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–Vedo che Federico non è servito a molto. – ghignò velenosa la ragazza. Mi staccai dall'abbraccio con Sebastian e mi voltai verso di lei, che con gli occhi stretti in due fessure sembrava stesse provando ad incenerirmi. A quelle parole sentii il sangue gelarsi nelle vene e un brivido percorrermi la spina dorsale, mentre mettevo insieme tutti i pezzi, che uno dopo l'altro sembravano incastrarsi alla perfezione fra di loro. Federico guarda caso era spuntato dal nulla proprio il giorno in cui Christina era stata cacciata, in più erano molto amici, non ero sicura che fossero ancora in contatto, dopo tutti quegli anni, ma a quanto pare lo erano. Era raccapricciante pensare che Federico non avesse fatto altro che aspettare il momento giusto per vendicarsi, i video che avevo trovato nel suo computer ne erano la prova, tutto questo era iniziato tanto tempo prima, e Christina, con altrettanta voglia di vendicarsi di noi, chiamandolo aveva solo stabilito il momento giusto per dare il via ad una cosa che comunque prima o poi sarebbe successa. –Quindi sei stata tu a chiamarlo? – chiesi incredula, aggrottando le sopracciglia e sbarrando gli occhi. Vidi Sebastian accanto a me stringere i pugni, mentre a sua volta realizzava ciò che era successo. Abbassò il capo, le folte ciglia scure gli sfioravano le guance e i capelli gli caddero sulla fronte, coprendo gli occhi. Penso di non averlo mai visto così arrabbiato quanto lo era in quel momento. –Esattamente. – disse la ragazza, facendomi distogliere lo sguardo dal mio ragazzo per portarlo su di lei. –Brutto quando ti tolgono qualcosa a cui tieni eh? – chiese, piccata, incrociando le braccia al petto e guardandomi con un sopracciglio sollevato. Aggrottai le sopracciglia, cercando di decriptare la sua frecciatina, ma ancor prima di avere l'occasione di provarci mi trovai a dover immobilizzare Sebastian, per evitargli di fare del male alla ragazza. Al suo ultimo commento infatti avanzò pericolosamente verso di lei, facendola trasalire, e fui costretta a mettermi fra di loro per evitare che le mettesse le mani addosso. Appoggiai le mani sul petto del ragazzo, spingendolo indietro per fargli mantenere le distanze, ma la cosa non mi risultò affatto facile, essendo lui fuori di se dalla rabbia nonché anche almeno il doppio di me per quanto riguardava peso e altezza. La ragazza, che pochi secondi prima sembrava terrorizzata dall'improvvisa esplosione del ragazzo, riprese la sua posizione a braccia conserte e impassibile stette a guardarlo, come se tutto ciò non la toccasse minimamente. E forse fu proprio quello a farlo arrabbiare di più, il fatto che alla ragazza sembrasse non importare minimamente di ciò che avevano causato le sue azioni. –Sei solo una lurida stronza. Ti avevo avvertita, avresti dovuto starci alla larga! – le urlò contro, gesticolando furiosamente nella sua direzione, motivo per cui trattenerlo mi risultò sempre più difficile. I suoi occhi bruciavano di rabbia, aveva una strana scintilla nello sguardo, erano come iniettati di sangue e sembravano scurirsi sempre di più, diventando di un blu scuro quasi nero. Forse era la sua collera che li oscurava in quel modo, o forse era solo la luce che c'era in quella stanza, ma la sua espressione e il suo viso erano spaventosi in quel momento. Era come se qualcuno si fosse impossessato del suo corpo e lui non rispondesse più delle sue azioni, non l'avevo mai visto in quello stato. Strinsi i denti e lo spinsi più forte, riuscendo di poco a farlo indietreggiare. –Vattene Christina, o giuro che lo lascio prenderti a botte e poi ti do il resto io. – minacciai, ormai al limite, girandomi per un secondo nella sua direzione. Non riuscivo più a tenerlo fermo e se non se ne fosse andata di lì il prima possibile le avrebbe fatto del male, ma lei continuava a starsene ferma immobile, a provocarlo con gli occhi. Sebastian non era un ragazzo violento con le donne, ma in quel momento era accecato dalla rabbia e avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. Tutti attorno a noi ci guardavano senza muovere un muscolo, semplicemente se ne stavano fermi a fissarci, mentre io con lo sguardo pregavo chiunque mi capitasse sott'occhio di aiutarmi a tenerlo fermo. Finalmente un ragazzo si fece avanti e afferrò Sebastian per le spalle, tirandolo verso la porta di casa. Si dimenò, urlando di lasciarlo, ma grazie a dio, quando due altri ragazzi vennero in aiuto a quello che già stava tentando di farlo uscire, riuscirono a portarlo fuori a calmarsi. Rimasi a fissare l'ingresso per qualche secondo, mentre il resto delle persone iniziava a vociferare su quanto era accaduto, creando un brusio insopportabile che si mischiava al suono leggero della musica. Era già la seconda volta quella sera che riuscivamo ad interrompere la festa attirando l'attenzione su di noi e ogni volta era più imbarazzante della precedente. Appoggiai le mani alle ginocchia, piegata in avanti, mentre riprendevo fiato. Le braccia intorpidite formicolavano. Alzai poi lo sguardo sulla ragazza, che con quell'espressione impassibile ancora dipinta sul viso guadava fisso la porta, dondolandosi appena sulla punta dei piedi. Sembrava così tranquilla, sembrava quasi che non fosse successo nulla. Per un secondo aveva mostrato come la reazione del ragazzo l'avesse spaventata, il suo viso aveva tradito le sue sensazioni, ma subito dopo aveva ripreso il controllo ed era tornata seria. Impermeabile alle emozioni come un telo di nylon. –Sai, più ti guardo e più mi chiedo perché ti nascondi tanto. – dissi. La ragazza spostò gli occhi su di me e aggrottò le sopracciglia, probabilmente non capendo le mie parole. –Le persone non ci perdono tempo a cercare di capirti, a loro non interessa provare a conoscerti, quindi se fai vedere che fai schifo fuori, loro penseranno che fai schifo anche dentro, e non è detto che sia così. Io penso che in fondo volendo anche tu sia una bella persona, hai solo paura di stare male. Smettila di fingere che non ti interessi di niente, che ti piaccia o no un cuore lo hai anche tu Christina, ed è ora che te ne renda conto. Magari sarai davvero una stronza e magari veder soffrire le persone può anche darti piacere per qualche assurdo motivo, ma devi capire che anche se ti sei costruita un muro attorno e anche se non vuoi, prima o poi soffrirai anche tu. Tenendo la gente lontana perché non ti deluda ti isoli e basta, e facendo così non soffri lo stesso? L'unica differenza è che soffri da sola. – continuai. –Per una volta prova a far vedere a qualcuno che non fai così schifo. – conclusi, lasciandola impalata a fissarmi. Sospirai, sperando che le mie parole non fossero state vane, e me ne andai, lasciandola sola in mezzo alla sala. Presi i cappotti appesi all'entrata e uscii di casa, infilandomi goffamente il mio. Una volta fuori l'aria gelida di gennaio si imbatté prepotentemente sul mio corpo, facendomi correre un brivido lungo la schiena e pentire di non aver preso anche una sciarpa prima di uscire quella sera. Mi guardai intorno, stringendomi al petto il cappotto di Sebastian, e scesi quei pochi scalini che portavano al giardino. Il ragazzo se ne stava seduto sull'erba, a fissare la strada davanti a lui, in silenzio, illuminato solo dalla luce di un lampione poco distante. Mi avvicinai e mi sedetti accanto a lui, appoggiandogli prima il cappotto sulle spalle e poi una mano sulla schiena. –Come ti senti? – chiesi, accarezzandogli la schiena. Infilò le maniche e si strinse nel soprabito, colto da un brivido. –Mh. – disse soltanto, rilasciando un sospiro che creò un nuvoletta di fumo davanti alla sua bocca, mentre incrociava le braccia sulle ginocchia e abbassava gli occhi sull'erba. Sospirai a mia volta, appoggiai la fronte sulla sua spalla e chiusi gli occhi. Passarono minuti che parvero ore, mentre attorno a noi regnava il silenzio. –Mi dispiace per la scenata... non-non so che mi è preso. Quando ha detto quella frase sono esploso e non mi sono neanche preoccupato che fosse una donna, l'avrei picchiata a sangue... e-e se ci penso mi vengono i brividi Chiara, io non sono così, non picchio le donne. – sussurrò, con tono allarmato. Gli occhi lucidi e fissi sull'erba, sbarrati, le labbra semichiuse, l'espressione contorta in una smorfia di disgusto. Sentii crearsi un groppo in gola e mi si strinse il cuore alle sue parole, colme di biasimo. –Mi sento un mostro. – ammise, voltando il viso nella direzione opposta alla mia, come se si vergognasse a tal punto da non volere che lo vedessi in faccia. Alzai il viso e gli appoggiai una mano sulla spalla, per attirare la sua attenzione. –Guardami Sebastian. – dissi, era più una richiesta che un ordine, mentre lo scuotevo leggermente. Voltò il viso verso di me, ma lo tenne rivolto verso il basso, evitando accuratamente di incontrare il mio sguardo. Sbuffai e gli sollevai il mento con un dito, riuscendo finalmente a farmi guardare negli occhi. La sua espressione schifata mi fece male al cuore. –Non sei un mostro, chiunque avrebbe agito nello stesso modo. Lei ti ha provocato e tu hai reagito, è normale. – provai a rassicurarlo, accarezzandogli il mento con il polpastrello del pollice. –No, picchiare una ragazza non è normale, non tentare di giustificarmi. – mi contraddisse, guardandomi come se avessi detto una cosa assurda. Sospirai, sapendo perfettamente che non avesse a pieno capito cosa intendessi dire. –Non sto cercando di giustificarti Sebastian. Sono consapevole che picchiare una donna sia una cosa disumana, ma lo è solo se fatto volontariamente. Prima ho visto in che stato eri, ho visto quanto eri arrabbiato, e so per certo che in quelle condizioni non avresti distinto Christina da un cetriolo sott'aceto. Se non fossi stato fuori di te dalla rabbia sono certa che te la saresti presa con il muro o che saresti uscito di casa e avresti preso a calci la prima cosa che ti sarebbe capitata sotto piede. – affermai, appoggiandogli una mano sulla guancia. Feci scorrere la mano sul retro del suo collo e avvicinai il suo viso al mio, fissandolo dritto negli occhi. –Quindi credimi quando ti dico che non sei un mostro, e credimi quando ti dico che una cosa del genere non accadrà più. – dissi. Ammetto che la sua reazione di poco prima mi avesse spaventata parecchio e per un momento pensai che nel profondo lui fosse davvero così, manesco e pieno di rabbia, ma mi era bastato guardarlo negli occhi per capire che non era in lui, e forse a spaventarmi di più fu quella diversità nei suoi occhi, il fatto che per qualche secondo avessero perso ogni traccia di ciò che era lui. Mi guardò ancora leggermente titubate, ma dopo pochi secondi gli comparve un pallido sorriso sulle labbra, molto modesto, che accentuò pochissimo la fossetta sulla guancia sinistra. Una ciocca scura gli scivolò sulla fronte, separandosi dal resto del ciuffo, e gliela spostai delicatamente con le dita. –Ti credo. – sussurrò a pochi centimetri dal mio viso. –Bene. – dissi, sorridendo a mia volta, e mi sporsi premendogli un bacio proprio sulla fossetta. –Si è fatto tardi, è ora di andare. – dissi poi, alzandomi in pedi e porgendogli le mani per aiutarlo. Quando fece per aggrapparsi a me, già per metà in piedi, tolsi rapidamente le mani, facendolo cadere a terra di sedere. Emise un gemito di dolore e mi guardò trucemente, tenendo le mani più indietro rispetto al bacino e le braccia tese per reggersi sull'erba. Ridacchiai e mi sedetti a cavalcioni sulle sue gambe, circondandogli poi il collo con le braccia. –Sei adorabile quando metti il broncio. – sussurrai, arricciando il naso. A quel mio gesto gli comparve un sorriso sulle labbra e premette il polpastrello dell'indice sulla punta del mio naso, reggendoci con solo l'altro braccio. Non so per quale motivo, ma spesso si inteneriva quando arricciavo il naso e gli compariva uno strano sorriso sulle labbra, tanto bello che lo avrei fatto apposta solo per vederlo apparire. –Non sono adorabile tesoro, io sono sexy. – esordì, pavoneggiandosi, sfoderando uno sguardo che trasudava fascino. Alzai gli occhi al cielo e gli stampai un bacio veloce sulle labbra, alzandomi poi dalle sue gambe. –Andiamo casanova, accompagnami a casa. – dissi, riporgendogli le mani per aiutarlo ad alzarsi. Mi guardò sospettoso, facendo passare gli occhi dai miei alle mie mani, forse pensando che avrei ripetuto l'azione di poco prima. –Giuro che stavolta non ti lascio cadere. – dissi, alzando gli occhi al cielo esasperata, per la seconda volta nel giro di neanche due minuti. Ridacchiò e mi porse le mani, afferrando saldamente le mie, su cui fece presa per alzarsi e facendolo con slanciò mi fece finire fra le sue braccia, un gesto che non fui sicura fosse poi tanto casuale. Mi strinse a se e iniziò a camminare all'indietro, per uscire dal giardino della casa. –Sebastian lasciami, non respiro. – mi lamentai, con la voce attutita dal suo cappotto. Le sue braccia che mi circondavano la vita tenevano il mio corpo ben premuto sul suo e il viso appoggiato al centro del suo petto. Sentii il riverbero della sua risata vibrargli nella cassa toracica e poco dopo sciolse l'abbraccio, lasciandomi libera di respirare, ma mantenne le nostre mani intrecciate, mentre vagavamo per i marciapiedi bui. Casa mia non era poi tanto lontana ed era una fortuna considerando che Tom ed Eva se n'erano andati in macchina e quindi ci avevano lasciati a piedi. Camminammo in un confortevole silenzio per qualche minuto, prima che la squillante suoneria del telefono di Sebastian iniziasse a rimbombare per le vie deserte della città. Per essere capodanno le strade erano piuttosto vuote, probabilmente erano quasi tutti in centro. Estrasse il telefono dalla tasca del cappotto e ne osservò lo schermo illuminato, aggrottando le sopracciglia. Al che allungai l'occhio per sbirciare chi fosse il mittente della chiamata, più per curiosità che per gelosia, ma prima di riuscire a scoprirlo bloccò lo schermo, ignorando la chiamata, e lo rimise nella tasca. –Chi era? – Ciò che mi spinse a chiederglielo, pochi secondi dopo, fu l'aria turbata che da quando avevamo ripreso a camminare non l'abbandonava. Sospirò e si passò la mano libera fra i capelli. –Se lo sapessi te lo direi. – borbottò, con espressione corrucciata. Aggrottai le sopracciglia confusa. Lui si voltò verso di me e sospirò, alzando gli occhi al cielo. –Non so chi sia, è una ragazza, ma non la conosco. È già da qualche giorno che mi chiama e quando rispondo si limita a ridere o a dire qualcosa di confuso che non capisco. Ho provato a chiederle chi fosse, ma quando lo faccio riattacca. – disse. E in quel momento non pensai nemmeno che fosse una cosa importante, pensai semplicemente che fosse una ragazzina annoiata che si metteva a chiamare sconosciuti a caso, solo per passare il tempo. –Sta tranquillo, avrà chiamato un numero a caso che per pura coincidenza era il tuo. – tentai di rassicurarlo, con un mezzo sorriso sulle labbra, alzando le spalle non curante. –Forse hai ragione, forse sto solo ingigantendo la cosa. – disse, sciogliendo le nostre mani e circondandomi le spalle con un braccio. –Dopo quest'ultimo periodo è più che normale pensare male di tutto. Ne sono successe di tutti i colori. – sospirai, accoccolandomi meglio fra le sue braccia, per ripararmi dal freddo. Fra Christina e il dramma con Federico era normalissimo sospettare di qualsiasi cosa suscitasse un minimo dubbio. Al posto suo sarei stata preoccupata almeno quanto lui. –Già, non sono state settimane facili. Probabilmente tutti i problemi che abbiamo avuto mi hanno reso un po' più suscettibile del solito. – disse, stringendomi più vicina a lui, mentre gli allacciavo le braccia attorno alla vita. –Ma ora è tutto finito. D'ora in poi può solo andare meglio, giusto? – chiesi conferma ai miei pensieri. –Si bambolina. – confermò e mi lasciò un bacio fra i capelli, sospirando. Era un sollievo sapere che finalmente potevamo stare insieme senza che nessuno si mettesse fra di noi. Federico non aveva più nulla con cui ricattarci e Christina non si sarebbe più fatta vedere per un po' dopo quello che era successo quella sera. Finalmente potevamo abbassare gli scudi e goderci la ritrovata tranquillità, prendere un sospiro di sollievo e allontanare i brutti pensieri. –Perché avete deciso di venire qui? Sareste potuti restare a festeggiare il capodanno in montagna. – chiesi, spezzando il silenzio che si era venuto a creare in quei minuti. Alzai lo sguardo su di lui che a sua volta mi rivolse un'occhiata. –Come potevamo iniziare l'anno senza di te? – chiese, guardandomi dritta negli occhi, come se gli sembrasse la cosa più assurda al mondo. Un sorriso nacque spontaneo sulle mie labbra, mentre l'idea di essere tanto importante per lui bastava a riempirmi il cuore di gioia e gli occhi di luce. Mi strinse forte a lui e abbassò il viso, in modo da sfiorare con le labbra il mio orecchio. –Non avevo intenzione di passare un altro secondo senza di te bambolina. – sussurrò, facendomi correre un brivido lungo la schiena. –Mi sei mancata. –

"Come aeroplanini di carta"Where stories live. Discover now