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Non sapevo come, né perché, ma odiavo il martedì ancora di più del lunedì. La giornata era iniziata malissimo, già a partire dal risveglio. La sveglia che avevo impostato sul telefono, e che avevo messo al massimo la notte precedente, mi fece alzare talmente tanto di soprassalto che caddi di testa, sbattendo anche in successione la spalla e il gomito sul comodino. Mi alzai dolorante, massaggiandomi la spalla, e controllai l'ora sul telefono, scoprendo non solo che erano le 7:55, ma che, in preda al sonno, la notte prima avevo impostato la sveglia per quell'ora, invece che per le 7:25, ed ora ero in ritardo. Mi infilai una felpa, un paio di jeans e corsi in bagno. O porca merda. Fu la prima cosa che pensai. –Ma perché tutte a me! Vaffanculo! – sbottai, esasperata. Avevo i capelli così gonfi che sembravano la criniera di un leone, ma non uno normale, uno che aveva fatto i bigodini. In quel momento ebbi un'incontrollabile voglia di prendere a calci il muro e magari prendere lo specchio e scaraventarlo giù dalle scale. Sbuffai frustrata, in preda al nervosismo, e provai a pettinarli, rischiando quasi di strapparli tutti. Nel mentre mi pettinavo con l'altra mano mi lavavo i denti, con gesti un po' scoordinati, ma tuttavia efficaci. Misi la solita gran quantità di mascara, non avendo però tempo di applicare altro, tornai in camera, prendendo le mie cose, e andai in cucina a chiamare mia madre, per chiederle un passaggio. –Mamma mi accompagneresti... - mi bloccai appena vidi il post-it attaccato al frigorifero. Mi avvicinai e lo staccai, leggendolo. "Io, Papà e Marco siamo andati dalla nonna per un paio di giorni. Ormai sei abbastanza grande per restare a casa da sola. Torniamo presto. Baci, Mamma." Lo accartocciai e lo lanciai sul tavolo, sbuffando. Non solo ero in ritardo, ma dovevo anche andare a piedi. Arrivata all'ingresso infilai il giubbotto e misi una sciarpa, per coprirmi dal freddo dell'inverno, ormai alle porte. Appena aprii la porta di casa un'ondata di acqua e vento mi investirono, bagnandomi da testa a piedi. Fantastico, fradicia e in ritardo. Pensai, alzando agli occhi al cielo, esasperata. Presi il primo ombrello che trovai, accanto alla porta, e uscii di casa, aprendolo. Il forte vento tagliente fece piegare in due l'ombrello, nel preciso istante in cui lo aprii, e una folata particolarmente potente lo fece volare via. Mi voltai e in quell'istante un'automobile, che viaggiava a tutta velocità, mi passò accanto, e mi schizzò tutta l'acqua di una pozzanghera addosso, infradiciandomi ancora di più. –Brutto bastardo pezzo di merda. Almeno rallenta quando passi vicino a una pozzanghera. Idiota. – urlai all'auto, che proseguì come se niente fosse successo. Iniziai a correre fino a scuola e appena arrivai erano le 8: 30. Bussai alla porta della classe, sperando che la prof non si fosse svegliata male quanto me, e sentendo un –Avanti. – che sembrava detto da un orco, capii che non era la giornata giusta. –Rossi. Si può sapere perché è costantemente in ritardo? Io non l'ammetto in classe, stia fuori dalla porta fino alla fine della lezione. – urlò la donna, al limite della sopportazione, guardandomi furiosa. Nemmeno le avessi ucciso il gatto. Pensai. Bè, non era l'unica ad essere al limite della sopportazione, quel giorno. Ignorai quello che aveva detto e andai a sedermi con tutta la sfacciataggine di questo mondo. Per la rabbia, per orgoglio, non lo seppi mai, semplicemente lo feci. –Signorina, è sorda forse? Le ho detto di uscire – strillò stizzita, incredula per la mia faccia tosta. Presi un respiro profondo e mi pentii già in partenza di quello che avrei detto, ma l'irritazione che provavo in quel momento mi diede la spinta finale per dire quello che trovavo giusto dire in quel momento. –Oh no, non sono sorda, signora. – marcai il tono su quest'ultima parola. –Semplicemente me ne sbatto di quello che ha detto. Perché sono dovuta venire fin qui a piedi, con il diluvio universale, e un'auto mi ha fatto il bagno. – sbottai, indicando i miei vestiti bagnati con le mani. –Non ci si metta anche lei oggi. Perché senza offesa, ma non è giornata. Quindi, torni a fare il suo lavoro e io me ne starò qui, in silenzio, a far finta che quello che ha da dire mi interessi, come ogni altra persona in questa stanza. – dissi, sedendomi pesantemente sulla sedia. Nell'aula, da quando iniziai a parlare a quando finii, piombò un silenzio inquietante, mentre tutti osservavano il frutto della mia insolenza a bocca aperta, pronti, come dopotutto anch'io, al peggio. La professoressa, nonostante immaginassi avrebbe reagito in malo modo, dopo avermi guardata per un attimo con sguardo torvo ricominciò a spiegare la lezione. Mi sporsi verso Eva, che, dopo avermi guardata sotto shock per qualche secondo, si riprese. –Ascolta, i miei mi hanno lasciato casa libera per un paio di giorni. Stasera facciamo una festa. – sussurrai.

"Come aeroplanini di carta"Where stories live. Discover now