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Eravamo seduti sul divano di casa sua, uno accanto all'altra, la mia testa appoggiata alla sua spalla e la sua mano appoggiata alla mia coscia. Il fuoco acceso nel caminetto diffondeva nella stanza un piacevolissimo calore, e lo scoppiettare della legna ardente colmava il confortevole silenzio che regnava tra di noi. I nostri vestiti zuppi erano appoggiati accanto al camino, in modo che si asciugassero prima, e gocciolavano sul pavimento, creando piccole chiazze d'acqua sparse sotto di loro. Appena entrati in casa ci eravamo a turno fatti una doccia, per scaldarci un po', e mi aveva prestato degli abiti puliti con cui cambiarmi. Quando mi aveva chiesto se volessi indossare un reggiseno che aveva dimenticato a casa sua una ragazza, qualche mese prima, e me l'aveva bellamente sventolato davanti al naso, mi ero dovuta trattenere per non trargli un ceffone in faccia. Purtroppo lo sguardo truce che gli avevo lanciato era solo servito a farlo ridere, e anzi, mi ero anche beccata un'occhiatina maliziosa quando avevo rifiutato, preferendo di gran lunga non indossarlo. Quindi avevo semplicemente infilato la felpa, un paio dei suoi boxer, che mi stavano enormi, e dei pantaloni della tuta, in cui, nonostante avessi stretto al massimo i lacci, potevo benissimo nuotare dentro. Dopo di che eravamo scesi in cucina, dove avevamo cenato con quello che eravamo riusciti a mettere insieme, grazie ad avanzi trovati nel frigo, e infine ci eravamo seduti sul divano, in soggiorno, a goderci il resto della serata in tranquillità. Era bello passare del tempo insieme, solo io e lui. Ne sentivo la mancanza da settimane. Anche se non parlavamo, quel silenzio calato fra noi non era imbarazzante, tutt'al contrario, era rilassante. Tuttavia, dopo pochi minuti, nei quali una domanda mi ronzava in testa senza darmi tregua, mi fu impossibile rimanere zitta ancora. -Allora... - iniziai, attirando la sua attenzione. Lo sentii sbadigliare; probabilmente si era rilassato tanto che gli era venuto sonno, e mi sentii vagamente in colpa per averlo disturbato. -Come mai sei venuto a cercarmi a casa mia? - chiesi, voltandomi a guardarlo, distaccandomi un po' da lui. Il ragazzo sospirò e si passò una mano sul viso, assonnato, facendola poi scorrere verso l'alto, tirando indietro il ciuffo scuro. Si voltò con il busto nella mia direzione e tirò su le gambe sul divano, incrociandole. -Volevo chiederti scusa per come mi ero comportato in quelle settimane... io ti giuro che non l'ho fatto apposta, non volevo che mi vedessi, probabilmente non avrei nemmeno tentato di andare avanti se non ti avessi vista con lui... poi però Luca mi ha spiegato e ho deciso di venire a parlarti per sistemare le cose. - disse, ma sembrò dirlo più a se stesso, che a me, non guardandomi nemmeno negli occhi e gesticolando in modo strano. Era come se stesse tentando di dare un ordine cronologico ai fatti che aveva elencato, finendo però per non dargli un vero e proprio filo conduttore, motivo per cui sembrarono episodi buttati a casaccio in una frase. Aggrottai le sopracciglia, avendo capito ben poco di ciò che aveva detto, e provai a dare un senso logico alle sue parole, senso che però non trovai. -Di cosa diavolo stai parando? Andare avanti? Vista con chi? E Luca cosa centra? - chiesi, sempre più confusa, scuotendo la testa e voltandomi di più verso di lui, mettendomi nella sua stessa posizione. Quella domanda, che avrebbe dovuto schiarirmi le idee, aveva solo peggiorato la situazione, perché la sua risposta era più criptica di un geroglifico. Il ragazzo mi guardò con uno sguardo frustrato e sbuffò, come se avesse sperato fino all'ultimo che non ci fosse bisogno di dare ulteriori spiegazioni, e che le sue parole mi fossero chiare quanto lo erano a lui. Peccato che non fosse così, ma l'esatto opposto. -Il giorno che ci siamo lasciati, il professore mi ha cacciato dall'aula, poco dopo di te. - iniziò a spiegare, questa volta dall'inizio e più chiaramente, aiutandomi a dare una collocazione temporale a ciò che era successo. -Mi sembra inutile dire che sono venuto subito a cercarti, mi pare quasi scontato. - borbottò, un po' più a bassa voce, distogliendo lo sguardo e portandolo verso le sue ginocchia. Sembrava quasi vergognarsi di ciò, e una risatina mi nacque spontanea a quella sua reazione. -Quando ti ho vista sulle scale antincendio... - disse, e il suo viso prese una sfumatura seria, quasi fredda, e aggrottai lo sopracciglia, confusa da quel cambiamento d'umore. -...e ho visto Jo fra le tue gambe... - andò avanti, e non potei sentirmi che imbarazzata e tremendamente in colpa, ripensando al fatto che in parte, quella vicinanza, mi fosse piaciuta più di quanto avrei voluto, e più di quanto avrebbe dovuto piacermi. -...il tuo viso copriva il suo e ho pensato che lo stessi baciando. - disse, tutto d'un fiato, mordendosi poi il labbro inferiore, mentre congiungeva le mani e iniziava a torturarsele. A quelle parole sbarrai gli occhi, sbigottita. Aveva pensato che ci fossimo baciati? Era assurdo. Il fatto che mi avesse toccata mi era in qualche modo piaciuto, nonostante la sua vicinanza mi avesse messa leggermente a disagio, ma non avrei mai baciato un ragazzo che conoscevo appena, poco dopo averne lasciato uno di cui ero profondamente innamorata. Mi sentivo ferita e arrabbiata, certo, ma non l'avrei mai potuto fare. -È per questo che ho ricominciato a uscire con altre ragazze. Ero convinto che tu volessi andare avanti con altre persone e l'ho fatto anche io. - spiegò, stringendosi nelle spalle, e in effetti quello spiegava molti dei suoi comportamenti. Quelle parole però, nonostante avessero un senso, sembravano comunque così assurde dette ad alta voce. Io in realtà non volevo affatto andare avanti, mi ero semplicemente imposta di farlo, per rispetto verso me stessa e per non dimostrarmi ipocrita. Per una volta volevo restare ferma sulle mie decisioni e stranamente ci ero riuscita fino alla fine. -Però vorrei che sapessi che se mi hai visto con altre non l'ho fatto apposta. Io... effettivamente cercavo di appartarmi il più possibile, per evitare che mi vedessi, ma tentando di farlo, non so come mi trovavo sempre davanti a te, in un modo o in un altro, e mi dispiace tanto se per questo hai sofferto. - ammise. Questa volta portò gli occhi nei miei, incatenando i nostri sguardi, e riuscii a leggervi tutto il rammarico e la sincerità che trapelavano da essi. Ricordare quelle scene orribili in cui lui baciava e toccava ragazze qualunque era devastante, e sembrava assurdo che non l'avesse nemmeno fatto apposta a trovarsi dove ero io nel momento in cui c'ero io, ma nonostante ciò, tentando di mandare giù l'amaro in bocca procurato da quelle immagini, ancora ben nitide nella mia mente, allungai una mano verso le sue e ve l'appoggiai sopra, incoraggiandolo con lo sguardo ad andare avanti e a stare tranquillo. Lui intrecciò le dita della mia mano con quelle di una delle sue, e portò l'altra ad accarezzarmi il dorso, in una piccola coccola. Forse in quel caso ero io a dovermi tranquillizzare e non lui. -Ora ti starai chiedendo appunto cosa mi ha spinto a venire a chiederti perdono, oggi, a casa tua. - ipotizzò, e io confermai, annuendo. -Luca mi è venuto a parlare, oggi pomeriggio, ed è venuto fuori che... beh... in realtà sembrava solo che Jo ti stesse baciando, quando invece ti stava solo togliendo una ciglia dall'occhio. Così sono venuto da te e quando non ti ho trovata sono venuto alla stazione. - finì. -Ah, giusto. - aggiunse. Mi lasciò la mano con cui stava giocando e si diresse verso i suoi jeans, appesi accanto al camino, da cui estrasse il mio cellulare. -L'ho preso prima di venire via, ho pensato che ti potesse servire. - disse, buttandosi a peso accanto a me, porgendomi il piccolo oggetto. Lo guardai per giusto un secondo, facendo scorrere lo sguardo fra il suo viso e il cellulare, prima di lasciargli un piccolo schiaffetto sulla fronte, sbuffando, e strapparglielo di mano. -Ahi, perché cavolo l'hai fatto? - si lamentò, portando la mano alla testa per massaggiarsi la fronte. Esagerato, quello schiaffetto non avrebbe fatto male neanche ad un bambino. -Come hai potuto anche solo pensare che avessi baciato Jo? Sei impazzito? Ci eravamo lasciati da meno di mezz'ora. Che cazzo ti passava per il cervello?! - sbottai, infastidita come non lo ero mai stata. Il fatto che avesse dato per scontato che lo stessi baciando mi urtava oltre modo. Dov'era finita la fiducia nei miei confronti? Okay, ero sconvolta, e okay, ero anche vulnerabile in quel momento, ma non vuol dire che ogni volta che lo sono io vada a baciare qualcuno. -Dalla prospettiva che avevo era quello che sembrava, scusa! - si giustificò, aprendo le braccia esasperato. Sbuffai ed incrociai le braccia al petto, distogliendo lo sguardo da lui. -Andiamo bambolina, non ti arrabbiare. Sarebbe stupido litigare proprio ora che abbiamo appena risolto le cose. - sospirò, ed effettivamente aveva ragione. Ci eravamo appena riappacificati, dopo due settimane da incubo, perché ricominciare tutto da capo? Aprii bocca per ribattere, ma quel familiare pizzicorio al naso, tipico avvertimento di uno stranuto, mi azzittì. Strizzai gli occhi, per cercare di trovare un minimo di sollievo a quella fastidiosa sensazione, ma questo non m'impedì di starnutire consecutivamente più e più volte, costringendomi a portare una mano davanti al naso e alla bocca, e a voltarmi dall'altra parte per non farlo addosso a Sebastian. Quando finalmente riuscii a calmare quel piccolo attacco, gli occhi lacrimavano leggermente e bruciavano. -Stai bene? - mi chiese premurosamente il ragazzo, scorrendo più vicino a me sul divano. Si avvicinò abbastanza da riuscire a premere le labbra sulla mia fronte, sporgendosi, e rimase in quella posizione per qualche secondo, staccandosi con uno schiocco solo dopo aver lasciato un piccolo bacio sulla mia pelle. -Bambolina, mi dispiace dirtelo, ma hai la febbre. - annunciò, allungando una mano per accarezzarmi i capelli. Mi sarebbe sembrato strano non essermi presa niente, considerando che avevamo passato quasi un'ora sotto la pioggia gelida, a gennaio inoltrato, per di più senza cappotto. -Tranquillo, sto abbastanza bene. - lo rassicurai, sfregandomi gli occhi con le mani. In fin dei conti a parte un po' di bruciore agli occhi e un leggero mal di testa non mi sembrava di presentare altri sintomi, forse ero solo un po' intontita. Ridacchiò e sollevò un sopracciglio al mio tentativo di sminuire la cosa. -Se stai bene allora perché tremi? - mi chiese, smentendomi, con un sorriso sornione stampato sulle labbra, come per evidenziare che avesse ragione lui. Ed effettivamente non mi ero accorta di star tremando fino a quel momento, quando me l'aveva fatto notare e si era avvicinato a me, circondandomi le spalle con un braccio, nel tentativo di riscaldarmi. -Tu e le tue stupide ovvietà del cavolo. - sbuffai, alzando gli occhi al cielo, ma non riuscii a ricacciare indietro il sorriso ebete che poco dopo mi adornò le labbra, finendo per premerlo sulla sua spalla, in modo da nasconderlo. -Dai, ti porto a letto, andiamo. - ridacchiò, alzandosi e porgendomi una mano per aiutarmi a farlo a mia volta. L'afferrai, sperando non lasciasse la mia all'ultimo secondo facendomi cadere, e mano nella mano, lentamente salimmo le scale, fino ad arrivare nella sua camera da letto. Non ci ero stata molte volte, solo una decina, ma potevo benissimo dire che era molto più ordinata della mia, questo poco ma sicuro. Infatti la trovai perfettamente pulita e con tutti i soprammobili al loro posto. Mi guardai un po' in torno, non appena varcai la soglia della stanza, e andai a sedermi. Ci ero stata altre volte, eppure ancora non riuscivo a familiarizzare con quella camera. Mi sembrava così poco di Sebastian, quasi non fosse sua. E a vedere lui lì dentro mi sembrava che stonasse ancora di più. Era come se di suo, a parte gli abiti, non ci fosse nient'altro. -Aspettami qui. Torno subito. - disse il ragazzo, quando mi misi seduta a letto, e uscì dalla stanza senza dire altro. Quasi risi chiedendomi dove sarei potuta andare. Quella casa era enorme, probabilmente mi sarei persa se solo fossi uscita in corridoio, non era verosimile che mi mettessi a girare per le stanze. Approfittai della sua assenza e tirai fuori il telefono dalla tasca, notando subito che fossero già le nove di sera, quasi le dieci. Non se ne parlava proprio di andarmene da casa di Sebastian. In primo luogo perché ero malata, in secondo luogo perché ancora pioveva e soprattutto perché volevo passare altro tempo con lui; mi era mancato in quei giorni. Così scrissi a mio padre.

"Come aeroplanini di carta"Where stories live. Discover now