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SEBASTIAN POV'

-Rispondi sinceramente Sebastian, ti fa così schifo riuscire ad evitare di fare casini? – Luca aveva iniziato ad inveire su di me da più o meno un quarto d'ora, non astenendosi da commenti anche abbastanza duri mentre gli spiegavo come erano andate le cose fra me e Chiara il giorno prima. E sapevo che aveva ragione, le sue parole erano più che veritiere, ma era anche vero che gli avevo parlato di quella storia perché mi desse consigli e non per farmi prendere a parolacce. E poi, neanche a farlo apposta, non appena mi ripetei il suo nome in mente un'altra volta, la vidi apparire fra i numerosi studenti che, appostati davanti alla scuola, parlavano, ridevano e si fumavano una sigaretta. Si stringeva nel suo enorme maglione bianco latte, che spiccava sotto il cappotto sbottonato e la voluminosa sciarpa bordeaux, lasciata penzolare attorno al suo collo, mentre il vento le picchiava sul viso facendo sì che i suoi capelli biondo cenere fluttuassero leggeri nell'aria. Camminava verso il cancello della scuola con una cuffietta nell'orecchio e l'altra no, il viso rivolto verso il pavimento, le mani infilate nelle tasche del cappotto, così pensierosa. Mi sembrava quasi una visione perché nel momento stesso in cui la vidi avanzare fu come se tutte le persone attorno a lei mi risultassero sfocate. Non appena alzò lo sguardo sentii quella familiare stretta al petto che provavo quando vedevo i suoi occhi, una strana eccitazione ed euforia che mi costringeva ad avvicinarmi a lei il più possibile. Era come l'attrazione fra due calamite di poli opposti. Sentii la bocca seccarsi, la gola annodarsi, e il battito accelerare anche se impercettibilmente. Tuttavia il suo sguardo non finì nel mio, bensì alla sua destra, rivolto all'entrata de cortile dell'edificio, alla quale si stava dirigendo. Superai Luca, che ancora blaterava qualche offesa confusa, praticamente intraprendendo una conversazione con se stesso visto che avevo smesso già da molto di ascoltarlo, e mi diressi verso di lei sperando finalmente di riuscire a parlarle. Speranza che fu resa vana quando la vidi oltrepassare il portone senza degnarmi di uno sguardo, quasi non si fosse nemmeno accorta della mia presenza, con alle sue spalle Jo, che però si fermò proprio davanti al cancello. –Stalle alla larga. – mimò con le labbra, il suo viso deformato in un'espressione che doveva essere intimidatoria, ma che mi portò solo a rilasciare uno sbuffò di amarezza, mentre mi passavo una mano tra i capelli e tornavo abbattuto verso Luca. Da oltre la rete che costeggiava il cortile della scuola riuscii a vedere Jo raggiungere Chiara, che a sua volta era andata da Eva e Tom, e appoggiarle un braccio sulle spalle, gesto al quale lei rispose appoggiando la testa sulla spalla del ragazzo. Era una situazione assurda: quella che era la mia ragazza stava tra le braccia di un altro, e io non potevo che rimanere a guardarli, perché farle una piazzata sarebbe stato infinitamente ridicolo dopo tutto ciò che era successo il giorno precedente. E mi prudevano le mani dalla voglia che avevo di togliere le zampe del ragazzo dal corpo di Chiara, ma mi sentivo anche tremendamente frustrato ed impotente, sensazioni che mi crearono un fastidiosissimo groppo in gola che mi impediva di respirare bene. Fu la voce di Luca a farmi distogliere lo sguardo da quella scena, inducendomi a voltarmi verso di lui. –Abbi pazienza Sebastian. Prima o poi si sistemerà tutto. – sospirò, mettendomi una mano sulla spalla, intuendo probabilmente che continuare a prendermi a parole sarebbe stato inutile. Principalmente perché non l'avrei mai ascoltato, e in secondo luogo perché mi avrebbe solo fatto sentire peggio invece che aiutarmi, spingendomi a colpevolizzarmi più di quanto non stessi già facendo da parecchie ore. –E come potrà mai sistemarsi tutto se non mi lascia nemmeno spiegare cosa diavolo è successo? – sbottai esasperato, tornando per un secondo a puntare lo sguardo sul profilo della ragazza, ora non più appoggiata a Jo, ma seduta sulle gradinate che portavano all'ingresso, mentre fingeva di ascoltare la conversazione che stavano intraprendendo Tom, Eva e Jo, probabilmente mentre cercavano di conoscere meglio quest'ultimo, iscrittosi da poco alla nostra scuola. Non sapevo nemmeno per quale motivo si fosse iscritto visto che aveva letteralmente saltato tutta la prima parte del programma e quindi avrebbe dovuto recuperarlo più darsi da fare con quello del secondo quadrimestre. Studiare tanto non mi sembrava umanamente possibile, quindi mi chiesi come avrebbe fatto e soprattutto perché non avesse deciso di aspettare l'anno successivo per iscriversi. Tuttavia accantonai quel pensiero inutile quando vidi Chiara sospirare e voltarsi dalla parte opposta in cui si trovavano gli amici, infilando anche l'altra cuffietta all'orecchio. Se la conoscevo bene quanto pensavo si stava probabilmente crogiolando fra le frasi dei testi strappalacrime delle canzoni di Ed Sheeran o quelli, a mio parere deprimenti, di Taylor Swift, che probabilmente sapeva a memoria e che sapevo amasse profondamente. Lo immaginavo perché sbirciando sul suo telefono avevo scovato una playlist colma di canzoni tristi di nome "Quando hai voglia di tagliarti le vene" che in quel momento mi aveva anche strappato un sorriso. Aveva playlist praticamente per tutto. Per quando era allegra, per quando era arrabbiata, per quando aveva bisogno di canzoni tranquille per rilassarsi. Ne aveva addirittura una contenente canzoni che l'avrebbero confortata quando era malata. E a quel punto mi ritrovai a riflettere su quanto fosse stravagante nonostante a primo impatto sembrasse una ragazza del tutto normale. –Da quando in qua rinunci così in fretta? Sai perfettamente che devi solo dirle come stanno le cose davvero. Il resto verrà da sé. – disse, con tono incoraggiante, sfregandomi la mano sul braccio in un gesto di conforto. Eppure quella volta non ero affatto sicuro che sarebbe bastato parlare per risolvere tutto. Perché io sapevo esattamente cosa volevo, ed era stare con lei, ma non sapevo se quando fossi diventato padre sarebbe riuscita a sopportare lo stress che ciò comportava. Non sapevo se sarebbe riuscita a sopportare l'idea stessa che fossi diventato genitore, men che meno che nella mia vita ci sarebbe stata la costante presenza di Tamara. E la capivo in questo, sapevo che era difficile, ma la parte egoista di me voleva che lei mettesse da parte tutto e continuasse a stare con me, nonostante sapessi che avrebbe sofferto per questo. Sbuffai e mi passa una mano fra i capelli, distogliendo lo sguardo da Chiara per riportarlo su Luca. –Non so quanto effetto possano avere le parole, questa volta. Non cambierebbero le sensazioni che proverebbe nel rendersi conto che sono un genitore e che ho legami con un'altra donna, oltre a lei. Non posso chiederle di continuare a starmi accanto se non se la sente, ma allo stesso tempo vorrei fregarmene di come sta e implorarla di venirmi in contro su questo. Mi sento una persona orribile. – confessai, riportando gli occhi sulla ragazza ancora seduta sulle gradinate, sospirando. Chi l'avrebbe mi detto che una ragazza così scorbutica e acida sarebbe riuscita a farmi mettere i bisogni di qualcuno prima dei miei, o almeno a portarmi a rifletterci. Non era rimasto proprio nulla di quel Sebastian che ero una volta, e a parte per il fatto che ora fossi più sensibile, importandomi anche degli altri oltre che di me stesso, e che quindi avrei potuto soffrire più facilmente, non mi sembrava troppo male come cosa. Non mi dispiaceva essere cambiato, perché ero consapevole di essere diventato una persona migliore, anche se impercettibilmente. –E poi, anche se volessi parlarle, c'è sempre Jo che in un modo o in un altro me lo rende impossibile. – sbuffai, passandomi una mano sugli occhi, stremato da quella situazione di merda. Non conoscevo Jo, quindi non sapevo che intenzioni avesse con Chiara o in generale, ma non doveva permettersi di immischiarsi nei fatti nostri in quel modo. Nonostante potesse sapere molte più cose di quante ne sapesse una semplice persona che aveva ascoltato il racconto di un'altra, dettagli probabilmente fornitigli da Chiara, lui non centrava nulla in quella storia e doveva farsi da parte. –A lezione avrai sicuramente occasione di parlarle, lui non è di certo in classe con noi. – disse allora Luca, scrollando le spalle, come se quell'idea fosse banale e scontata. Sbarrai per un secondo gli occhi, cercando di assimilare le sue parole, e solo in quel momento realizzai quanto quella semplice idea fosse geniale. Mi tirai uno schiaffo sulla fronte, sbuffando esasperato. –Perché non ci ho pensato prima io? – chiesi, un po' a lui un po' a me stesso, alzando gli occhi al cielo. –Perché sei talmente abituato alle cose difficili che quelle semplici non le noti nemmeno, Sebastian. Non è sempre tutto complicato come sembra. – alzò le spalle, sospirando esasperato ed infilando le mani nelle tasche. Sospirai, non potendo che dargli ragione. La storia fra me e Chiara era sempre stata talmente tanto complicata e travagliata che non ero abituato a soluzioni semplici, non mi sfiorava nemmeno il pensiero che potessero essercene, tanto ero preso dal problema in sé. Fu il suono della campanella a distrarmi dai miei pensieri. Mi voltai verso l'ingresso e vidi Chiara alzarsi lentamente dalle gradinate, le cuffie ancora infilate nelle orecchie, la testa bassa, e tra la folla entrare nell'edificio, senza voltarsi indietro. Dopo pochi secondi entrammo anche io e Luca, dirigendoci in tutta fretta verso la nostra aula, e subito andai a sedermi al posto accanto a Chiara, fortunatamente trovandolo libero. Probabilmente aveva chiesto ad Eva di lasciarla sola. Gettai con noncuranza lo zaino a terra, vicino alla gamba del banco, e con un tonfo mi sedetti accanto a lei, inducendola, a causa del baccano, a spostare confusa lo sguardo su di me. Non appena entrai nel suo campo visivo e si accorse che ero io, aggrottò le sopracciglia e riabbassò lo sguardo, per nulla intenzionata a far incontrare i nostri occhi, facendo così scivolare i capelli sul viso, in modo che non la potessi vedere. –Dobbiamo parlare. – dissi a quel punto, sporgendomi verso di lei e avvicinando il viso al suo perché nessuno ci sentisse, e in quel momento la professoressa entrò in classe, non perdendo tempo prima di iniziare la lezione. La ragazza accanto a me scosse leggermente la testa, facendo ondeggiare la chioma bionda in un cenno di diniego, mentre una risata per nulla divertita le scivolava fuori dalle labbra. –Non voglio sentire cos'hai da dirmi. – buttò fuori, con un fil di voce, stringendo i pugni attorno al tessuto del maglioncino, in un gesto di chiara disperazione. Forse parlarle lì davanti a tutta la classe, rischiando una scenata se le cose fossero degenerate, non era stata una grande idea; ma ero arrivato al punto di doverla mettere alle strette per farmi ascoltare e se quello era l'unico modo per avere una conversazione non avevo alternative. –Ti prego, lascia che ti spieghi. – la implorai, in un sussurro, e in un gesto istintivo portai una mano a stringere il suo pugno, pensando in qualche modo di darle conforto. Tuttavia la sentii irrigidirsi al mio tocco inaspettato e tolse la mano bruscamente, gesto che non mi aspettavo affatto, alzandola poi in aria per attirare l'attenzione della donna seduta alla cattedra. –Professoressa, non mi sento bene, posso andare al bagno? – chiese alla donna, con voce sconnessa. La professoressa si voltò verso di lei, prendendosi qualche secondo per osservare il suo viso, e quando sembrò constatare che davvero la ragazza non si sentisse bene, annuì, acconsentendo. Si alzò dalla sedia senza permettermi di controbattere, il viso sempre coperto dalla folta e lunga massa di capelli, e uscì dall'aula, lasciandosi dietro una scia del suo profumo. Senza nemmeno rifletterci davvero su, mi alzai di scatto, con lo sguardo fisso sulla porta da cui era appena uscita la mia ragazza. –I-io... l'accompagno. – balbettai, rivolto alla donna, e senza aspettare un qualche consenso da parte sua mi alzai e uscii. Quasi corsi per raggiungere il bagno delle ragazze, in fondo al corridoio, entrando appena pochi secondi dopo Chiara che trovai appoggiata al muro. Si reggeva alla parete con una mano, mentre teneva l'altra premuta sugli occhi, tentando forse di trattenere le lacrime, che erano finite per colarle inesorabilmente sulle guance. Le labbra strette fra i denti, mentre tentava in tutti i modi di soffocare i singhiozzi, che vedevo vibrarle nel petto, facendolo tremare. Mi avvicinai a lei e le avvolsi le braccia intorno al corpo, infilando il viso nell'incavo del suo collo, dove riuscii a sentire il profumo che emanava la sua pelle morbida. La sentii per un attimo tentennare, quasi volesse ricambiare la mia stretta, ma rinsavì pochi secondi dopo, iniziando a dimenarsi fra le mie braccia. –Lasciami. Non ti voglio più vedere. Sono stanca di soffrire. – urlò, il viso premuto sul mio petto, la voce attutita dalla mia maglietta, mentre batteva con quanta più forza aveva i pugni sul mio torace. –Non ti voglio più vedere. – ripeté, e sentii una stretta al petto a quelle parole così spaventosamente sincere. Il cuore prese a battere più forte, il respiro si fece affannoso, mentre sentivo che se anche fisicamente era fra le mie braccia, si stava allontanando. Istintivamente allora, la strinsi più forte a me, afferrandomi dietro la sua schiena i polsi per evitare che potesse sciogliere quella stretta, mentre lei continuava a divincolarsi e scalpitare, tirandomi pugni, gomitate, schiaffi. –Ti odio. Ti-ti odio. Io ti odio... – balbettò, premendo ancora di più il viso sul mio petto, in un gesto che mi confuse non poco. Era come se un momento prima volesse stringersi a me, e quello dopo, quando sopraggiungeva la parte razionale di lei, provasse a tenermi il più lontano possibile, scalpitando per sfuggire al mio abbraccio. Un singhiozzo che pareva più un urlo le uscì dalla bocca, e lo sentii riecheggiare nel mio corpo, come se fosse vuoto, scuotendomi fin nel profondo. Strinse i pugni attorno al tessuto della mia maglietta, tirandola verso il basso, e per un secondo si concesse di spingere il suo corpo sul mio, facendo entrare in contatto i nostri toraci. Inutile dire che mi sembrò di respirare in quel momento per la prima volta, quando sentii le sue mani scorrere dal mio petto verso i miei fianchi, mentre mi teneva più stretto a sé, giusto per un secondo, prima che riprovasse a spingermi lontano da lei, premendo le dita nella mia carne. –Tu non mi ami. – continuò, piangendo sempre più forte, inzuppandomi la maglietta con le sue lacrime bollenti, mentre ci spingeva entrambi oltre il limite. Come poteva mettere in dubbio i sentimenti che provavo nei suoi confronti? Come poteva negare che l'amassi dopo tutto quello che avevamo passato? Se c'era una cosa di cui ero sicuro in tutta quella storia, l'unico punto fisso di cui non avrei mai dubitato, era proprio il fatto che l'amassi. Mi rimaneva solo la speranza che quelle parole fossero dettate dalla disperazione del momento, che non le pensasse davvero. –Basta. È finita Sebastian. – disse e il mio cuore crepò in mille pezzi. Definitivamente, a quelle sue ultime parole. Mi parve che ogni traccia di ossigeno fosse svanita dal mio corpo e non sentii nemmeno più il pavimento sotto ai piedi, mentre mi ripetevo quelle parole in mente numerose volte, per tentare di dargli un senso, quando in realtà un senso non l'avevano. Il mio cuore cessò di battere. Senza nemmeno rendermene conto sciolsi la stretta attorno al suo corpo, mentre rimanevo immobile, come ghiacciato, e la vedevo allontanarsi quanto più potesse da me. Incrociai i suoi occhi, rossi e gonfi, mentre sentivo un bruciore nel petto, all'altezza dello stomaco, che aveva iniziato a contrarsi in una morsa asfissiante e dolorosa, contorcersi, rivoltarsi. La cosa più dolorosa fu che non riuscii a staccare gli occhi da lei, mentre la vedevo oltrepassare la porta senza voltarsi indietro, e fu in quel momento che realizzai che davvero fosse finito tutto fra me e lei. Mi lasciai cadere sulle ginocchia, incredulo, mentre le mie spalle si abbassavano, con i palmi rivolti verso l'alto, gli occhi vuoti, sgranati, mentre fissavo senza realmente vedere un punto fisso sul muro, difronte a me. Fu allora che sentii la prima lacrima scivolarmi sul viso, e altre dopo di lei compiere lo stesso tragitto, terminando tutte il loro corso una volta arrivate mio mento, dove cadevano a gocce sui palmi bianchi delle mie mani. Strisciai fino alla porta, accasciandomici contro, e a quel punto lasciai che tutta la frustrazione e l'impotenza che provavo sfogassero in un pianto che non facevo da anni. E mi resi conto solo allora, con mio grande disappunto, di non aver proferito parola da quando ero entrato in bagno. Non avevo fatto nulla. Non avevo detto nulla.

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Lidia00x
Inchiostroalpostodelsangue//

"Come aeroplanini di carta"Where stories live. Discover now