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Come avevo previsto la professoressa mi trucidò non appena varcai la soglia della classe. –In ritardo come al solito signorina Rossi, tanto siamo qui solo per lei. – disse in tono duro e odiosamente sarcastico. –Scusi signora Rizzo, non succederà più. –dissi sforzandomi di essere cordiale, mentre dentro di me pensavo 'muori brutta vacca'. Ci si metteva anche lei ora, meraviglioso. Era proprio quello che mi serviva alle 8:30 del mattino. –Vada a sedersi che è meglio. – grugnì e iniziò il suo solito discorso su quanto quest'anno fosse più complicato del precedente e che ci saremmo dovuti impegnare di più, eccetera, eccetera, eccetera. Neanche a dirlo, nessuno la ascoltava, come al solito. La Rizzo era la professoressa di matematica, una vecchia strega con la barba, famosa per la sua stronzaggine. Non si era mai capito se fosse un uomo o una donna in realtà. Diciamo pure che sarebbe stata una delle domande che ci saremmo portati tutti fino alla tomba. Andai a sedermi. Fortunatamente Eva, la mia migliore amica, mi aveva tenuto il posto. –Alla buon'ora. Come si dice, il lupo perde il pelo ma non il vizio? Fammi indovinare, se io ora andassi a casa tua troverei una bellissima sveglia nuova distrutta davanti la porta no? Un'altra bella abitudine. – scherzò ridacchiando fra se e se. –Disse miss "io arrivo sempre in orario". – la scimmiottai, alzando in aria le mani, ancora più divertita. Era incredibile come mi conoscesse Eva, in pratica eravamo amiche fin dai tempi dall'asilo. Era una delle poche persone, oltre ad Adam (l'altro mio migliore amico), con cui ero rimasta in buoni rapporti dopo l'arrivo in questo inferno di scuola. –Pensavo mi lasciassi sola. – sussurrò con un sorriso stampato in faccia. Contagiata dal suo buon umore le dissi sorridendo –Lo sai che non lo farei mai. – Il brusio di sottofondo alle parole della prof, alimentato dalle chiacchiere del resto della classe, richiamò l'attenzione della vecchia talpa seduta alla cattedra su di me e mi urlò di uscire, diventando rossa a forza di urlare. Ma prendersi un calmante mai!? Mi chiesi fra me e me. Ovviamente cacciò solo me, forse perché mi odiava da sempre. Eva mi chiese scusa sotto voce, mentre mi alzavo senza opporre resistenza, sapendo che tanto non avrebbe portato a nulla. Appena prima di uscire dalla porta una voce da perfetta gallina mi fece fermare. L'avrei riconosciuta ovunque, era Christina. –Vedo che eccelli anche nell'arte di farti cacciare dall'aula Chiara, complimenti. – sputò velenosa, accompagnando il tutto con uno dei suoi sguardi taglienti e dalle risatine dei suoi amici fighetti. A quelle parole il sangue mi ribollì nelle vene e le mani iniziarono a prudere. Non era più come l'anno scorso, in quel caso avrei fatto finta di niente e sarei uscita, ma adesso basta. Mi ero stancata di farmi prendere in giro senza reagire, ero stanca di loro e delle stupide battutine che mi rivolgevano ogni tre per due. Era umiliante. Rivolsi uno sguardo ad Eva, che mi fece no con la testa, probabilmente prevedendo la stupidaggine che avrei fatto e di cui mi sarei pentita molto presto. Appena la professoressa si voltò, per rimproverare qualcuno che non riuscii a distinguere infondo alla classe, colsi l'attimo e ne approfittai. Alzai il dito medio in direzione di quella stronza e sotto voce, in modo che la prof non mi sentisse, le dissi –E tu sei sempre la migliore nell'arte dell'aprire le gambe e darsi ad ogni individuo che possieda un pene. Mi congratulo vivamente. – Spalancò la bocca, sorpresa, cercando di ribattere in qualche modo. Rassegnatasi al fatto di non avere altro da dire incrociò le braccia al petto e sbuffò. Uscii dalla classe trionfante e soddisfatta, con il sorriso stampato sulle labbra. Sapevo però che quel momento sarebbe durato ben poco e che ci sarebbero state delle conseguenze a quell'azione. Però devo dire che ne era valsa la pena, perché mi aveva lasciata con un senso di appagamento mai provato. Mi sedetti a terra e stetti li fino alla fine dell'ora, aspettando di poter tornare in classe. Appena suonò la campanella mi alzai da terra e la professoressa, passandomi davanti, mi incenerì con lo sguardo. Cominciamo bene... pensai.
***
Le ore sembravano non passare mai. Dopo quella sclerata della Rizzo avevamo avuto Italiano, Inglese, Fisica e infine il colpo di grazia, Biologia. Pesante per essere solo il primo giorno. Non ascoltai un tubo di quello che i professori dissero. Ero impegnata a scrivere su un foglio delle note a casaccio, tentando di comporre qualcosa che si potesse ascoltare. Al suono della campanella, che in quel momento mi sembrò uno delle melodie più belle al mondo, tirai un sospiro di sollievo, esultando mentalmente. Finalmente sarei andata a suonare, dopo tre mesi. Già dalla prima superiore avevo l'abitudine, quando avevo delle brutte giornate o avevo particolarmente voglia, di andare a sfogare la mia rabbia sul pianoforte, nella sala di musica della scuola. Visto che nessuno la usava da anni avevo pensato che non ci sarebbero stati problemi se l'avessi occupata io ogni tanto, e infatti fu così. Fu ancora più facile quando iniziarono i corsi pomeridiani extrascolastici, perché ebbi la possibilità di stare molto più tempo a suonare, invece di dovermene andare quando i bidelli finivano di pulire. La nostra scuola metteva a disposizione degli studenti delle classi inutilizzate, dandoci il permesso di allestirle come meglio volevamo. Il preside pensava che coinvolgere gli studenti in attività extrascolastiche favorisse i rapporti fra coetanei e li incoraggiasse a socializzare, il che non era del tutto sbagliato. Radunai le mie cose, ansiosa di sgranchirmi le dita, e mi diressi assieme ad Eva verso le aule dove si tenevano i corsi pomeridiani. Ci dividemmo appena arrivammo nel lungo corridoio, nel lato opposto della scuola. Lei andò nell'aula di arte e io nella stanza difronte, di cui mi ero letteralmente appropriata. Lanciai lo zaino in un angolo della stanza e mi fiondai sul pianoforte, lasciando che le mie dita scorressero fluide sui tasti, suonando una melodia che preparavo già da un paio di settimane. In quel momento non sentivo altro che quella, ero completamente trasportata dal suono dolce dello strumento. Quando ero più piccola prendevo lezioni di pianoforte. Tutto era nato da una piccola vacanza a casa dei miei zii, quando avevo circa otto anni. Loro avevano un bellissimo pianoforte a coda. Una sera, mentre tutti gli altri cenavano, io ero sgattaiolata in soggiorno, di soppiatto, e avevo iniziato a suonare note a caso, facendo rumori buffi. Nonostante facessi letteralmente schifo mi divertivo un sacco in quel momento, e dire che mi fossi già innamorata di quello strumento sarebbe stato un eufemismo. Mio zio, sentendomi, mi aveva proposto di seguire delle lezioni private da un suo amico. La settimana dopo ero a casa di questo suo amico che pian piano mi insegnò sempre più cose, portandomi a suonare canzoni anche abbastanza complicate. Insomma, me la cavavo, e ai saggi delle scuole elementari capitava spesso che mi facessero suonare davanti ai genitori. Suonare era uno dei tanti modi che avevo per rilassarmi, riuscivo per un po' a staccare dai problemi, a sfogare lo stress, e quando finivo ero più rilassata, mi sentivo come nuova. Appena finii sentii un battito di mani alle mie spalle, rompere il silenzio che da poco regnava nella stanza. Aggrottai le sopracciglia, confusa, irrigidendomi. Di solito non passavano molte persone di lì. Soprattutto a quell'ora, quando i corsi erano ormai già tutti iniziati e gli studenti rimasti a scuola erano nelle aule. Mi voltai, per capire chi fosse, e incrociando due occhi freddi come il ghiaccio sobbalzai. Mi sarei aspettata chiunque, tranne lui.

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Lidia00x
Inchiostroalpostodelsangue//

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