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Poco prima di pranzo, Andrea, mi riaccompagnò a casa, dopo aver passato tutta la mattinata a parare. –Se mi dai il tuo numero di telefono magari ci possiamo mettere d'accordo per uscire un'altra volta. – propose, strofinandosi nervosamente la nuca. Gli presi il telefono di mano, sotto il suo sguardo confuso, e gli memorizzai il mio numero in rubrica, per poi mandarmi un messaggio così da avere il suo. Alzai gli occhi su di lui, porgendogli il cellulare, e gli sorrisi. –Mi sono divertita molto. Grazie. – Dopo un breve saluto lui si avviò per la sua strada e io entrai in casa. Non ebbi nemmeno il tempo di chiudere la porta che mia madre si precipitò nella mia direzione, uscendo di casa. –Tesoro, il pranzo è pronto. Io devo andare, ho il turno in ospedale che inizia fra un'ora, ci vediamo domani. – disse, chiudendosi poi la porta alle spalle. –Okay. Ciao mamma! – urlai, una volta chiusa. Mi avviai in cucina per consumare il pranzo quando la vibrazione del telefono nella borsa mi distasse. Lo estrassi da essa e il nome della madre di Adam si illuminò sullo schermo. Aggrottai le sopracciglia confusa. Accettai la chiamata, facendo scorrere il dito sul tasto verde, e portai il telefono all'orecchio. Subito sentii la donna scossa dai singhiozzi, mentre tentava di formulare una frase di senso compiuto, inutilmente. –Cos'è successo? – chiesi, in preda al panico, percependo una strana stretta al cuore. La madre prese un respiro profondo, mentre con la voce rauca mi spigava brevemente quello che era successo. –Adam stava scalando una parete, era... senza imbracatura, ma non era salito di molti metri, gli istruttori non se ne preoccupavano... - fu interrotta da un singhiozzo che vibrò nella sua gola. –Ha-ha messo male un piede ed è scivolato giù per un paio di metri... ha battuto la testa. – singhiozzò, sconsolata. –È in rianimazione. – concluse. Sentii il cuore salirmi in gola, mentre il mondo interi mi cadeva addosso. Un lancinante crampo al cuore mi fece perdere per un secondo l'equilibrio, mentre le gambe iniziavano a cedere, minacciando di non reggermi più. Mi scese una lacrima e molte altre dopo di lei, rigarono il mio viso, sciogliendo il trucco. –Arrivo subito. – La mia voce era poco più di un sussurro, mentre già avevo preso la borsa e avevo iniziato a dirigermi verso l'ospedale.

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Entrai correndo nell'edificio, guadagnandomi subito le occhiatacce delle infermiere per la mia irruenza. Non badai a loro, e seguendo le istruzioni sui cartelloni appesi al soffitto, presi l'ascensore e salii al terzo piano, in rianimazione. I suoi genitori erano in sala d'attesa, una piccola stanza popolata da numerose sedie, proprio davanti all'ascensore. –Chiara, cara. – La madre di Adam, che camminava avanti e indietro per la sala, appena sentì il trillo dell'ascensore che si apriva fece scattare lo sguardo su di me, mostrando perfettamente l'aria sfatta e la disperazione, leggibile sul volto stanco. Appena mi vide si morse il labbro, mentre numerose lacrime le bagnavano il volto, che con quell'aria triste e preoccupata sembrava molto più vecchio. Mi venne incontro e mi abbracciò forte, non seppi bene se volendo conforto, o provando a darlo a me, visto che ero nelle sue stesse condizioni, se non peggiori. –Come sta? – chiesi ansiosa, staccandomi dall'abbraccio. La donna tirò su col naso e mi sfregò le braccia in un gesto affettuoso, mentre incurvava le labbra in un debole sorriso. –Al momento è stabile, ha riportato un trauma cranico non troppo grave e si è fratturato una costola. – tirò nuovamente su col naso, staccandosi del tutto da me e incrociando le braccia al petto. –Non sanno quando si sveglierà... - il suo volto si scurì e abbassò lo sguardo, mentre il suo viso si contraeva in un'espressione di puro dolore. –Non sanno se si sveglierà. – Nel momento stesso in cui disse quella manciata di parole mi sentii morire, sprofondare in un buco nero, risucchiare nell'oblio, nel nulla. Non sentii più la terra sotto i piedi, l'unica cosa che ancora sentivo era il mio cuore in autocombustione, mentre bruciava nel petto, fino a diventare poco più che cenere. Scoppiai a piangere fra le braccia della madre, ignorando il fatto che alcuni anziani nella sala si fossero voltati verso di me, sentendo i miei singhiozzi. La donna mi strinse fra le sue braccia e mi portò a sedermi, tenendo una mano sulla mia spalla per confortarmi. Passarono minuti interi prima che riuscissi a calmarmi. Il risultato fu il viso completamente struccato e gli occhi rossi e gonfi, iniettati di sangue. Per non parlare della gola secca e la voce rauca. –Posso entrare? – chiesi con un filo di voce, alzando gli occhi su di lei. Sospirò, mordendosi il labbro. –Non potresti, non essendo un famigliare. Ma se te lo chiedono dì che sei sua sorella. Su vai. – Mi guardò, i grandi occhi verdi ancora lucidi, e mi sorrise dolcemente, come una madre farebbe ad un figlio. –Grazie. – dissi, ricambiando debolmente il suo sorriso. Mi alzai e a passo svelto attraversai la porta che separava la sala d'attesa dalle stanze della terapia intensiva. Percorsi il corridoio bianco, stringendomi nelle spalle per l'arietta fresca che aleggiava in esso. L'atmosfera cupa e sterile era enfatizzata dalla scarsa illuminazione, che rendeva tutto più inquietante e scuro. Sulle porte erano appese delle lavagnette su cui era scritto il nome dei pazienti nella stanza, e mi fu facile trovare quella di Adam, essendo una delle prime. Presi un respiro profondo prima di girare la maniglia ed aprire la porta, entrando nella stanza. Il ragazzo era pallido e aveva una spessa fasciatura in testa, da cui fuoriuscivano i suoi ricci voluminosi. Era così strano vederlo così, quando di solito era un esplosione di entusiasmo. Andai a sedermi vicino a lui, dove c'era già una sedia, e gli presi la mano, stringendola forte nella mia. –Andrà tutto bene. Tu ti sveglierai. Mi hai sentito? Devi svegliarti. – dissi, in tono minaccioso, mentre già avevo ripreso a piangere. Portai la sua mano alle labbra e la baciai, bagnandola di lacrime. La pelle madida di sudore, pallida, quasi gialla, era ancora più incupita dalla poca luce che penetrava dalla finestra sigillata, accanto a noi. Gli accarezzai il viso, inumidendomi la mano, mentre osservavo i vari fili collegati alle macchine, spuntare da ogni parte del suo corpo. Quell'immagine bastò a rompere il mio cuore in mille pezzi, facendomi provare un nodo allo stomaco, che si contrasse, e una pesante sensazione di nausea. Rimasi a guardarlo tutto il pomeriggio, fino a sera tardi. Volevo essere sicura che quando si fosse svegliato mi avrebbe trovata lì, con lui, ancora sveglia. Erano sette ore che non facevo altro che guardare il mio migliore amico e aspettare che si risvegliasse. Ero stanchissima, in parte anche per il pianto. Sapere che avrebbe potuto non svegliarsi più mi faceva male al cuore, non potevo perderlo. Non lui. I miei occhi iniziarono a chiudersi, le palpebre si fecero pesanti. Appoggiai la testa sulla sua mano, che ancora tenevo nella mia, e mi addormentai.

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Sentii la sua mano muoversi nella mia, calda e sudaticcia. Mi alzai di scatto e sgranai gli occhi, vedendolo sveglio. Vidi i suoi grandi occhi verdi brillare, lucidi e stanchi, mentre con aria confusa si guardava intorno. –Adam. – sussurrai incredula, con un filo di voce. In quell'istante, quando i suoi occhi stanchi si posarono sul mio viso, sentii tutta l'ansia sfumare via dal mio corpo, improvvisamente invaso dal sollievo, mentre l'adrenalina veniva rilasciata nel sangue. –Chiara. Cos'è successo? – chiese, la voce rauca. Senza aspettare un secondo lo abbracciai, con slancio, buttandomi sul suo petto, coperto dal camice. Delle piccole lacrime iniziarono a formarsi ai lati degli occhi, per poi scivolare giù sulle mie guance. –Sei caduto mentre ti arrampicavi. Hai un trauma cranico e una costola rotta, non sapevano se ti saresti svegliato. – dissi singhiozzando, con appena un filo di voce, troppo impegnata a stringerlo a me per parlare. Mi accarezzò i capelli in un gesto dolce, con un po' di difficoltà per le ridotte forze. – Ei, sta tranquilla, sono sveglio adesso e sto bene. Ti romperò le palle ancora per un bel po' di anni. – disse. Alzò appena il collo dal cuscino e con tutte le forze che gli restavano si sporse a premermi un bacio fra i capelli, ributtando poi pesantemente la testa sul cuscino. Mentre le lacrime continuavano incessanti a scorrermi sul volto, alzai la testa e gli sorrisi. –Non lasciarmi mai più. – Tirai su col naso, riprendendo fiato. –Mai. – disse, stringendomi la mano più forte. I suoi occhi fissi nei miei. –Vado dai tuoi genitori per dirgli che sei sveglio. Resta qui. – sciolsi le nostre mani e mi alzai. Lui aprì le braccia, con un buffo sorriso stanco, gli occhi socchiusi. –Non mi muoverò di qui. – disse, portando poi le braccia incrociate dietro la testa. Ridacchiai, asciugandomi le lacrime e annuì, scuotendo la testa. Appena fui fuori dalla porta, e successivamente arrivai in sala d'attesa, corsi dai suoi genitori. Li vidi affranti che si tenevano per mano, c'era anche suo padre, probabilmente arrivato mentre stavo dormendo. –Si è svegliato. Venite. – Sentendo le mie urla i loro occhi scattarono su di me. I loro visi si fecero in un primo momento confusi e aggrottarono le sopracciglia, ma subito dopo vi comparve un lungo e scintillante sorriso. Scattarono in piedi e iniziarono a correre, spalancando la porta che divideva la sala d'attesa dal corridoio delle camere, e io li imitai. Arrivammo in camera e si fiondarono su di lui, abbracciandolo. Lo bombardarono di domande e in quel momento capii che doveva stare in famiglia, era ora di togliere il disturbo. –È ora che io vada. Vengo a trovarti domani. – li interruppi, raccogliendo da terra la borsa, che avevo appoggiato accanto alla sedia, e mettendola in spalla. I loro occhi si posarono su di me, i miei fissi sul ragazzo, a cui si spense il sorriso. –Okay. – rispose, sospirando. –Vuoi un passaggio? – mi chiese suo padre, facendomi spostare lo sguardo su di lui. –No grazie, vado a piedi. – rifiutai, con un sorriso.

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Mi svegliai di soprassalto. La mano di Adam ancora fredda nella mia. Immobile. Più i secondi passavano e più io realizzavo che era stato solo un sogno, un bellissimo sogno. Il cuore leggero si appesantì in un secondo, dandomi una sensazione di oppressione al petto. Era solo un sogno. Mi ripetevo, guardando la sua pelle lucida, gli occhi chiusi. Ma era così reale...

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Lidia00x
Inchiostroalpostodelsangue//

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