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-Chiara, svegliati. – La voce morbida e calda di Andrea mi indusse ad aprire lentamente gli occhi, percependo una fitta alla testa non appena incontrai la luce del sole che, pur essendo flebile, si imbatté sul mio viso. –Ei. – biascicai, stropicciandomi gli occhi svogliatamente. Non ricordavo bene nei dettagli la nottata. Solo Sebastian che scappava dal letto di mio fratello, io che scendevo, molto lentamente e ancora barcollando, le scale per rincorrerlo, ma una volta arrivata in salotto, constatando che l'avevo perso, mi ero messa a pulire tutto il casino e alla fine ero tornata a letto, addormentandomi sopra Andrea, e ancora non avevo capito come avesse fatto a togliermi di dosso senza svegliarmi. –Preparati, devi andare a scuola. Sono le 7:40, ti conviene sbrigarti se vuoi arrivare in orario – grugnii nella sua direzione e scansai le coperte che avevo addosso. Mi alzai seduta, tentando di tenere a bada la nausea, ma quando non ci riuscii dovetti correre al bagno, piegandomi sul water e vomitando ogni goccia di Alcool che avevo in corpo. Rimasi in bagno per i successivi dieci minuti, in cui vomitai anche l'anima, ma grazie a Dio, dopo la terza volta in cui i conati ebbero la meglio sulla mia volontà buttai fuori tutto e mi sentii decisamente molto meglio. Siccome non avevo il tempo di fare una doccia mi legai i capelli, che prontamente Andrea mi aveva tolto dal viso prima che ci vomitassi sopra, in una coda di cavallo, e sciacquai il viso, dopo aver lavato bene i denti per togliere il gusto amaro dalla bocca. Provai a coprire l'aria sfatta e da dopo sbronza con un po' di trucco, ma ogni mio tentativo fallì, cancellando solo in parte il pallore dal viso e le occhiaie ben marcate. Tornai in camera da letto, disgraziatamente ancora tormentata da un leggero, ma fastidioso mal di testa, e mi vestii, togliendo la t-shirt che avevo indossato la sera prima e sostituendola con un paio di Jeans e una felpa pesante, mentre Andrea era rimasto in bagno per darsi una ripulita e sciacquarsi il viso. Preparai lo zaino, infilandoci anche il telefono e uscii in corridoio, incrociando il ragazzo che in quel momento stava uscendo dal bagno. –Come farai ad andare a scuola? Non hai nemmeno i libri. – chiesi, mentre scendevamo le scale. –Non preoccuparti, mi faccio fare un permesso ed entro un'ora dopo. Così ho il tempo di fare una doccia. – scrollò le spalle, ammiccando. Arrivati in salotto, che dovevo ammettere di aver sistemato proprio per bene quella notte, trovammo Tom ed Eva a terra, caduti dal divano in cui li avevo lasciati la sera prima. Erano in una posizione assurda. Lei aveva un piede sulla faccia di Tom, più precisamente sotto il suo naso, e lui una mano sulla coscia della ragazza, che stava a cavalcioni sul suo torace. Provammo a trattenerci dal ridere, ma era letteralmente impossibile. –Shhh. – sussurrai ad Andrea, avvicinandomi ai due in punta di piedi. Mi chinai accanto a loro. –Sveglia dormiglioni! Il mattino ha l'oro in bocca! – urlai, battendo le mani. I due ragazzi sobbalzarono e si guardarono intorno spaesati e disorientati, cercando di capire cosa stesse succedendo. Mi allontanai rapidamente da loro, scoppiando a ridere insieme ad Andrea, e quando entrai nel loro campo visivo mi beccai un'occhiataccia da entrambi. –Chiara, se ti prendo ti uccido. – urlò Eva, cercando in vano di alzarsi del petto di Tom senza rompergli una costola per l'impeto delle sue azioni, grazie a cui guadagnai qualche minuto per scappare. –Corri! – esclamai, rivolta ad Andrea. Scappammo fuori casa correndo e ridendo, con il sottofondo delle urla della mia amica e dei tentativi di calmarla da parte di Tom.

***

-Signorine svegliatevi! – urlò la professoressa dalla cattedra, facendoci sussultare sulla sedia. Avevo dormito due ore in tutta la notte e alla prima ora di lezione c'era storia, era scontato che, come Eva, non sarei rimasta sveglia e mi sarei addormentata. Era già tanto che avessi resistito la prima mezz'ora di spiegazione, e che, per i primi dieci minuti, avessi anche preso appunti. –Vi sembra così noiosa la mia lezione? – ci chiese, visibilmente irritata. Io ed Eva ci guardammo. La prof guardava noi. Noi guardavamo lei. C'era tutto un giro di sguardi. –Ovviamente si prof. Andiamo, sia ragionevole, stiamo parlando di una popolazione morta migliaia di anni fa. A chi vuole che interessi? – sbottò Luca dalle ultime file, facendo ridacchiare tutta la classe e spezzando il silenzio imbarazzante che era venuto a crearsi pochi minuti prima. La donna divenne paonazza dalla rabbia e batté un pugno sulla cattedra. –Voi tre, portatemi i libretti e andatevene fuori. – urlò, spazientita. Io ed Eva ci alzammo dai nostri posti e a testa bassa appoggiamo i libretti sulla cattedra, contrariamente a Luca, che si alzò facendo strisciare la sedia sul pavimento, producendo un fracasso terribile, e con tutta la sfacciataggine di questo mondo, lanciò il libretto davanti alla professoressa, uscendo con altrettante calma dall'aula, ignorando i rimproveri della donna. Una volta usciti dalla classe il ragazzo andò in bagno, senza dire una parola a nessuno, ed Eva volle restare fuori dalla porta, mentre io mi rifugiai in biblioteca, magari avrei potuto schiacciare un pisolino, visto che avevo ancora una ventina di minuti. Come immaginavo la trovai deserta. Aprii la finestra e mi ci affacciai, appoggiando i gomiti sotto ad essa e appoggiando poi anche il viso sulle mani. Sospirai e iniziai a guardare le poche macchine che a quell'ora ancora passavano davanti alla scuola, fin quando la porta alle mie spalle che si apriva non mi distrasse, inducendomi a voltarmi verso essa. –Dobbiamo parlare. – sbottò Sebastian, chiudendosi la porta alle spalle. –Che ci fai qui? – chiesi, aggrottando le sopracciglia. –Ho chiesto di andare in bagno. – rispose, con una certa fretta, come se questo non avesse rilevanza. Ci furono vari secondi di silenzio, in cui il ragazzo aprì e richiuse la bocca più volte, tentando di parlare, me non trovando nulla da dire. –Perché te ne sei andato di corsa ieri notte? – chiesi a quel punto, inarcando un sopracciglio. Mi guardò per un secondo, restando a bocca aperta, incerto su cosa dire. –Sentivo che dovevo andarmene. – disse poi, incerto. –Sentivi che dovevi andartene? – ripetei, incredula. –Mi prendi per il culo? Sei scappato nel cuore della notte dal letto di mio fratello, senza un motivo, e ora mi dici che lo hai fatto perché "sentivi il bisogno di andartene"? Cos'ho, la peste? – chiesi, aggrottando le sopracciglia stupefatta. Magari sembrava assurdo, ma ci ero rimasta malissimo quando se n'era andato da un momento all'altro. Forse non ero abbastanza bella? Mi irritava pensare che forse aveva trovato qualche ragazza più disponibile o comunque un'altra ragazza. Ed era stupido, ma dio, non riuscivo ad evitare che mi desse fastidio. –Senti, mi dispiace. – disse, aprendo le braccia esasperato. –Non è vero. – sbuffai, incrociando le braccia al petto, guardandolo indispettita. –E tu come lo sai? – chiese, a quel punto anche lui abbastanza infastidito. –Se ti dispiacesse saresti tornato indietro e magari non avresti evitato il mio sguardo per tutta la mattina. – sbottai, puntandogli un dito sul petto. –Oh, quindi avresti preferito che fossi rimasto e che magari ti avessi scopata. Perché sì, se fossi rimasto lì ancora sarei finito per scoparti. Mi dispiace se ho preferito andarmene piuttosto che abusare di te mentre eri ubriaca, scusa tanto. – urlò, alzando le mani al cielo. Rimasi attonita, a fissare la vena sul suo collo gonfiarsi e pulsare. In quell'istante tutto il fastidio che, insensatamente, avevo provato, svanì nel nulla, facendomi sentire solo una stupida per averlo aggredito in quel modo quando le sue intenzioni, in realtà, erano più che nobili. Sospirai, ma a quanto pare, lui non aveva terminato di inveire su di me, e con quelle ultime parole fece riemergere il fastidio che poco prima avevo soffocato e lo alimentò. –Perché finiamo sempre per litigare? Perché devi sempre essere così dannatamente... acida e-e stronza? Non lo capisco. Non ti capisco! – urlò esasperato, portandosi le mani fra i capelli e tirandoli leggermente, mentre si avvicinava. –Se non mi capisci, se non facciamo altro che litigare e se per te sono acida e stronza, allora puoi benissimo starmi lontano. Okay? Nessun problema, Sebastian, fingi che io non esista, non ti sarà difficile visto che non hai fatto altro da tre anni ad oggi. – sbottai, il tono tagliente e carico di risentimento, mentre gli sputavo in faccia tutta la cattiveria che avevo in corpo. E non era giusto rinfacciargli quella storia, ma in quel momento pensare a cosa fosse giusto o meno era l'ultimo dei miei pensieri. Serrò la mascella e si guardò in giro, prima di riportare gli occhi su di me, furioso. –Sai cosa? Ti prenderò in parola. – disse a denti stretti, serrando i pugni. Restai a bocca aperta, difronte alle sue parole. A causa del nervosismo sentii gli occhi pizzicare e presto le lacrime iniziarono a solcarmi il viso, mentre un groppo mi bloccava la gola. Gli stampai un potente schiaffo in faccia e me ne andai via, furibonda. Non se le meritava le mie lacrime, neanche una. Non parlavo seriamente, lui avrebbe dovuto saperlo che era la rabbia a parlare al mio posto, invece aveva scelto la strada per lui più facile e aveva mandato al diavolo quel minimo di rapporto che eravamo riusciti a risaldare. Mi asciugai gli occhi e la campanella mi avvertì che era ora di tornare in classe. Mi avviai al mio banco, dove Eva mi aspettava. –Che succede? – chiese, probabilmente vedendomi piuttosto tesa e turbata. –Niente. – sussurrai, a testa bassa, per evitare che si accorgesse degli occhi rossi. Sbuffò e capii che non mi avesse creduta, ma visto che non disse nulla capii anche che per quella volta avrebbe lasciato stare. –Senti, stasera Tom mi ha chiesto di andare a casa sua, ha invitato qualche amico e vorrei che venissi anche tu. Ti va? – Considerando che mi ero appena ripresa da una sbronza, non sarebbe stata una buona idea andare a casa di Tom, dove sicuramente ci sarebbe stato altro alcool, ma se fossi riuscita a trattenermi dal bere, ed ero sicura che sarebbe bastato ricordare i dieci minuti passati sul water quella mattina, ne sarei uscita illesa e non avrei passato la serata da sola a guardare le repliche delle vecchie puntate di Grey's Anatomy. Sospirai e acconsentii, per poi tornare a guardare la professoressa, che da poco era entrata e aveva iniziato a spiegare.

"Come aeroplanini di carta"Where stories live. Discover now