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Domenica. Non avevo nulla in programma per quella giornata. Eva era in campeggio con la famiglia e Adam a fare una delle sue ricorrenti scalate in montagna. Decisi che uscire a fare un giro in città non sarebbe stata una cattiva idea, prendere un po' d'aria mi avrebbe solo fatto bene. Dopo aver preso chiavi e telefono, e averli infilati in borsa, scesi le scale e mi diressi all'uscita. –Esco. – mi limitai ad urlare, sull'uscio della porta. Non aspettai risposta e me ne andai, chiudendomi la porta alle spalle. L'idea di prendermi un frullato e fare un giro per i negozi, magari fare anche un po' di shopping, mi allettava parecchio. Mi serviva una giornata solo per me. Andai in centro, passando per il grande parco che, circa un chilometro da casa mia, la collegava direttamente ad esso, e arrivata in un bar comprai un frullato. Camminavo, assorta a guardare le vetrine, e non mi accorsi di un ragazzo che, uscendo di casa, mi venne addosso e mi fece finire la bevanda su tutta la maglietta. Sentii il liquido scorrere dal mio petto fino alle cosce, appiccicando gli indumenti al mio corpo, e mi ritrassi subito, aprendo le braccia e spingendo indietro il bacino. –Merda! – sbottai, guardando la maglietta completamente zuppa e appiccicaticcia. –Scusa tanto, mi dispiace. – Alzai lo sguardo, ricordandomi solo in quel momento del ragazzo che per sbaglio mi era venuto addosso, e incontrai due occhi marrone nocciola, proprio come i miei. –Fa niente. – sospirai, strizzando appena la parte inferiore della maglietta. –Oh no, davvero, lascia che ti aiuti. Ho una sorella, passa da me, può prestarti dei vestiti. Abito proprio qui. – mi disse, indicando con una mano l'appartamento sopra alle nostre teste. Ci riflettei un attimo, da una parte andare a casa di uno sconosciuto, accettare dei vestiti e usufruire del suo bagno per lavarmi e cambiarmi non mi sembrava una buona idea, ma ripensandoci non potevo nemmeno attraversare tutta la città bagnata e con una macchia enorme sugli abiti, sarebbe stato imbarazzante. –Se è così accetto. Grazie mille. – accettai, optando per la prima opzione. –Non dirlo neanche per scherzo, è stata colpa mia, è il minimo che io possa fare. Su vieni. – Mi fece segno con la mano di seguirlo e fece strada. Entrammo da una piccola porticina stretta, che portava a una lunga scala, interrotta da alcune porte ogni due rampe di scale. Alla terza rampa ci fermammo davanti ad una porta in legno, scura e lucida. –Comunque io mi chiamo Andrea. – Parlò, infilando le chiavi nella toppa. –Io sono Chiara. – dissi, guardando la sua schiena, i quali muscoli si contraevano mentre armeggiava per aprire la porta. –Che bella casa. – dissi, una volta entrati nell'abitazione, guardandomi intorno curiosa. Era un appartamento piccolo, ma accogliente, dai colori caldi e l'atmosfera famigliare. –Grazie. – si voltò verso di me e mi sorrise. –Vieni, ti porto in camera di mia sorella, così potrai cambiarti. – mi disse, facendomi segno con la mano di seguirlo. Mi condusse attraverso un corridoio, che immaginai conducesse alle camere da letto e al bagno. I muri, dipinti di un giallo tenue, erano arricchiti da molte cornici colorate, nelle quali erano state inserite numerose foto, tutte rappresentanti varie persone che immaginai fossero i membri della famiglia del ragazzo. –Sicuro che non le dispiace se prendo i suoi vestiti? – chiesi, a disagio nel dover prendere abiti che non mi appartenevano. Si voltò verso di me, fermandosi davanti ad una porta. –Sta tranquilla, prendi quello che vuoi, mia sorella frequenta l'università a Roma, questi le servono solo per quando torna, poche volta all'anno. – mi rassicurò, entrando nella stanza, dentro la quale, poco dopo, entrai anche io. –Okay grazie. – Presi un paio di jeans e una maglietta a caso dall'armadio e li appoggiai sul braccio, tentando di tenerli più lontano possibile dai vestiti fradici che indossavo. –Dov'è il bagno? – chiesi, leggermente a disagio. Sembrò riscuotersi e sbarrò per un secondo gli occhi, sollevando le sopracciglia, come se in quel momento non mi stesse ascoltando. –In fondo al corridoio, a sinistra. – Sorrisi, arrossendo leggermente, e lo ringraziai. –Grazie. Faccio in fretta e tolgo il disturbo. – dissi, dirigendomi verso il bagno. Entrata nella stanza mi sciacquai e mi cambiai. Quando uscii dal bagno, con i vestiti sporchi in mano, attraversai il corridoio, buttando lo sguardo su foto che prima mi erano sfuggite, e mi orientai per la casa, andando in cucina, dove lo trovai intento a frugare in un cassetto. Probabilmente sentendomi arrivare alzò lo sguardo e mi sorrise. –Sul tavolo c'è un sacchetto di plastica, mettici gli abiti sporchi, così la borsa non si bagna. – disse, riabbassando lo sguardo sul cassetto. Sbuffando lo chiuse di colpo, producendo un tonfo sordo che si propagò per tutta la stanza, e aprì un cassettone, sotto al forno, iniziando a frugare anche lì. –Vuoi mangiare qualcosa? – chiese, chino verso il basso, da dove provenivano scricchiolii di sacchetti mossi. –No grazie, hai già fatto anche troppo. – dissi infilando i vestiti nel sacchetto e successivamente nella borsa. –Be, allora ti andrebbe di prendere un caffè con me? Il bar qua sotto ne fa uno fantastico. – chiese, fermandosi dal fare qualsiasi cosa stesse facendo poco prima. Sorrisi. –Molto volentieri. –

"Come aeroplanini di carta"Where stories live. Discover now