CHIARA POV'

"Io sono Tamara.", "Questo è tuo figlio.". I polmoni bruciavano, sentivo il petto in fiamme, la testa mi girava talmente tanto che faticavo a reggermi in piedi e la vista era annebbiata dalle lacrime. Quando entrai in casa mi accasciai contro la porta, stremata, lasciandomi uscire dalle labbra il primo singhiozzo da quando Tamara aveva detto di essere incinta. Se non fossi stata certa che nessuno fosse in casa mi sarei trattenuta fino ad arrivare in camera mia, ma quel nodo in gola era diventato troppo stretto, la situazione era insostenibile. Tutto quello che pensavo ci fosse, la nostra storia, tutto quanto, si sgretolò davanti ai miei occhi a quelle misere parole, come se fosse cenere fra le dita, portata via dal vento. Penso di non aver mai pianto tanto in vita mia, penso anche di non essermi mai sentita tanto male. Sentivo un persistente dolore al petto. Era come se qualcuno scavasse nella mia carne con un cucchiaio, qualcuno che voleva portarmi via quel poco che era rimasto del mio cuore. Sebastian non si era neanche sprecato a venirmi dietro, o a provare a fermarmi, ed era quello che faceva più male. Mi aveva lasciata andare senza aprire bocca. Questo la diceva lunga sulla veridicità dei sentimenti che tanto ostentava nei miei confronti. Tutte balle. Non avevo neanche la forza di essere arrabbiata con lui, il dolore mi portava via ogni energia, e nonostante volessi odiarlo, non ci riuscivo. La figura di Jo fece quasi subito capolino dal soggiorno. Con le sopracciglia aggrottate mi venne in contro e si abbassò accanto a me. –Ma che ti è successo? – chiese preoccupato, circondandomi il viso con le mani, girandolo a destra e a sinistra per guardare se fossi ferita. Gli tolsi le mani dal mio viso, con il fiatone per il pianto, e feci un respiro profondo, mentre lui continuava a guardarmi in attesa di una risposta. Provai ad aprire bocca per parlare, ma dalle mie labbra uscì solo un gemito strozzato, un suono orribile che mi fece accapponare la pelle. Incapace di parlare, a quel punto, mi buttai letteralmente fra le sue braccia, cercando in lui quella sicurezza e quel supporto che in fondo ero consapevole di volere da Sebastian. –Lui diventerà padre. – singhiozzai urlando, stringendo il tessuto della sua felpa fra le mani, e mi strinsi più forte a lui, continuando a piangere sul suo petto. Lo sentii irrigidirsi a quel mio gesto, ma pochi secondi dopo ricambiò la mia stretta, dandomi quel conforto di cui avevo tanto bisogno in quel momento. Ed era strano, ma fra le sue braccia mi sentivo un po' meglio. Sentivo la tensione nei muscoli sciogliersi e il pianto affievolirsi, permettendomi di prendere fiato. Mi allontanò da sé premendo le mani sui miei fianchi e poi le appoggiò di nuovo sul mio viso, asciugandomi le lacrime con i pollici. Mi immersi nella nebbia dei suoi occhi, desiderando più di ogni altra cosa di perdermici dentro e non uscirne più. Fuori c'era troppo dolore per me. Le sue labbra presero la forma di un sorrisetto compassionevole e mi premette un bacio sulla guancia, che mi fece arrossare le guance ancora umide di lacrime. Si alzò in piedi e mi fece segno di seguirlo, cosa che feci in silenzio, lasciando a terra accanto alla porta il cappotto e la borsa. –Raccontami quello che è successo. – mi incitò, sedendosi accanto a me sul mio letto, una volta arrivati in camera mia. Annuii e mentre rivivevo i ricordi della serata che avevamo passato insieme le lacrime tornavano a farsi copiose e a scendere con intensità dai miei occhi, offuscandomi nuovamente la vista. Mi tornarono in mente le sue parole. "Promettimi che non mi lascerai anche tu" aveva detto "Non voglio restare solo ancora". Era possibile che mi stesse usando solo per non restare solo? No. Quella domanda era l'ennesima prova che stavo diventando pazza e che prima o poi sarei uscita di testa a causa sua. Il suono del campanello ci distrasse entrambi dalla discussione, portandoci a voltare quasi contemporaneamente la testa verso la porta. –Vado io. – disse il ragazzo, dopo pochi secondi, e si volto nuovamente verso di me. –E quando torno finiamo di parlare, va bene? – mi chiese e io annuii, anche se più che parlare avevo bisogno di riflettere. Uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle e io mi stesi, provando a trovare pace per almeno qualche secondo, rimasta sola con il rumore del mio dolore. Gli occhi bruciavano terribilmente, la gola era secca e la testa mi pulsava. Come se non bastasse la mia mente continuava a lavorare senza sosta, portandomi a fare pensieri fra i più disparati. Mi ronzavano in testa così tante domande, purtroppo nessuna delle quali aveva una risposta. Perché si presentava solo in quel momento? Quando l'aveva messa incinta? Avevamo già iniziato a rispolverare la nostra vecchia amicizia quando se l'era portata a letto? Perché non aveva tentato di fermarmi quando me n'ero andata? Ma c'era una domanda, fra quelle, che più mi spaventava. Una domanda a cui avevo timore di rispondere. "Cosa succederà ora?"

JO POV'

Scesi le scale e andai alla porta, anche se già sapevo chi mi sarei trovato davanti una volta aperta, ed era l'ultima persona che avrei volute vedere in quel momento. L'aria stravolta, l'ansia gli era dipinta in volto. –Dov'è? Devo parare con lei. – iniziò subito, facendo per spostarmi ed entrare in casa. Gli appoggiai una mano sul petto, sbarrandogli il passaggio, e lo trattenni fuori, intenzionato a non fargliela vedere. Chiara non era in condizioni di vederlo, aveva bisogno di riflettere sulla situazione e pensare da sola a cosa fare. La sua presenza avrebbe influenzato gravemente le sue decisioni, portandola a perdonarlo senza neanche pensarci un secondo, e io non avrei permesso che accadesse. Sì, mi piaceva e sì, provavo una strana gelosia nei suoi confronti, nonostante ancora non la conoscessi affatto. Se poi avrebbe deciso di perdonarlo okay, me ne sarei fatto una ragione, ma solo in caso fosse arrivata a questa conclusione di sua volontà, senza che le sue scelte fossero compromesse da nessuno. –Di chi stai parlando? – chiesi, fingendo di non saperlo, spingendolo lontano, oltre l'uscio di casa. Per quanto volessi odiarlo si leggeva chiaramente il rammarico per quello che era successo e nei suoi occhi riuscivo a vedere l'amore che provava nei confronti di Chiara. Mi tornarono in mente le parole che mi aveva detto poco prima. Lei aveva dubbi sui sentimenti di Sebastian perché non l'aveva fermata quando se ne stava andando via e in quel momento non potei che rendermi conto di quanto questi suoi dubbi fossero infondati. –Oh andiamo! Sai benissimo che sto parlando di Chiara. – sbottò, a denti stretti, fulminandomi con lo sguardo quando gli bloccai il passaggio per la seconda volta. Ero convinto che fosse innamorato di lei, ma ero fermo sulla mia idea che Chiara dovesse riflettere prima di vederlo ancora, quindi non ero intenzionato a lasciarlo passare e nemmeno a dirle che fosse passato. –Non è in casa. – dissi io, ricambiando il suo tono astioso e il suo sguardo d'odio. Sbuffò una risata per niente divertita e si girò indietro, vagando sul piccolo portico con un'espressione da pazzo in viso, sfregandosi il mento con le dita. L'occhio gli cadde a terra, accanto ai miei piedi, e seguendo la traiettoria del suo sguardo vidi la borsa e il cappotto di Chiara proprio accanto a me. Alzammo contemporaneamente lo sguardo l'uno nell'altro, lui fulminandomi, io sentendomi colto sul fatto. Speravo che si bevesse la scusa del "Non è in casa", ma i suoi oggetti lì smascheravano totalmente la mia bugia. Si fece avanti e provò a passare oltre di me nuovamente, ma io lo spinsi indietro con più forza, lanciandogli uno sguardo di avvertimento. –Fammi passare cazzo! È la mia ragazza, deve darmi la possibilità di spiegare! – iniziò ad urlare, con un sentimento nuovo nella voce. Non era rabbia, era disperazione. A quel punto iniziai ad aver paura che la ragazza ci sentisse, dal piano di sopra, quindi mi sbrigai a chiudere la conversazione e mandarlo via di lì. Se fosse scesa sarebbe stato un casino. Non solo avrebbero finito per litigare loro due, ma ero certo che Sebastian le avrebbe detto che avevo tentato in tutti i modi di cacciarlo e lei avrebbe pensato che non fosse una decisione che spettava a me, nonostante le mie intenzioni fossero buone. –Deve? – ridacchiai, senza accenno di divertimento nella voce. –A me sembra tutto molto chiaro, invece, non c'è proprio niente da spiegare. Te ne devi andare, amico, non ti permetterò di vederla, quindi mettiti l'animo in pace. – dissi e senza aggiungere una parola gli chiusi la porta in faccia. Risalii le scale con un diavolo per capello e prima di entrare nella stanza tentai di calmarmi, facendo un respiro profondo per riacquistare le mie qualità mentali. Era scontato che non le avrei mai detto che lui era passato. Entrai in camera sua, richiudendomi la porta alle spalle, e la trovai a rigirarsi nervosamente sul letto, con il telefono in mano. Probabilmente stava aspettando un suo messaggio o una chiamata. Appena mi sentì entrare si voltò verso di me e appoggiò il cellulare sul comodino, tirandosi su seduta. –Chi era? – mi chiese, appena mi andai a sedere accanto a lei, e lì su due piedi, senza farmi alcun problema, inventai la prima scusa che mi venne in mente. –Il vicino di casa, voleva dello zucchero. –

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Lidia00x
Inchiostroalpostodelsangue//

"Come aeroplanini di carta"Où les histoires vivent. Découvrez maintenant