data. Feci appena in tempo a sedermi che la lavagna era piena di calcoli e l'espressione era risolta. Non mi capacitavo della velocità con cui aveva completato l'esercizio. –Bravo Stark. Penso che lei dovrebbe dare ripetizioni alla sua compagna. – disse la donna, spostando lo sguardo su di me. A quell'affermazione spalancai la bocca e i miei occhi scattarono sul ragazzo alla sua destra, trovandolo con un ghigno soddisfatto. –Con molto piacere prof. – disse, ghignando a braccia conserte. Esasperata sprofondai sul banco e mi misi il libro sulla testa, per nascondermi. In quel momento sarei voluta scomparire dalla faccia della terra. Un intero pomeriggio con Sebastian. Sarei riuscita ad uscirne ancora vergine e innocente? Ne dubitavo fortemente, considerando le sue probabili intenzioni e il suo fascino innegabile. Le due ore successive passarono stranamente veloci e la campanella dell'intervallo suonò. Mi alzai, diretta alle macchinette, con Eva alle mie spalle, quando Sebastian mi sbarrò le strada. –Allora, facciamo alla tre da me? – chiese, appoggiando per un secondo le mani sulle mie spalle per tenersi in piedi, visto che arrivando di corsa rischiava di perdere l'equilibrio e cadere. Non so per quale motivo, ma non mi fidavo di andare da lui. Se proprio mi fossi dovuta difendere avrei preferito farlo a casa mia. Almeno avrei saputo come e con cosa. –No, preferirei che venissi tu da me. – obbiettai, togliendomi di dosso le sue mani ancora ancorate alle mie spalle. –Hai per caso paura che ti salti addosso? – ridacchiò, aggrottando le sopracciglia confuso. –Ehm, si? – chiesi retorica, sollevando le sopracciglia. Alzò le mani in segno di resa. –Va bene, come vuoi. Allora passo alle tre. – disse, camminando all'indietro. –Non dimenticartene bambolina. – mi puntò un dito contro, guardandomi con le sopracciglia sollevate, e con una mezza piroetta si avviò per il corridoio. Lo seguii con lo sguardo fin che non sparì dalla mia vista, svoltando l'angolo. Vedendo che di lì non mi sarei mossa Eva mi passò una mano davanti agli occhi, ridendo. –Ci sei ancora? Ti sei incantata. Lo so che ha un gran bel culo, ma fissarlo non serve a niente tesoro. – Arrossii di colpo, colta in flagrante, e subito dopo sbiancai, realizzando una cosa. –Ho appena firmato la mia condanna a morte. Sebastian verrà a casa mia. Che diavolo ho fatto?! Perché non potevamo trovarci in biblioteca? – mi voltai verso di lei, gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta, mentre mi infilavo le mani fra i capelli. Vedendomi così Eva si mise a ridere, tenendosi la pancia con una mano e coprendo la bocca con l'altra. La fulminai con gli occhi, offesa, facendola solo ridere di più. –Dai, sta tranquilla. – mi prese sotto braccio, incitandomi a camminare. –Andiamo da Adam, ci starà aspettando da una vita. – disse. Io e Adam avevamo deciso di far finta che non fosse successo niente. Il giorno prima era venuto a vedere come stavo e avevamo passato buona parte del pomeriggio a chiarire la faccenda. Si era stabilito che facessimo come se non si fosse mai dichiarato e non provasse più niente per me. In modo che la nostra amicizia continuasse senza nessun tipo di intoppo, lasciando da parte l'imbarazzo e dimenticando tutto. Arrivammo davanti le macchinette, dove c'era un Adam spazientito per il ritardo, trovandolo a braccia conserte che batteva la punta delle Nike a terra. –Alla buon'ora. Stavo facendo la muffa. – sbuffò, aprendo le braccia esasperato. Ridacchiammo e lo salutammo con un abbraccio, iniziando a scherzare. Con la banale scusa del dover andare in bagno, nonostante fosse chiaro a tutti che stesse andando da Tom, dopo pochi minuti Eva se la filò, lasciandoci da soli a parlare. –Dobbiamo fare una delle nostre serate film e popcorn, è un'eternità che non ne facciamo una. Che ne dici? – sbottò d'un tratto il ragazzo. Sorrisi, annuendo vigorosamente. –Certo. Che ne dici di stasera? Mia madre non c'è e papà farà di sicuro tardi a lavoro. – Il suo sorriso si allargò, distraendomi per un momento. –Perfetto. – La campanella suonò. Eva ci raggiunse, leggermente affannata, e, dopo aver salutato Adam, tornammo in classe per affrontare le ultime due stressanti ore di scuola. Finalmente quella mattinata era finita. Non era stata delle peggiori, ma neanche troppo buona. Mi avviai verso il parcheggio davanti alla scuola, dopo aver salutato Eva, dove mia madre già mi aspettava. –Ciao tesoro, come è andata oggi? – chiese, mettendo in moto. Dovevo avvisarla che oggi sarebbe venuto un mio compagno a farmi ripetizioni? No, tanto lei non ci sarebbe stata. Perché metterla in ansia? La liquidai con un –Tutto bene grazie. – misi le cuffiette e iniziai ad ascoltare la musica per evitare di parlare. D'un tratto mi venne in mente che dovevo parlale della gita ad Amsterdam. Tolsi una cuffietta. –Ah si mamma, fra due settimane c'è la gita ad Amsterdam. Dovresti firmare l'autorizzazione. – dissi speranzosa, incrociando le dita. Fa che dica di sì! Fa che dica di sì! Fa che dica di sì! Pensai. –Amsterdam? – chiese dubbiosa e la vidi aggrottare le sopracciglia dallo specchietto retrovisore. –Non so Chiara, è lontano. – disse insicura, stringendo nervosamente il volante. –Ho sedici anni, mamma. So badare a me stessa, e poi ci saranno anche i professori a tenerci d'occhio. – obbiettai, provando a convincerla. Sospirò, sconfitta, e sapendo ormai di averla avuta vinta sorrisi raggiante. –E va bene. A casa firmerò tutte le carte. – disse rassegnata, lasciandosi andare contro il sedile. –Grazie mammina adorata. – urlai e mi alzai dal sedile posteriore per lasciarle un bacio sulla guancia. –Dannazione Chiara. Così mi farai andare fuori strada! – urlò a sua volta, facendomi ridacchiare. Tornai seduta e rimisi le cuffiette, lasciandomi cullare dalla voce di Ed.

"Come aeroplanini di carta"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora