9^

58K 2.4K 140
                                    

SEBASTIAN POV'

-Sebastian sveglia. Devi andare a scuola. Alzati o farai tardi. – Visto che i miei genitore, a causa del lavoro, che spesso li teneva fuori città o per meglio dire fuori dal continente, non potevano badare a me, già da quando ero piccolo pagavano una donna per prendersi cura di me. Ora che ormai avevo l'età per vivere da solo, a differenza di qualche anno prima, questa donna non viveva più qui stabilmente, ma si limitava a venire ogni tanto per pulire casa, fare il bucato, la spesa o prepararmi la colazione, qualche volta. Debby non era mai stata esattamente come una seconda madre. Non era la solita anziana signora dolce e affettuosa. I nostri rapporti erano prettamente professionali e così erano sempre stati. Lei mi preparava da mangiare, faceva il bucato, rassettava la casa, ma nulla più di questo. Quando ancora alloggiava qui, solo perché non ero ancora maggiorenne e per questioni legali non potevo essere lasciato solo, infatti, appena aveva finito di fare le sue mansioni giornaliere si ritirava in camera sua o usciva tutto il giorno per poi rientrare per passare la notte qui. Non mi ero nemmeno mai chiesto perché il suo comportamento fosse così freddo e distaccato nei miei confronti, ma mi sembrava di averle sentito dire, origliando per sbaglio una telefonata, che "Il lavoro e la vita privata sono due cose parallele, non possono avere un punto d'incontro e di sicuro non devono". Non che mi interessasse più di tanto il suo parere. Del resto, a parte la notte, io non ero mai stato troppo tempo a casa, preferendo stare fuori con gli amici a fumare erba e bere fino a star male, e di questo né lei né i miei genitori si erano mai preoccupati. –Ancora cinque minuti. Ti prego. – borbotti premendo il cuscino sopra la testa. Sentii la donna sbuffare, già alterata, e potei immaginarla con le braccia conserte e gli occhiali da vista abbassati sul naso. –Sebastian, guardami. – mi intimò, duramente. Tolsi il cuscino dal viso, aprendo gli occhi controvoglia, e la guardai con le sopracciglia aggrottate, trovandola esattamente nella posizione in cui l'avevo immaginata. –Alza il culo e vestiti, o farai tardi. – ordinò con voce autoritaria per poi girarsi e uscire dalla stanza. Sbuffai infastidito e feci come disse, alzandomi. Avrei preferito vivere in mezzo a biancheria sporca e a cumuli di polvere ovunque che averla intorno per un altro giorno, ma dipendeva da mia madre e da quanto tenesse a casa sua e al mio benessere, perché senza Debby probabilmente avrei mangiato solo pizza e patatine da McDonald. Andai in bagno e feci una doccia veloce. La sera prima, subito dopo essere stato a casa di Tom, ero passato da una ragazza per qualche ora, per scaricare la tensione. Alla fine ero tornato a casa alle 3 di mattina e non mi ero nemmeno cambiato. Ero direttamente crollato sul letto, sfinito. Ora avevo il suo odore impregnato nella pelle e volevo assolutamente levarmelo di dosso. Mi vestii e buttai a lavare gli abiti della sera prima, che avevano preso anch'essi l'odore di quella ragazza di cui non sapevo nemmeno il nome. Presi le lo zaino, preparato al volo, il telefono, le chiavi e saltai in macchina. Arrivai a scuola, stranamente in orario, e la prima cosa che mi trovai davanti quando scesi dall'auto fu Luca che ci provava spudoratamente con Chiara, appoggiati al muretto, vicino al cancello d'entrata. Lei non era il suo tipo, non gli avrebbe mai aperto le gambe tanto facilmente, quindi si sarebbe presto reso conto che con lei avrebbe al massimo potuto sperare in un'amicizia, ma mi faceva comunque salire gli istinti omicidi questo suo comportamento da coglione. Una ragazza mi si parò davanti, coprendomi la visuale, e mi guardò civettuola. Si avvicinò al mio orecchio. –Bagno o spogliatoi della palestra? – sussurrò con voce calda e sensuale. Mi sembrava di essere diventato un gigolò quando mi facevano queste proposte così su due piedi, sicure che avrei accettato. Mi allontanai bruscamente e la guardai con rimprovero, guadagnandomi un'occhiata confusa. Non aggiunsi altro e mi avviai in classe. La giornata partiva già col piede storto. Entrai in e andai a sedermi al mio solito posto, accanto a Luca, che ora era fuori a divertirsi con la mia ex migliore amica. Solo a pensarci mi veniva voglia di lanciare il baco in aria. Poco dopo anche tutti gli altri arrivarono, prendendo posto nell'aula, e appena entrò la professoressa iniziammo la lezione. –Prof, posso andare in bagno? – vidi la mano di Chiara alzarsi e la sua voce melodiosa spezzare il silenzio che era calato negli ultimi minuti. La professoressa acconsentì, con un gesto svogliato del mento, e continuò a scrivere qualcosa alla lavagna. La ragazza si alzò con calma e senza nemmeno rendermene conto la seguii con lo sguardo fino a quando non uscì dalla porta, sparendo dalla mia vista. Scossi la testa per riprendermi, ma ormai aveva occupato la mia mente. Riuscii a pensare solo a quanto avrei voluto vederle addosso una delle mie felpe, che sicuramente le avrebbe fatto da vestito per quanto era larga, e non quella che aveva addosso in quel momento. Le sarebbe stata benissimo. A distrarmi dalle mie fantasie assurde fu l'allarme anti incendio, che scattò facendomi sobbalzare. Uscimmo tutti dalla classe correndo come dei disperati, ignorando le norme di sicurezza che fin dalle scuole elementari ci avevano insegnato a rispettare, e appena fummo fuori dalla scuola, dalle cui finestre apparivano i bagliori del fuoco, la professoressa fece l'appello. L'edificio era avvolto dalle fiamme e dal fumo sul lato Est, dove ospitava la grande mensa per gli studenti che avevano il pomeriggio. L'incendio si espandeva rapidamente. –Chiara Rossi – mi balzò all'orecchio il suo nome, ma non vi fu nessuna risposta. –Signorina Chiara Rossi. – ripeté la professoressa, alzando il tono di voce e guardandosi in torno. Solo dopo realizzai che era ancora in bagno. Tutti, compresa la professoressa, ci fissammo negli occhi, incerti, spaventati, non sapendo cosa fare per salvarla. Avendo capito che nessuno avrebbe mosso un muscolo, fino all'arrivo dei pompieri, corsi all'interno della scuola senza pensarci due secondi, fra le urla di tutti che mi dicevano di non fare stupidaggini, di ritornare indietro. Non li ascoltai. L'idea che Chiara potesse morire, o rimanere ferita a causa dell'incendio si faceva strada dentro di me impetuosa. Mi ripetevo che l'avrei fatto per chiunque, ma era davvero così? Mi diressi verso il bagno delle ragazze. Non vedevo più in là del mio naso, per la quantità di fumo che si intensificava sempre di più, la temperatura era salita di almeno venti gradi negli ultimi cinque minuti, e non si poteva respirate. Arrivai davanti la porta e provai ad aprirla, ma era bloccata. –Chiara, ci sei? – chiesi in preda al panico, strattonando più forte la maniglia. Ci mancava solo che mi rimanesse in mano. Le fiamme venivano verso di me e si facevano strada velocemente. Il tempo scadeva, mancava poco prima che le fiamme mi raggiungessero e se non fossi riuscito a tirarla fuori me ne sarei dovuto andare, per non morire bruciato. –Sebastian aiuto. La porta è bloccata. Fammi uscire ti prego. Ho paura. – la sentii singhiozzare, tossendo a causa del fumo. Batté i pugni sulla porta, sempre più flebilmente, fino a smettere del tutto. –Mi... mi sento svenir... - la sua voce si spense, era poco più di un sospiro e io andai ancora di più nel panico. –Tieni duro Chiara. Spostati dalla porta, la butto giù e vengo a prenderti. Non avere paura, arrivo. – dissi con e mani fra i capelli. Feci qualche passo indietro e andai in contro alla porta, colpendola con una spalla e sfondandola. Lei era stesa a terra, incosciente, immersa in una nuvola di fumo che mi appannava la vista. Mi si strinse il cuore a vederla così, l'espressione corrucciata, le labbra arricciate. La presi in braccio, ignorando il dolore alla spalla, e corsi fuori tossendo. Uscimmo dalla nuvola di fumo e dalla scuola in fiamme quando i pompieri erano appena arrivati e si stavano dirigendo all'interno dell'edificio per spegnere le fiamme. –Presto, chiamate un'ambulanza! – urlai fra un colpo di tosse e l'atro. Mi inginocchiai a terra e la stesi, appoggiandole la testa sulle mie gambe. –Andiamo, respira. Ti prego. – la incitai, accarezzandole i capelli. Il suo respiro era flebile e leggero, il petto si muoveva appena. Tom mi venne in contro correndo e mi guardò accigliato. –Ma che ti è saltato in testa!? Sei impazzito!? – mi chiese sconvolto. A quelle parole impazzii. –Dimmi cosa avrei dovuto fare!? Dai! Dimmelo! Avrei dovuto lasciare che morisse là dentro? – urlai con tutta la rabbia che avevo in corpo, ancora sotto shock. Mi guardò allibito per un secondo, si vedeva chiaramente che stava soppesando le mie parole. –Scusa amico, calmati, hai ragione. – disse, alzando le mani in segno di resa, e si riallontanò, amalgamandosi al gruppo di persone. Gli occhi di tutta la classe erano puntati su di noi, chi preoccupato, chi impietrito. Luca per esempio era immobile, la bocca semiaperta, gli occhi sbarrati. Persino Christina sembrava preoccupata per la ragazza. Grazie a Dio non c'era Eva quel giorno, o avrebbe dato di matto a vedere l'amica in queste condizioni. Spostai gli occhi su Chiara, sembrava dormire così tranquillamente, metteva i brividi vederla così, con il viso sudato e sporco di fuliggine in alcuni punti, pallida da sembrare senza vita. Le accarezzai i capelli e mi piegai appoggiando la fronte sulla sua. –Tieni duro, l'ambulanza sta arrivando. – sussurrai, anche se non mi poteva sentire. Dopo appena pochi minuti finalmente arrivò l'ambulanza. Dei paramedici la misero su una barella e la caricarono per poi iniziare a rianimarla. –Posso venire con voi? L'ho portata fuori io. – chiesi mentre stavano chiudendo le porte. –Certo, dobbiamo controllare se sta bene anche lei. – mi avvertì l'uomo. Annuii e salii sull'ambulanza, che partì ad una velocità sostenuta. Mi sedetti dal lato apposto in cui era il paramedico e lo osservai controllare la pressione a Chiara, sentirle il polso. Le mise una mascherina sul viso e si sedette. Mi passai le mani sul viso e sospirai, preoccupato. Dopo poco eravamo all'ospedale. Mi fecero velocemente dei controlli e dopo aver constatato che stavo bene mi fecero accomodare in sala d'attesa, dove trovai la madre di Chiara, preoccupata, mentre si torturava le mani nervosamente, vagando per la sala. Mi venne in contro in lacrime. –Grazie, l'hai salvata. – disse, commossa, e mi abbracciò con slancio. Ricambiai l'abbraccio, un po' titubante e la donna si staccò, capendo di avermi messo a disagio. –Come sta? – chiesi preoccupato. –È fuori pericolo. Ora sta dormendo. Appena si sveglia ci fanno entrare. Dovrà stare qui una notte in osservazione e domani mattina la portiamo a casa. Vuoi aspettare qui o preferisci andare? Se vuoi ti chiamiamo quando si sveglia. – propose, appoggiando una mano sulla mia spalla. –O no. Aspetto qui, non vado da nessuna parte. – Il suo sorriso si allargò e annuì. –Va bene. – disse e con un gesto del capo si congedò, andando a sedersi vicino al marito che sembrava più scosso. Camminai avanti e indietro per la sala d'aspetto, facendomi mille paranoie, fino a quando un'infermiera venne a dirci che si era svegliata. –Va pure caro, noi la vedremo dopo. – mi disse la madre, incoraggiandomi. –Grazie infinite. – dissi, sorridendole e stringendo la mano al marito, un po' contrariato dalle parole della moglie. L'infermiera mi accompagnò fino alla camera di Chiara, lasciandomi proprio davanti ad essa per poi andarsene. Feci un respiro profondo ed entrai, chiudendomi la porta alle spalle. La ragazza era pallida e un po' intontita, appena si accorse di me provò ad alzarsi. –No, no, ferma. – le misi una mano sulla spalla per bloccarla. Lei mise una mano sulla mia e sussurrò –Grazie Sebastian, grazie infinite. – la sua voce era stanca, appena percettibile. Mi chinai e le baciai la fronte. Non era il momento di fare lo stronzo. –Non potevo lasciarti la dentro. – dissi. Mi sorrise. –Grazie. – ripeté. Le sorrisi a mia volta. –Vorrai vedere i tuoi genitori, sono qui fuori. Li chiamo. Io starò qui fino a che non ti dimetteranno. Se mi vuoi basta chiamarmi. – Le accarezzai i capelli e dopo un breve saluto uscii per chiamare i suoi genitori. Attraversai il corridoio, mani nelle tasche, testa bassa, arrivando nella sala d'attesa. –Potete entrare, è la prima porta a destra, infondo al corridoio. – dissi ai suoi che annuirono e corsero da lei.

"Come aeroplanini di carta"Where stories live. Discover now