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SEBASTIAN POV'

Non avevo chiuso occhio tutta la notte. Pensavo e ripensavo all'abbraccio che avevo dato a Chiara, la sera prima. Perché? Mi chiedevo. Perché l'avevo abbracciata? Perché le avevo chiesto scusa? Perché l'avevo seguita? Perché ci stavo così male nonostante non fossimo nemmeno più amici? Aveva creato uno spiraglio nel muro che mi ero costruito attorno, era entrata nella mia testa e in nemmeno 24 ore aveva stravolto le mie convinzioni. Mi aveva spinto a fare cose che non avrei mai fatto, se solo avessi avuto la mente lucida nel momento in cui mi aveva detto che ero la sua rovina. Se solo me l'avesse detto in un atro momento, e non quando ero nel panico per la paura che qualcuno mi scoprisse, avrei agito diversamente. Probabilmente non le sarei corso dietro e probabilmente non mi sarei nemmeno sentito troppo in colpa. Era assurdo farsi tante seghe mentali per uno stupido abbraccio, ma per me era un problema. Mi ero mostrato debole e patetico, mi ero mostrato vulnerabile. Ma soprattutto le avevo dato false speranze, avevo dimostrato che a lei ancora ci tenevo, e l'ultima cosa che volevo era illuderla e farla soffrire di più, non potendole dare quello che voleva. Un'amicizia. Ero talmente perso nei miei pensieri che il suono ridondante della sveglia, in un primo momento, mi arrivò ovattato. Man mano che passavano i minuti, però, era sempre più chiaro e nitido. Quando mi resi conto che stava suonando già da un pezzo voltai la testa verso di essa e vidi che erano già le 8 di mattina. Spalancai occhi e bocca contemporaneamente, allibito. Saltai in piedi e di tutta fretta iniziai a vagare per la stanza, non sapendo da dove iniziare. Raccattai da terra un paio di jeans a caso, una t-shirt che trovai appallottolata sulla scrivania, e infilai tutto, non preoccupandomi se fosse roba sporca. Infilai in fretta dei libri a caso nello zaino e dopo aver preso il telefono dal comodino, staccandolo dal carica batterie, corsi fuori di casa, senza far caso alla donna che stava pulendo il salotto. Mi fermai solo un secondo all'entrata, per prendere le chiavi dell'auto, e dopo qualche minuto ero davanti al portone della scuola, accaldato e in tremendo ritardo. Infatti, appena entrai in classe, la professoressa di latino mi incenerì con solo uno sguardo. –È in ritardo. Che sia l'ultima volta signor Stark. – Mi squadrò da capo a piedi, da sopra gli occhiali. Fra noi c'era sempre stato odio. Io odiavo la sua materia e lei odiava me. Senza nemmeno degnarla di risposta, con uno sguardo di sfida, le passai davanti, guadagnandomi un'occhiataccia omicida da parte sua. Il mio sguardo cadde su una folta chioma di capelli lisci e lunghi color biondo scuro, qualche banco più in giù del mio. Andai a sedermi accanto a Luca, che giocava col telefono. –Hei, che faccia. Che ti è successo, seratina? – mi chiese con sguardo malizioso, ammiccando. –Si, in bianco. – borbottai, mettendo la testa fra le mani e sospirando rumorosamente, tanto da farlo staccare dal suo giochetto insulso. –Dai, dimmi che succede. Lo sai che puoi dirmi tutto. – mi disse con voce comprensiva, ruotando sulla sedia verso di me. –Lo so, solo... non ne voglio parlare. Magari dopo. – cercai di sviare il discorso. Se glielo avessi raccontato mi avrebbe preso per pazzo. Cosa che avrei fatto anch'io in quella situazione. –Okay amico. – disse, alzando le mani in segno di resa, e con un ultimo sguardo tornò a giocare sul suo telefono. Le ore passarono in fretta, e fra l'una e l'altra vidi Chiara lanciarmi strane occhiate di tanto in tanto. Quando suonò la campanella che determinava la fine delle lezioni, come pensavo, andò nell'aula di musica. La seguii per... non sapevo perché, la seguii e basta. Mi affacciai alla porta della stanza e la trovai immobile, a pochi passi da me. Il suo viso annegava nelle lacrime e le mani erano appena adagiate sulle labbra, coprendole. Poi mi accorsi che le sue non erano lacrime di tristezza, i suoi occhi brillavano, quei suoi grandi occhi marroni sembrava splendessero di luce propria, e tolte le mani le comparve un sorriso gigantesco, uno dei più sinceri che le avessi mai visto fare. Presto mi accorsi che non era sola. C'era un ragazzo, vicino al pianoforte. Un tipo abbastanza alto, biondo e riccio, con degli occhi di un verde intenso, che splendevano di una strana luce. Lui le sorrise e in quel momento mi chiesi se non gli facesse male la faccia a sorridere in quel modo. Chiara cacciò un urlo, distraendomi dall'osservare la figura del ragazzo, che doveva avere più o meno l'età di Chiara, e gli corse in contro, saltandogli in braccio.

"Come aeroplanini di carta"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora