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Sebastian era sulla soglia di casa mia, un sorriso sghembo con tanto di fossette fisso sulle labbra. Quella sera era ancora più bello del solito. Indossava una camicia nera, sbottonata sul petto, il cui colore risaltava i suoi bellissimi occhi azzurro ghiaccio, ben visibile grazie al cappotto grigio scuro anch'esso sbottonato, e aveva i capelli tirati indietro in un ciuffo alto, che gli scoprivano il viso scolpito. Il suo sorriso si allargò, mentre con gli occhi passava in rassegna il mio corpo, e rimasi stordita per qualche secondo, sentendomi avvampare sotto il suo sguardo. –Sei stupenda. – disse, facendomi riscuotere dallo stato di trans. Abbassai lo sguardo sul mio corpo, vedendo ciò che indossavo, e mi morsi il labbro inferiore imbarazzata. Avevo solo un paio di jeans e una vecchia felpa, il suo commento era probabilmente ironico, eppure sembrava così sincero mentre diceva quelle semplici parole, che mi avevano infiammato la pelle e fatto battere forte il cuore. Non sapendo bene cosa dire, cambiai discorso. –Pensavo fossi ancora in montagna con gli altri. – dissi, stupita, mentre ancora cercavo di realizzare che lui fosse lì, davanti a me. Strinsi forte il pomello della porta e trattenni il respiro, quando i suoi occhi tornarono nei miei, luminosi e brillanti. Giuro, non li avevo mai visti brillare tanto e non avevo mai sentito il cuore battere tanto forte, come se cercasse di uscire dal mio petto per finire nelle mani del ragazzo davanti a me. –Mi concede di passare la serata con me? – chiese gentilmente, ignorando la mia precedente osservazione, cambiando a sua volta discorso. A quel punto mi chiesi se avesse anche solo sentito la mia domanda, o se fosse stato perso nei suoi pensieri e non mi avesse calcolata. Mi morsi il labbro inferiore e mi voltai verso l'interno della casa. In cucina i miei genitori stavano parlando, mentre bevevano un tè. Non mi avrebbero mai permesso di uscire dopo tutto quello che era successo. Fra la vacanza in montagna, la sparatoria in gioielleria e l'ospedale, sarebbe stato un miracolo se non mi avessero rinchiusa in casa a vita. Sebastian intrappolò il mio mento fra le dita e mi costrinse a voltarmi verso di lui. La distanza tra i nostri volti era veramente minima, riuscivo a sentire il suo fiato caldo imbattersi sulle mie labbra, così vicine alle sue, e il suo naso quasi sfiorava il mio. –Dovrei chiedere ai miei genitori. – dissi, in tono distratto, troppo presa ad osservare i suoi occhi per prestare attenzione a ciò che stavo dicendo. –Ho già pensato a tutto io. – disse, appoggiando per un secondo la punta del naso sul mio. Mi lasciò andare il mento, allontanandosi nuovamente. Le sue fossette ai lati della bocca mi fecero letteralmente perdere la testa e dimenticai qualsiasi cosa avessi per la testa in quel momento, concentrando tutti i miei pensieri su quanto volessi infilare la lingua in quel piccolo solco sulla sua guancia. –Forse dovrei cambiarmi. – dissi, indicando con gli occhi il mio vestiario. Si prese un altro secondo per guardarmi e dissentì con la testa. –Vai benissimo anche così. – disse, arricciando il naso e alzando le spalle. Per lui un vestito valeva l'altro, sarebbe stato bene anche con un paio di pantaloni della tuta e una semplice t-shirt, ma non avevo proprio voglia di salire le scale e cambiarmi, né tanto meno di truccarmi e pettinarmi, soprattutto quando davanti a me avevo il ragazzo che amavo, finalmente senza nessuna barriera a dividerci. La voglia di stare con Sebastian e la mia pigrizia, quindi, ebbero la meglio su di me. Con il braccio che riuscivo a muovere meglio, afferrai il cappotto dall'attaccapanni e lo indossai, uscendo di casa. Sebastian mi porse il braccio e io lo afferrai, trovandovi un solido appoggio, e a braccetto attraversammo il vialetto, fino a giungere al furgoncino con cui, la settimana prima, eravamo andati in montagna. Aggrottai le sopracciglia non appena il ragazzo aprì lo sportello. Al suo interno vi erano tutti: Eva, Tom e Luca. Sorrisi, sorpresa di averli trovati tutti lì, mentre invece ero convinta che fossero ancora in montagna, e mi voltai verso Sebastian, che mi guardava, divertito dalla mia espressione. Fu forse il pensiero che non avrebbe potuto fare nulla di più dolce nei miei confronti a spingermi a saltargli addosso. Chiusi lo sportello dell'auto con un piede, facendolo sbattere potentemente, e mi avventai sulla bocca del ragazzo, senza lasciargli nemmeno un secondo per capire cosa stessi facendo, prima di infilare la lingua fra le sue labbra. Gli ci volle qualche secondo per realizzare cosa stesse succedendo, ma appena ci riuscì fu abbastanza reattivo e mi portò le mani al viso, circondandolo. Io gli circondai i fianchi con le braccia e lo avvicinai a me, muovendo lentamente le labbra sulle sue, che più frenetiche sembravano voler consumare le mie. Impazienti. Impetuose. Sentii un forte calore espandersi al centro del mio petto e uno sciame di farfalle prese a svolazzare nello stomaco, mentre in sincronia i nostri battiti cardiaci aumentavano a dismisura. I nostri corpi, bisognosi di un qualsiasi contatto, aderirono perfettamente l'uno all'altro, quasi incastrandosi, come le nostre labbra si modellavano a vicenda. Le nostre anime, i nostri cuori, si fusero. Migliaia di emozioni, un solo secondo. È possibile provare così tanto, per così poco? Credetemi se vi dico che lo è. Ci staccammo a malincuore dal bacio, appoggiando le fronti una contro l'altra, e il suo pollice delicatamente continuò ad accarezzare la mia guancia, come già da qualche secondo stava facendo, ad occhi chiusi. Le sue labbra erano rosse e gonfie, e ne uscivano respiri regolari, che si imbattevano sulle mie, altrettanto rosse. Era sicuramente un bacio desiderato, aspettavo di farlo dalla sera di natale, quando sotto l'albero ci eravamo scambiati i regali, e ci eravamo guardati così intensamente, io a cavalcioni sulle sue gambe; ma poi per un motivo o per un altro non era stato possibile. –Luca aveva ragione. Ci sai proprio fare. – disse, dopo secondi di silenzio, alludendo al commento che aveva fatto Luca quella sera passata a casa di Tom, quando lo avevo baciato perché Christina mi aveva sfidata. Rise leggermente, sospirando, e gli diedi una pacca sul petto, mentre a mia volta ridevo. –Idiota. – sbuffai in una risata, mentre non riuscivo a controllare il sorriso ebete di cui ormai avevano preso la piega le mie labbra. Si staccò ridacchiando da me e riaprì lo sportello dell'auto, lasciandomi entrare, per poi accomodarsi accanto a me sul sedile. –Ce ne avete messo di tempo. Che avete fatto, concepito un bambino? – ci chiese fin troppo direttamente Eva, seduta su uno dei sedili anteriori, accanto a Tom che avrebbe guidato. –Eva! – la rimproverai, sgranando gli occhi, sentendomi avvampare per l'imbarazzo. Mi metteva a disagio il suo commento, nonostante fossi consapevole che dopo tutto il tempo che io e il ragazzo avevamo passato fuori dall'auto effettivamente fosse quello il messaggio che passava. –No tesoro. – mi zittì Sebastian, mettendomi una mano davanti al viso, appena notò che fossi sul punto di ribattere. Spostai lo sguardo su di lui, perplessa. –Inutile negare l'evidenza. – disse, lasciandomi sempre più sorpresa. Mi circondò le spalle con un braccio e poggiò l'altra mano sul mio ventre. –Si Eva, presto diventerai zia. – ammise con convinzione, mentre con un sorriso smagliante mi accarezzava la pancia. Schiaffeggiai la sua mano e me lo tolsi di dosso, lanciandogli uno sguardo truce, che però lo fece solo che ridere di gusto. Lui e le sue stronzate. Eva ridacchiò soddisfatta, mentre Luca portò indietro la testa e mise una mano sulla fronte, esasperato almeno quanto me. Tom accese il motore e l'auto partì, lasciando che nel veicolo calasse uno strano ma piacevole silenzio, subito rimpiazzato dal brusio che stavano creando Eva e il suo ragazzo. Sebastian mi prese la mano e iniziò a disegnarmi con il polpastrello dell'indice cerchi concentrici sul palmo. Sollevai il suo braccio e mi ci infilai sotto, appoggiando la schiena al suo petto e portandolo a circondarmi le spalle con quel braccio. –Sei proprio un coglione. – sussurrai, per evitare che il resto dei ragazzi ci sentissero. Eravamo nei sedili in mezzo. Eva e Tom su quelli anteriori stavano chiacchierando amabilmente e Luca su quelli dietro ai nostri aveva infilato le cuffiette e si era perso nella musica, forse per lasciarci un po' di privacy. Sentii un sorriso spuntare sulle labbra del ragazzo, mentre continuava a disegnare figure astratte sul mio palmo. –Andiamo bambolina, lo so che anche tu mi ami e vorresti avere un figlio con me. – si vantò, sicuro di sé, ridacchiando stupidamente. Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, trattenendo a stento una risata. Forse se l'avessi stuzzicato un po' avrebbe smesso di essere così spavaldo. –So di non essere più vergine, ma non pensavo di dover avere subito un figlio. – dissi, mordendomi il labbro inferiore per non scoppiare a ridere. Sentii il suo corpo irrigidirsi sotto al mio e potei solo immaginare l'espressione che aveva in quel momento. La sua mano si ancorò stabilmente al mio polso, stringendolo con prepotenza. –Non sei più vergine? Sei andata a letto con Federico? – chiese, sollevando la schiena dal sedile, inducendomi a spostarmi e a voltarmi verso di lui. Il suo tono arrabbiato era in totale contrasto con la preoccupazione e lo stupore che si leggeva nei suoi occhi, e forse la cosa più palese era la delusione e il senso di tradimento che stava provando. Riuscivo a vedere tutte le emozioni che stava provando, una dopo l'altra, e mi sentii vagamente in colpa per avergli giocato quel brutto scherzo, ma allo stesso tempo lusingata. Nonostante non me l'avesse mai detto a parole, ero consapevole che tenesse molto alla mia verginità e che fosse molto geloso di me, ma soprattutto sapevo che a disturbarlo non era tanto il pensiero che io l'avessi persa, ma che l'avessi fatto proprio con Federico. Sorrisi, scuotendo la testa, e nonostante mi sentissi in colpa per la sua reazione continuai a stuzzicarlo. –Anche se fosse? Sei geloso? – chiesi, sollevando un sopracciglio, avvicinandomi ancora a lui, che non tentò di allontanarmi. –Si, sono geloso. – sbottò, con tono ovvio, assottigliando lo sguardo e arricciando le labbra. Sorrisi e lasciandolo perplesso gli gettai le braccia al collo, infilandogli le mani fra i capelli. –Sta tranquillo, sono ancora vergine. – confermai, strofinano il naso sul suo collo. Le sue braccia mi circondarono la vita e rilasciò un respiro profondo, stringendomi a lui. –Dio, e io che pensavo avesse... abusato di te, o ti avesse costretta a farlo. – ammise preoccupato, accarezzandomi i capelli. –Non farmi mai più uno scherzo del genere. – Quella preoccupazione che avevo letto nel suo sguardo, poco prima, allora era dovuta a quello. Aveva paura che non fosse stato un rapporto consenziente, che mi avesse obbligata o ancor peggio che avesse abusato di me. Mi staccai da lui, immergendomi nei suoi occhi color ghiaccio. Se pensavo a quanto era cambiato in quei pochi mesi mi veniva la pelle d'oca. Era passato dall'essere il mio incubo, a diventare il mio sogno, l'unica possibilità di evadere dalla realtà in cui ero bloccata.

"Come aeroplanini di carta"Where stories live. Discover now