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Il cuore pompava sangue sempre più velocemente, i polmoni stretti nella cassa toracica, il cervello annebbiato dal panico. Il ragazzo davanti a me ghignava, mentre con gli occhi mi studiava, facendoli scorrere per tutto il mio corpo, in un modo che in quel momento mi parve solo inquietante. Un'auto nera accostò accanto a noi, facendoci voltare tutti, e penso sia stata la prima volta che respirai dall'incontro con quei tipi. Il finestrino anteriore, dalla parte del passeggero, si abbassò, rivelandone due occhi ghiaccio, duri e freddi. –La ragazza è con me. – disse, il tono autoritario, deciso, mentre da capo a piedi squadrava il ragazzo che ancora non aveva lasciato la presa sui miei capelli. Alzò le mani in segno di resa, come per dire "è tutta tua", e se ne andarono ridendo, sciogliendo il cerchio che mi si era creato attorno. Rimasi un secondo immobile, chiudendo gli occhi e prendendo un respiro profondo. La cosa era veramente assurda. Contando che il mio migliore amico era in coma, ero andata in un locale con un ragazzo, il quale, dopo aver fatto imbestialire Sebastian, semplicemente per avermi aiutata a salire su uno sgabello troppo alto, se n'era dovuto andare, lasciandomi sola, nel bel mezzo della città, a notte inoltrata, causa per cui ero dovuta tornare a casa a piedi e avevo trovato un gruppo di ragazzi ubriachi che per poco non mi assalivano, essendo poi "salvata" dal ragazzo che pochi minuti prima non mi aveva nemmeno degnata di uno sguardo e se n'era andato furioso. Al solo pensiero di tutta quella storia fui invasa da un'odiosa sensazione di frustrazione mista a nervosismo e tristezza. Mi salirono le lacrime agli occhi e sbuffai, prima di salire in auto, chiudendo potentemente lo sportello dell'auto dietro di me, e allacciare la cintura. –Grazie. – mormorai, mentre la prima lacrima mi rigava il viso. Sebastian tacque per qualche secondo, mettendo in moto e immettendosi in strada. –Avrebbero potuto stuprarti o peggio. Che diavolo ti è saltato in testa? Non dovevi neanche pensare ad andare a casa da sola di notte. – Le sue parole uscirono dure e l'effetto che ottenne fu solo quello di farmi piangere più forte, accrescendo la mia frustrazione e il mio nervosismo, oltre al mal di testa che si era accumulato in quei pochi secondi. –I miei non rispondevano al telefono e non avevo nessuno che mi riaccompagnasse. Dimmi, dovevo rimanere a dormire al locale, magari per terra, o dovevo fare come te, trovare un ragazzo a caso e passare subito la notte con lui? – sbottai, con un diavolo per capello, mentre le lacrime avevano iniziato a scorrere più forti sul mio viso, sciogliendo il poco trucco che avevo messo. Il ragazzo non disse una parola, sembrò trattenersi, serrando le labbra e la mascella. Irrigidì i pugni attorno al volante, e, anche se impercettibilmente, la velocità del veicolo aumentò. Ero stanca di quella situazione, stanca di tutti i problemi che in quei due giorni mi si erano catapultati addosso. Una scenata da parte del ragazzo avrebbe solo accresciuto la mia frustrazione, peggiorando il mio umore e portandomi al punto di rottura, quando la mia pazienza sarebbe arrivata al limite e sarei scoppiata. Ogni volta che facevo una stronzata mi trattava come una bambina, come se a lui non capitasse mai di sbagliare. –Fammi scendere. – sbottai, improvvisamente ancora più tesa, battendo un pugno sul cruscotto. La frustrazione si era trasformata in rabbia, che, in quello stretto abitacolo, sarei finita per scaricare tutta su di lui. –Perché? Che ho fatto? – chiese, voltandosi velocemente verso di me, con aria confusa. La sua ignoranza e quell'aria innocente mi fecero solo incavolare maggiormente, e trattenermi diventò impossibile. –Ogni volta che faccio un errore mi tratti come una povera cretina. Me la cavo benissimo anche da sola, grazie. Quindi accosta e fammi scendere. – urlai, sganciando la cintura di sicurezza. –No. – sbottò, accelerando di velocità, così che anche volendo non potessi scendere dall'auto. –Non ti lascio qui, in mezzo al nulla, da sola. – scosse la testa incredulo, aggrottando le sopracciglia. –E se trovi altri ragazzi ubriachi, che fai senza di me? Ti ricordo che ti ho salvato il culo poco fa. – disse, non preoccupandosi minimamente di camuffare il fastidio e l'irritazione. –Non me ne frega un cazzo, Sebastian. Non ti reggo quando mi parli come se fossi una bambina e mi rinfacci i miei errori, tutti sbagliano, non ho bisogno che proprio tu, con tutte le cazzate che hai fatto, mi faccia la ramanzina. Non sei mio padre e non hai la coscienza pulita. Quindi sta zitto e fatti i cazzi tuoi. – urlai, agitando le mani in aria come una forsennata. L'occhio mi cadde sullo specchietto abbassato, da cui vidi la mia immagine riflessa. Le guance arrossate, rigate del mascara colato, gli occhi leggermente più gonfi di prima, iniettati di sangue per il pianto. Abbassai lo sguardo e respirai profondamente, provando a calmarmi e a placare la rabbia e la frustrazione. Il ragazzo accanto a me prese un respiro profondo e potei immaginarlo mentre si passava una mano sul viso. –Se tu non ti mettessi in continuazione nella merda io non ti tratterei come una bambina. – disse, il tono decisamente più calmo, anche se ne traspariva ancora una punta di nervosismo. Mi misi a guardare fuori dal finestrino, rifiutandomi di incrociare il suo sguardo, e mi pulii il viso sporco di trucco, mentre alcune lacrime, sfuggite al mio controllo, riprendevano a solcarmi le guance. Non ne potevo davvero più di quella situazione, volevo solo andare a casa e dormire, così che quella giornata finisse. Appoggiai la fronte sul vetro e chiusi gli occhi, mentre piano piano la frustrazione si dissolveva e con essa anche le mie lacrime, sparendo. Dopo svariati minuti di silenzio, nei quali ebbi modo di sbollire il nervosismo e la rabbia, sentii la mano del ragazzo posarsi sulla mia coscia, stringendola appena. A quel contatto un brivido mi risalì la spina dorsale. –Scusa. – mormorò, sospirando. Mi voltai verso di lui, confusa, e subito incrociai i suoi occhi, già fissi sul mio viso. Pochi secondi dopo distolse lo sguardo, tornando a guardare la strada, ma la sua mano restò ferma sulla mia coscia, dandomi una piacevole sensazione di conforto. –Scusa se sono così duro, è che ho paura per te. – continuò. A quella rivelazione persi un battito e mi si strinse il cuore. Ancora un po' a me ci tiene allora... Pensai. –Perché ti preoccupi tanto per me? – chiesi, per avere una conferma ai miei pensieri. A quella domanda serrò la mascella e lentamente fece scivolare via la mano dalla mia coscia, facendomi provare una sensazione sgradevole di freddo nel punto in cui, fino a poco prima, era appoggiato il suo palmo. –Non lo so. – disse, il volto rivolto alla strada, il tono monocorde. Non riuscii a mascherare la delusione che aveva comportato quella risposta, che decisamente, non era quella che aspettavo, così semplicemente mi voltai di nuovo verso il finestrino, mentre nell'auto ripiombava il silenzio. Ormai arrivati, accostò davanti casa mia, spegnendo il motore. –Ciao. – dissi, con lo sguardo basso, cercando di uscire dalla macchina. Aprii lo sportello, ma lui, slacciando velocemente la sua cintura, si sporse oltre di me per richiuderla, trovandosi, una volta tornato in posizione retta, fin troppo vicino al mio viso, sportosi oltre la console centrale. –Che vuoi ancora? – chiesi, confusa, aggrottando le sopracciglia. –Voglio che la smetti di metterti nei guai. – mi ammonì, il tono per niente severo. –E che la smetti di fare la stronza quando cerco di aiutarti. – aggiunse, fissando gli occhi nei miei, mentre il suo viso si avvicinava sempre di più. Il mio cuore prese a battere più rapidamente, mentre non riuscivo a staccare gli occhi dai suoi, così limpidi e magnetici. –E che la smetti di rifiutarmi e di farmi impazzire così. – il suo sguardo scivolò sulle mie labbra, così vicine alle sue da poter sentire l'aria che ne usciva ad ogni sua parola, e il mio non tardò ad imitarlo. Un secondo solo bastò per dar vita ad un bacio violento. La sua mano si posò sul retro del mio collo, spingendomi vicino al suo viso, e le sue labbra si allacciarono alle mie, modellandosi insieme. Le mie mani scattarono sulle sue braccia, mentre non tardavo a ricambiare il bacio con molta più passione di quanta potessi immaginare. L'atmosfera nell'abitacolo si fece sempre più calda. L'unico rumore udibile era lo schiocco dei baci che ci scambiavamo e il nostri respiri affannosi. Una strana sensazione di calore si irradiò dal mio petto, passando per lo stomaco e scendendo al mio basso ventre. Non staccando le labbra dalle sue, ipnotizzata dal sapore che aveva la sua bocca, scavalcai la console centrale e mi misi a cavalcioni sul suo bacino, incrociando le braccia dietro al suo collo. Le sue mani, da dietro la mia nuca scivolarono già, bloccandosi al centro della mia schiena, stringendo il tessuto della felpa. E in quel momento farmi toccare da lui, baciarlo, provare tutte le emozioni che facevano andare a mille il mio cuore, non mi sembrava più tanto sbagliato, e dimenticai ogni ragione per cui non l'avessi fatto prima. Infilai le mani fra i suoi capelli, scompigliandoli mentre li attorcigliavo alle dita, e li tirai, facendolo sospirare pesantemente sulle mie labbra. Non so come, ci ritrovammo dentro casa mia. Stranamente, visto che in casa non doveva esserci nessuno, le luci erano accese, ma non ci diedi peso, pensando che magari le avevo lasciate accese prima di uscire. Contemporaneamente, io allacciai le gambe attorno alla sua vita e lui mi sostenne, mettendomi le mani sul sedere. A quel gesto sospirai contro la sua bocca, tirando più forte i suoi capelli, mentre con più potenza premevo le labbra sulle sue, in un bacio bagnato e irruento. Appena schiusi le labbra la sua lingua non tardò a farsi spazio fra esse, incontrando la mia. Mi appoggiò con la schiena al muro in modo poco delicato, cosa che non mi infastidì, anzi, accrebbe la mia eccitazione, concentrata tutta in una dolorosa pressione sul mio basso ventre. Sfregò la sua intimità contro la mia, facendomi vibrare un potente gemito nel petto, e accrescendo solo la frustrazione che in quel momento provavo, causata dal fatto che la barriera di vestiti non mi permetteva di sentire tutto il suo corpo sul mio, e che con quei gesti stesse solo accrescendo la mia eccitazione invece di appagarla. Si staccò dalle mie labbra, facendomi emettere un mormorio contrariato, prima di scendere a baciarmi il collo, trovando subito da parte mia approvazione in quel gesto. Senza pensarci, troppo presi dalla situazione, salimmo le scale ed entrammo in camera mia, ringraziando il cielo molto vicina ad esse. Con la mano libera, mentre nell'altra teneva stretto il mio fianco, chiuse la porta, e io tastai il muro in cerca dell'interruttore, trovandolo poco dopo e accendendo la luce. Senza mai smettere di baciarmi mi fece indietreggiare nella stanza. Sentivo un vuoto nel petto, in cui il cuore stava battendo più velocemente del normale, i polmoni erano collassati già da un pezzo e il mio basso ventre bruciava di desiderio, mentre la pressione ad esso aumentava sempre di più. Il desiderio del suo corpo premuto sul mio era talmente forte da farmi girare la testa, volevo sentirlo nudo su di me come non avevo mai voluto altro in vita mia. Le sue labbra consumavano fameliche le mie, le nostre mani vagavano curiose sui nostri corpi. Avevamo perso ogni inibizione. In quel momento capii davvero tutte le ragazze che volevano andare a letto con lui. Capii come si sentivano. Perché nel modo in cui mi baciava, in cui mi toccava, mi faceva sentire desiderata, bella, degna d'attenzione, mi faceva sentire tutto quello di cui in quel momento aveva bisogno, ed era una sensazione bellissima. Ci spinse sul letto e si mise a cavalcioni su di me, staccando le labbra dalle mie solo per passare a baciarmi la mascella. Ne tracciò tutta la linea con le labbra arrossate e gonfie, arrivando al mento, per poi scendere sulla gola, dove tirò la pelle con le labbra e i denti, mordendomi. Il respiro si faceva sempre più pesante, mentre le sua mani vagavano spudorate dai miei fianchi alle mie cosce. Scese a baciarmi il petto e iniziò a sollevare la felpa, per spogliarmi. In quell'istante mi tornò in mente quello che avevo pensato poco prima. "Capii davvero tutte le ragazze che volevano andare a letto con lui. Capii come si sentivano. Perché nel modo in cui mi baciava, in cui mi toccava, mi faceva sentire desiderata, bella, degna d'attenzione, mi faceva sentire tutto quello di cui in quel momento aveva bisogno" E fu esattamente quando mi ripetei nella mente "quel momento" che capii quello che stavo per fare. Ero quello che desiderava in quel momento, ma non appena mi fossi concessa a lui, non appena fosse stato soddisfatto di avermi scopata, non avrebbe più avuto bisogno di me e mi avrebbe lasciata spezzandomi il cuore. Stavo davvero per donare la verginità ad una persona a cui importava solo il mio corpo. –Sebastian... no. Fermati. – dissi, immobilizzandogli le mani. Si alzò in ginocchio, ancora a cavalcioni su di me, e mi guardò malissimo. Vedevo la rabbia che gli bruciava negli occhi, liquidi a causa del piacere che aveva provato fino a quel momento. –Perché mi rifiuti? Tu vuoi farmi impazzire porca puttana. – sbotto, alzandosi in piedi. Si mise le mani fra i capelli e iniziò a vagare per la camera, esasperato. Mi misi seduta e lo guardai, mordendomi il labbro inferiore, indecisa se parlare o no. –Perché? – urlò, bloccandosi davanti a me, lo sguardo disperato, furioso. –Rispondi. Cos'ho di sbagliato? Una al posto tuo sarebbe già nuda sotto di me senza pensarci due volte. – continuò ad urlare, agitando le mani in aria come un forsennato. A quell'affermazione non mi trattenni più. –Io non sono una qualunque. Io ho dei sentimenti. Non voglio essere una a caso. – urlai, ferita per la poca considerazione che aveva di me. La mia espressione sembrò placarlo perché abbassò le braccia e mi guardò rammaricato. Abbassai gli occhi sulle mani, appoggiate sul mio ventre. –Io ho... paura. Sono... - la mia voce si affievolì diventando poco più che un sussurro. –Sei? – mi incitò. La voce mi morì in gola, mentre cercavo le parole giuste per dirgli che ero vergine. Quando, dopo svariati secondi, dalle mie labbra ancora non era uscito niente, sbuffò incazzato. –Te lo dico io cosa sei, sei una bambina. Fai l'acida quando ti fa comodo, poi mi salti addosso e quando è il momento di fare qualcosa di concreto ti tiri indietro. Allora sai cosa? Vaffanculo Chiara. – sbottò, il tono duro. Si voltò e senza aggiungere altro se ne andò. Le sue parole mi ferirono molto. Essere considerata una bambina solo perché non mi sentivo pronta ad aprirgli le gambe non era certo quello che mi aspettavo da lui. Pensavo che avrebbe capito. Fu per questo che lo seguii, per parlargli e dirgli una volta per tutte la verità. Scesi le scale correndo, per raggiungerlo, proprio mentre stava uscendo dalla porta di casa. Lo raggiusi in fretta e richiusi la porta, guadagnandomi un'occhiataccia quando ci trovammo faccia a faccia. Presi un respiro profondo e parlai. –Sebastian sono... vergine. – dissi, tenendo una mano fissa sulla porta, in modo che non potesse aprirla e andarsene. Si irrigidì e sbarrò gli occhi, realizzando il motivo per cui non fossi andata a letto con lui. –Non voglio fare sesso con te perché ho paura. – arrossii, abbassando lo sguardo. –Tu mi useresti, e la mia prima volta vorrei che fosse speciale, non solo perché una persona si è messa in testa che a tutti i costi vuole venire a letto con me. – dissi, con un po' di amarezza nella voce. Quando non disse nulla alzai lo sguardo su di lui e lo trovai a fissarmi, la bocca semichiusa, indeciso su cosa dire. Uno schiarimento di gola attirò la nostra attenzione. –Ci sono anche io qui se non ve ne foste accorti. – Sentire quella voce mi fece gelare il sangue nelle vene. Passato il primo momento di shock mi spuntò un sorriso ebete sulle labbra. Mi voltai e lo vidi sulla soglia del soggiorno, le braccia incrociate al petto, un sopracciglio sollevato mentre squadrava Sebastian con sguardo omicida. Gli corsi in contro e gli saltai in braccio, riempiendolo di baci sparsi per tutto il viso. –Fratellone. Mi sei mancato. – dissi, circondandogli la vita con le gambe e stringendogli le braccia al collo. Infilò il viso nell'incavo del mio collo e mi strinse a lui. –Anche tu sorellina. – sussurrò, facendomi scendere dalle sue braccia. Il suo sguardo tornò ad essere di rimprovero, mentre con un gesto del mento indicava Sebastian. –Ma questo? Non mi hai ancora spiegato chi è e cosa stavate facendo. – disse, con un sopracciglio sollevato. –Anche se già lo immagino. – borbottò poi, guardando altrove. Arrossii violentemente e mi morsi il labbro per soffocare una risatina. –Lui è Sebastian. – dissi. –Come mai sei qui? – chiesi, cambiando velocemente discorso, guardandolo confusa. Era strano che fosse tornato a casa. Si era arruolato nell'esercito appena compiuti i diciott'anni e da allora veniva a trovarci solo a Natale, Pasqua e per i vari compleanni. –Non era l'ambiente per me. – scrollò le spalle, sminuendo la questione. Aggrottai le sopracciglia confusa, trovando la cosa davvero inverosimile. Faceva parte dell'esercito da otto anni, non aveva senso decidere in quel momento che non facesse più per lui. C'era di sicuro dell'altro sotto e avrei scoperto cosa. –Vi ricordo che ci sono anche io qui. – sbottò Sebastian, interrompendoci, chiaramente seccato. Entrambi spostammo lo sguardo sul ragazzo, della presenza del quale mi ero quasi dimenticata. –È brutto quando si invertono i ruoli eh? – disse sarcastico Marco, lanciandogli un'occhiataccia. Sebastian sbuffò offeso. –Forse è ora che me ne vada. – constatò, rivolto a me. Era piuttosto buffo quando aveva quell'espressione in viso. Non si doveva mai essere sentito di troppo. –Ma non mi dire. – ironizzò mio fratello, ridacchiando in modo per nulla allegro. Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo, che subito venne ricambiato da mio fratello. –Ti accompagno. –

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Lidia00x
Inchiostroalpostodelsangue//


"Come aeroplanini di carta"Where stories live. Discover now