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SEBASTIAN POV'

Mi sentivo morire. Il cervello implorava di fermarmi e prendere fiato, in modo da fargli arrivare ossigeno, ma avevo paura che se l'avessi fatto sarei riuscito a ragionare abbastanza lucidamente da trovare mille motivi validissimi per non andare da lei e implorarla di tornare con me. Ma i movimenti delle mie gambe erano dettati da tutt'altra convinzione, la convinzione che io volevo andare da lei, quindi anche fermandomi a ragionare non sarei riuscito ad impedirmelo. Gli ultimi metri sembravano infiniti, ogni passo verso casa non era mai abbastanza lungo, non mi sentivo mai abbastanza vicino, e tutto ciò era frustrante. Era come se ad ogni metro in meno che ci separava ne comparissero poco dopo altri cento, e a pensarci bene era sempre stato così nella nostra relazione. La pioggia mi picchiava con insistenza sul viso, le gocce ghiacciate si scagliavano sulla mia pelle quasi sfregiandola, provocandomi un persistente dolore. Sentivo così caldo, nonostante ci fossero meno di dieci gradi, che immaginai la pioggia evaporare al contatto con il mio corpo, nonostante fosse gelida. Quando finalmente arrivai davanti casa sua iniziai a bussare con una tale irruenza che avrei potuto buttare giù la porta, ma era l'ultimo dei miei pensieri. Fra il rumore dell'acqua e il rimbombo dei miei colpi sul legno sentivo le orecchie fischiare e i pensieri farsi sempre più confusi e offuscati. Due minuti dopo i colpi sulla porta si fecero più flebili e l'idea che probabilmente fosse in casa, ma non volesse vedermi, sempre più convincente. Dopo quelle settimane non mi sarei voluto vedere neanche io, al posto suo. –Chiara, se ci sei, ti prego, aprimi. – urlai, continuando a battere i pugni sulla porta. Appoggiai la testa sul legno scuro e sentii gli occhi pizzicare, mentre la frustrazione e la rabbia non facevano che crescere dentro di me. –Maledizione Chiara, aprimi. Ho bisogno di vederti. – continuai ad urlare, battendo i pugni sulla porta. Le lacrime iniziarono a scorrermi sul viso, confondendosi fra le gocce di pioggia, e un nodo mi si annodò in gola, mentre il petto bruciava. Quella violenta voglia di urlare e prendere a calci il muro, quella frustrazione così devastante, avevo bisogno di sfogarla con qualcosa, e piangere era l'unico modo che avevo per farlo, anche se non era molto virile. Feci scivolare i palmi aperti sul legno liscio e singhiozzai. –Mi manchi. – dissi, tirando su con il naso. –Mi manchi tanto. – Sentivo gli occhi in fiamme ed i singhiozzi che stavo cercando di trattenere, bloccati in fondo alla gola, spingere per uscirmi dalle labbra. Mi tornò in mente un particolare: la finestra della cucina era sempre aperta. Sbarrai lentamente gli occhi e schiusi le labbra al lampo di genio. Mi scostai dalla porta ed asciugai rapidamente gli occhi, tirando su col naso. Quasi di corsa andai verso la finestra e la trovai esattamente come speravo, aperta. Mi arrampicai con abbastanza facilità, nonostante avessi rischiato di cadere più volte, essendo completamente fradicio, facendo leva sul davanzale e spingendomi con i piedi, e senza preoccuparmi di star bagnando ovunque mi diressi velocemente in camera sua, sicuro che l'avrei trovata lì. Salii le scale freneticamente, una scarica di adrenalina appena rilasciata nel sangue, con una strana eccitazione a capo dei miei sentimenti, come se il dolore che sentivo da giorni si fosse dissolto nell'aria e avesse lasciato spazio a pura euforia. Spalancai la porta, facendola accidentalmente sbattere contro il muro con un tonfo, ed entrai nella stanza, convinto che l'avrei trovata sul suo letto. Ma il suo letto era vuoto. Sentii nuovamente gli occhi pizzicare e una prepotente stretta al petto portarmi via ogni traccia di ossigeno dal corpo, mentre mi facevo prendere dallo sconforto. Il sorriso che da poco era nato sul mio viso mi morì sulle labbra, come la speranza che avevo di trovarla lì. Feci qualche passo e mi accasciai ai piedi del letto, appoggiando la testa sulle lenzuola impregnate del suo profumo. Le strinsi in un pugno mentre un urlo di frustrazione mi scivolava fuori dalla bocca. Non era possibile che succedessero tutte a noi. Perché non ci lasciavano in pace? Quando le cose sembravano migliorare, succedeva sempre un nuovo casino, a scombussolare quel po' di ordine che con difficoltà si era ristabilito. Ma poi cosa pensavo? Che dicendole che sapevo non avesse baciato Jo l'avrei riconquistata? Era lei che non mi voleva più vedere, lei mi aveva lasciato, questo particolare non avrebbe cambiato niente fra di noi. Mi sentivo così stupido ad aver pensato anche solo per un secondo che sarebbe potuta tornare con me. Non ebbi nemmeno il tempo di chiedermi dove fosse che fui distratto dalla suoneria del suo telefono, che fece vibrare il materasso sotto il mio viso. Allungai un braccio per afferrarlo e mi sedetti sul letto, mentre cercavo di sbloccare quell'aggeggio. Ero certo che la sua password fosse la data del suo compleanno. Non aveva una buona memoria, e se avesse messo degli altri numeri sarebbe finita per dimenticarsi la password e bloccare il telefono. Digitai in fretta la combinazione e dopo pochi secondi vidi apparire sullo schermo una chat già aperta con Eva. Sotto "messaggi non letti" ne apparivano tre in maiuscolo.

"Come aeroplanini di carta"Where stories live. Discover now