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(Dal capitolo precedente)
Mi sarei aspettata di tutto, tutto, ma non di vedere lui...

-Cosa ci fai qui? – chiesi, astiosa, stringendo gli occhi in due fessure, mettendomi subito sulla difensiva, e nel frattempo mi corse un brivido lungo la schiena. –Vedo che sei particolarmente felice di vedermi. – esordì il ragazzo, con tono scherzoso, chiudendosi la porta alle spalle con un calcio. –Veramente speravo fossi morto in qualche parte remota del continente. – sibilai a denti stretti, sperando di trasmettergli almeno un minimo di tutto l'odio che sentivo nei suoi confronti. –Vedo che hai messo su un bel caratterino, mi piace. – disse, con un sorriso idiota stampato sulle labbra, venendo a sedersi sul letto, accanto alle mie gambe. Vede tante cose, ma la sua faccia da culo no eh? Ricordo di aver pensato. Quanto avrei voluto dirlo ad alta voce, solo per vedere la sua espressione offesa e allibita, constatando che si, avevo messo su davvero un bel caratterino. –Vieni al punto Federico, perché sei qui? – chiesi, già stanca di averlo intorno. Non vedevo l'ora di vederlo uscire dalla porta per non tornare mai più. –Cosa pensi sia venuto a fare? – chiese, non levandosi dal viso quel fastidioso ghigno neanche per un secondo, cosa che alimentò solo il mio fastidio. –Non girarci troppo intorno e parla. – sbottai, spazientita, già al limite della sopportazione dopo solo pochi minuti. Era stanca dei suoi giochetti. –Ti rivoglio Chiara. Ti ho pensata molto in quest'ultimo anno, non mi è piaciuto come è finita la nostra storia. – disse, appoggiando la sua mano sulla mia, stringendola leggermente, con quella stupida espressione innocente che mi rifilava sempre quando doveva prendermi in giro con qualche insulsa scusa. Si, Federico era il mio ex ragazzo. Un anno prima stavamo insieme; le cose andavano piuttosto bene, o almeno io mi illudevo che fosse così, fin quando, dopo qualche mese, iniziò ad insistere troppo per andare a letto insieme. Il problema era che non mi sentivo ancora pronta per ciò, era un passo troppo importante per me perdere la verginità, penso come per tutte le quindicenni, e il fatto che lui avesse sei anni più di me mi rendeva ancora più titubante riguardo ciò. A causa di questo litigavamo spesso e la nostra relazione era messa a dura prova dai continui e animati litigi. Una sera, d'un tratto, mi sentivo pronta, chissà in base a quale malato ragionamento avessi fatto in quel momento. Non aspettai un secondo e senza pensarci due volte andai da lui, nonostante quel giorno mi avesse chiesto di non vederci, perché era stanco per aver fatto un turno troppo lungo al lavoro. Avrei dovuto capire prima che fosse solo una scusa. Con le chiavi di scorta del suo appartamento, che mi aveva lasciato per i casi in cui si fosse dimenticato il suo mazzo dentro casa o volessi rifugiarmi da lui e non ci fosse stato, ero entrata e subito andata in camera sua, convinta di trovarlo a dormire o ad impigrirsi davanti alla televisione che teneva nella sua stanza, mentre invece lo avevo trovato a letto non con una, bensì con due ragazze contemporaneamente. Fu un duro colpo. Lo amavo e pensavo mi amasse, ma a quanto pare amava più il sesso che me. Il problema è che me ne ero resa conto troppo tardi. –A sì? Non ti è piaciuto come è andata a finire eh? Non è colpa mia se eri talmente arrapato da non poter aspettare che io fossi pronta. – sbottai, avendo perso la pazienza, scrollandomi di dosso la sua mano grande e ruvida. –Quella sera stavo venendo da te perché mi sentivo finalmente pronta, ma hai preferito mandare tutto a puttane. Te ne sei fregato di quello che provassi. Non mi hai nemmeno seguita quando sono uscita dal tuo appartamento in lacrime. – alzai la voce, con tono ostile. Parole che lasciavano l'amaro in bocca. –E ora sono andata avanti. – conclusi, fiera, di me stessa e della forza che avevo avuto. Il ragazzo rise, divertito. –Ma pensa un po'. – disse, alzandosi in piedi e iniziando a vagare per la stanza, tenendo sempre lo sguardo fisso sul mio viso, con un sorrisetto raccapricciante cucito sulle labbra. La sua espressione mutò in un secondo, diventando seria e di una freddezza spaventosa. –Ricorda che tu sei mia e presto tornerai da me, che tu lo voglia o no. – affermò, in tono possessivo. Metteva i brividi il modo in cui mi guardava, con quegli occhi grigi che tanto avevo amato. Ora mi davano solo la nausea e un profondo senso di inquietudine. –Non puoi costringermi. – affermai, sconcertata dalla sua insolenza. Ma come cavolo si permette? Pensai fra me e me. –Posso costringerti eccome, invece. – mi disse, sempre più convinto di ciò che diceva. Mi urtava i nervi quando si ostinava a sostenere una cosa, anche se la smentivo lui non mollava, perseverava sempre. E ciò era una dote, a volte, ma non in questi casi. Per la prima volta da quando era entrato nella stanza distolse lo sguardo dal mio, voltandosi in direzione della finestra, affacciandovisi. –Sono certo che al tuo amico Sebastian tieni molto. – A quelle parole sbiancai, diventando probabilmente del colore del lenzuolo, e mi sentii ghiacciare il sangue nelle vene. All'istante migliaia di domande tornarono ad affollarmi la mente: Come lo conosceva? Cosa voleva da lui? Gli aveva fatto del male? Aveva intenzione di fargli del male? La mia mente iniziò a lavorare freneticamente, tentando di leggere fra le righe, di capire cosa intendesse dirmi con quelle semplici parole. Avanti Federico, dimmi cos'hai in mente, schifoso pezzo di merda. –A molte persone piacerebbe sapere cosa faceva poco tempo fa, diciamo circa un anno, o forse due. – disse, prendendosi le mani dietro la schiena, con sguardo perso fuori dalla finestra. –Cosa stai insinuando? – chiesi, aggrottando le sopracciglia, mentre un'idea nella mia testa prendeva forma. Se era quello che pensavo io non aveva in mente nulla di buono. –Giusto, penso non te ne abbia parlato. Non che abbiate parlato molto da tre anni ad oggi. – Quello era un colpo basso, persino per lui, ma ciò che in quel momento mi spaventava di più era come avesse tutte quelle informazioni su me e Sebastian. –Era nel giro della droga, sempre strafatto e pure spacciatore. Che vita sprecata eh? Chissà cosa penserebbero tutti... - Sentii i peli drizzarsi sulle braccia. Mi sarei dovuta aspettare che non avesse finito. Voltò il viso nella mia direzione, incrociando il mio sguardo. –...Chissà cosa direbbe la polizia. – concluse. Il suo sguardo vuoto che passava in rassegna il mio corpo, mentre si avvicinava sempre di più al letto, mi dava i brividi. Mi venne spontaneo chiedermi cosa ci avessi visto in lui, un anno prima. Come avevo potuto amare una persona come lui? Perfida, viscida e calcolatrice. La sua innegabile bellezza era riuscita a mascherare così bene tutto il resto? –Che stai dicendo? – chiesi, sentendo il battito cardiaco accelerare, mentre tentavo di tenere a bada l'ansia che mi procurava averlo così vicino e ciò che mi stava dicendo. –Tesoro mio, lo conosci così poco e sei così ingenua. – disse, appoggiando una mano sulla mia guancia, accarezzandola con il pollice. A quel contatto sentii un brivido risalirmi la spina dorsale. Ero stata ingenua a pensare che mi amasse, o che fosse una brava persona, o che anche per un secondo meritasse il beneficio del dubbio. Era lui che non conoscevo affatto, non Sebastian. Schiaffeggiai via la sua mano dalla mia guancia e lo guardai disgustata. Davvero non aveva una dignità. –Io ho il video che lo dimostra. – continuò, allontanando la sua mano dal mio viso e infilandola in tasca, da cui estrasse il suo cellulare. Me lo mise in mano e fece partire il video, mettendosi poi a braccia conserte accanto al letto. Immagine dopo immagine vidi chiaramente Sebastian mentre vendeva delle bustine di polvere bianca a più persone, con uno spinello fra le labbra. Mi si contorse lo stomaco pensando a quello che faceva, e io nemmeno me ne rendevo conto. In quel periodo lo odiavo per essersi dimenticato di me, mentre la sua vita era un vero e proprio casino. Non oso immaginare come sia uscito da quel giro, né con l'aiuto di chi. Sapevo solo che la persona che l'aveva aiutato avrei dovuto essere io, ma ero troppo presa a provare rancore nei suoi confronti per accorgermi che si stava lentamente autodistruggendo. E in quel momento pensai che almeno quella volta avrei dovuto fare io qualcosa per lui, glielo dovevo. Presa dall'ansia eliminai il video, gettando il telefono ai piedi del letto. Non era l'unica copia che aveva, ne ero certa. Aveva innumerevoli difetti, ma non si poteva dire che non fosse sveglio. Pensava sempre due volte prima di fare le cose, e la maggior parte delle volte la faceva franca. –Non lo faresti. – affermai, sprezzante, sentendo la rabbia prendere il posto dell'ansia, mescolarsi al nervosismo. La sola idea che a causa di quell'egoista bastardo Sebastian sarebbe potuto andare in galera mi veniva voglia di conficcargli una siringa piena d'aria nel collo e ucciderlo. –Lo farei amore mio, lo farei eccome. Ti rivoglio indietro e se ricattarti fosse l'unico modo a me andrebbe più che bene. – disse, inclinando la testa verso destra. Patetico, ecco cos'era, patetico e disgustoso. –Iniziamo col prendere le distanze da Sebastian. – disse, recuperando il suo telefono e rimettendolo nella tasca dei pantaloni. –Entro sei ore devi aver messo ben in chiaro che lui deve starti alla larga, o porterò il video alla polizia. – asserì serio, estraendo dall'altra tasca dei pantaloni una chiavetta nera e rossa. Come pensavo non era l'unica copia, quella che aveva nel telefono. –Tic tac Chiara. Sei ore, solo sei ore. – disse, congedandosi con un sorriso sghembo, per poi uscire dalla stanza. Rimasi basita a fissare il via vai di infermiere che c'era nel corridoio. Tutto quello, tutta quella situazione, tutte quelle domande. Mi ronzavano tutti quei pensieri per la testa e mi tormentavano. Era tutto troppo. –Signorina Rossi, siamo pronti per portarla in sala operatoria. – disse un'infermiera, sbucando dalla porta. Venne verso di me e mi iniettò un mix di farmaci, controllò pressione e battito e mi cambiò sacca. Sto arrivando Adam.

SEBASTIAN POV'

Nella deserta sala d'attesa regnava il silenzio più totale, sentivo solo il rumore dei miei pensieri confusi. L'ansia mi divorava. Non sapevo nulla di Chiara da circa un'ora, da quando l'avevano caricata sull'ambulanza. Non mi avevano permesso di salire con lei, dovendo trasportare anche un altro signore rimasto coinvolto nella sparatoria, ma che aveva riportato ferite meno gravi. Così ero corso a casa e avevo avvertito tutti di ciò che era successo, scatenando il panico fra loro. Eravamo saliti in auto e ci eravamo diretti all'istante all'ospedale. Io mi ero fatto lasciare davanti alle porte dell'edificio, mentre gli altri andavano a cercare parcheggio. Non sarei riuscito ad aspettare un minuto in più, avevo bisogno di sapere come stava Chiara, eppure in quel fottuto ospedale sembrava non esserci nessun cazzo di dottore. La mia suoneria echeggiò nella stanza, facendomi sobbalzare per lo spavento e immobilizzare nel mezzo della stanza. Estrassi il telefono dalla tasca posteriore dei jeans, abbastanza irritato, e vidi ancora quel numero sconosciuto comparire sullo schermo. Convinto a voler capire chi fosse, risposi. "Pronto?" dissi, ma dall'altro capo del telefono non proveniva alcuna voce. "Pronto?" ripetei, sempre più infastidito. Continuava a stare in silenzio, riuscivo solo a sentire il suo respiro e ogni tanto trattenere una risatina. Non ebbi il tempo di mandare la ragazza a quel paese che riattaccò. Staccai il telefono dall'orecchio e fissai lo schermo, ormai nero, sbuffando. Chi era? Che cosa voleva da me? In un certo senso mi metteva ansia sapere che qualcuno che non conoscevo avesse il mio numero. I miei pensieri vennero interrotti dai ragazzi, che irruppero nella sala. –Come sta? Hai parlato con qualche dottore? – chiese Eva, correndo verso di me, proiettando nuovamente i miei pensieri su Chiara. Spensi il telefono e lo infilai velocemente in tasca, passandomi poi le mani sul viso, stremato. –No, non c'è nessuno qui dentro. – sbottai, esasperato, alzando le mani in aria, per poi sedermi di peso su una delle numerose sedie. Luca si sedette accanto a me, con aria spaesata. Sembrava non riuscire a metabolizzare ciò che gli avevo detto. Nemmeno io ci ero riuscito fino in fondo, era successo tutto così in fretta. Un secondo prima stavo guardando una collana, quello dopo ero a terra con le braccia a coprirmi la testa, mentre lei era ancora in piedi, accanto a me. Se solo me ne fossi accorto prima e l'avessi tirata giù con me magari non l'avrebbero colpita, forse non sarebbe qui. Ma colpevolizzarmi non sarebbe servito a nulla, non avrebbe fatto bene né a me né a lei. L'unica cosa che potevo fare era aspettare e sperare che tutto andasse bene. Misi la testa fra le mani e aspettai. Aspettai. Aspettai.

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Lidia00x
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