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{Storia in fase di correzione}

Un rumore assordante mi destò dal mio beato sonno. Quasi fosse un gesto abituale, grugnendo infastidita, presi la sveglia e la lanciai fuori dalla finestra, scaraventandola in mezzo alla strada. Chi mi disturbava mentre dormivo si poteva considerare già morto. Infatti a dimostrarlo c'erano i pezzi delle sveglie che lanciavo dalla finestra ormai da quando avevo iniziato le superiori. Mia madre, alzandosi molto prima di me, aveva preso l'abitudine di aprire la finestra poco prima che suonasse la sveglia, evitando così di dover spendere soldi per riparare nuovamente la finestra. Aveva tentato più volte di svegliarmi lei stessa, ma quando un giorno, ancora assonnata e incosciente, scambiai la sua voce per il fastidioso rumore della sveglia e gliela scagliai contro decise di rinunciarvi e prese semplicemente l'abitudine di aprire la finestra. D'un tratto realizzai che fosse il primo giorno di scuola. Grugnii nuovamente e mi stiracchiai, sbadigliando. Dopo tre bellissimi mesi di meritato riposo, passati fra letto e divano, uscite con gli amici e serate in giro per la città, si ritornava a scuola, e al solo pensiero il mio entusiasmo andò a quel paese insieme alla felicità provata durante le vacanze. "Meritato riposo" non era affatto dir troppo dopo aver sopportato otto mesi e mezzo di verifiche a sorpresa, compiti per casa e gli insopportabili professori, i quali non facevano altro che rinfacciarci quanto noi alunni fossimo dei ritardati incapaci, buoni a nulla e pigri. Il che non era del tutto errato, dopotutto. Per non parlare poi delle prese per il culo di quegli stronzi dei ragazzi più popolari a cui le troiette stavano appiccicate come le mosche al culo di una vacca. Dio, ci avevano torturati abbastanza e tre mesi erano decisamente troppo pochi per riprenderci da tutto questo. La nostra scuola era un po' un sistema a caste, come in India, se facevi parte di una casta era raro che di lì ti muovessi. Ce n'erano principalmente due: gli sfigati e i popolari. In pratica o eri in o eri out. Non c'erano vie di mezzo, solo alcuni casi isolati, ma era davvero molto raro. Poi dipendeva anche da quanto stavi antipatico ai ragazzi più popolari. Se proprio eri così sfigato da far paura e venivi preso di mira fin da subito, tanto valeva cambiare scuola. Ti avrebbero reso la permanenza un inferno. Questa era la mia scuola, la nostra scuola. L'inferno. Il nostro incubo peggiore. Ancora assonnata e con una camminata da zombie mi diressi all'armadio. Non badai molto al guardaroba, che tanto non avrebbe migliorato la mia posizione sociale, e iniziai a frugarci dentro. Infilai una vecchia felpa di mio padre, più per comodità che per altro, un paio di jeans chiari e le mie All Star color acqua marina. Dopo essermi vestita strisciai fuori dalla mia stanza, fino al bagno, e mi piazzai davanti allo specchio. Trasalii vedendo la mia immagina riflessa in esso, ero un mostro. Sciacquai il viso con dell'acqua gelida e lavai i denti al volo prima di truccarmi. Misi un velo di fondotinta, disegnai una lunga e spessa linea di eye-liner e una quantità industriale di mascara, come sempre. Erano talmente tanti anni che mi truccavo da non essere più abituata a vedermi senza, mi sentivo nuda se non mettevo almeno un velo di fondotinta. Il che era malsano, ma poco importava. Tornai in camera, raccolsi lo zaino e il telefono e scesi al piano di sotto. Come immaginavo in casa non c'era già più nessuno. Mia madre aveva il turno di mattina, all'ospedale in cui lavorava, mentre mio padre usciva sempre intorno alle sette per dirigersi nel suo ufficio, in centro città. Non feci colazione perché, come al solito, ero in ritardo, altro mio piccolo vizio. Presi semplicemente le chiavi di casa e corsi a scuola, che disgraziatamente non era molto lontana. Solo un chilometro, circa. Era il mio terzo anno e non ero per nulla entusiasta di tornare in quella prigione camuffata da istituto formativo. Forse era meglio Alcatraz! Arrivai con dieci minuti di ritardo e fuori dal portone ormai non c'era un cane. Esattamente come immaginavo. D'un tratto vidi un ragazzo. Era solo e stava fumando una sigaretta, appoggiato al muretto, accanto al cancello d'entrata. Capelli neri, tirati indietro in un ciuffo alto, occhi dello stesso colore del ghiaccio, intensi e profondi, e per quel che si poteva vedere dalla t-shirt bianca, che gli fasciava l'addome, aveva anche un bel fisico tonico. Appena mi avvicinai di più lo riconobbi. Sebastian. In quell'istante alzò gli occhi e vedendomi sul suo viso si dipinse un sorriso sghembo, il quale non prometteva nulla di buono. Un secondo dopo mi trovai faccia a terra. Che gran figlio di puttan... buona donna. Calma Chiara, sta calma te lo dovevi aspettare. Mi ricordò la mia coscienza. Da piccoli eravamo così uniti, eravamo sempre stati migliori amici. Poi tutto era cambiato con il mio arrivo in questa scuola. Essendo una classe più avanti a me era arrivato un anno prima. Era diventato fin da subito uno dei più popolari della scuola, grazie al suo carattere di natura molto aperto e al fascino innato, ciò lo aveva portato a crearsi una nuova compagnia d'amici e a cambiare drasticamente. Il che non gli giovò affatto, visto che fu bocciato, finendo in classe con me l'anno successivo. Durante quell'anno di lontananza avevo completamente smesso di sentirlo. Non mi cercava più, non uscivamo più insieme, se lo incrociavo per strada mi snobbava e faceva finta di non vedermi, soprattutto se era con altri ragazzi del suo gruppo. Ma si vedeva lontano un miglio che non era in buone condizioni. Aveva iniziato a fumare, quando lo incrociavo per strada aveva sempre fra le mani una sigaretta, e a volte non sono quella. Non che i suoi amici fossero migliori. Non mi stupiva che avesse preso brutti vizi frequentando quei mezzi drogati. Quando fu anche il mio turno di iniziare le scuole superiori fui inquadrata fin da subito come una sfigatella come tante e da quel momento era iniziata la vera guerra. La sua totale indifferenza dell'anno prima era stata rimpiazzata dalla troppa attenzione nei miei confronti, cosa che mi sarebbe anche andata bene se solo non fosse stata in modo così negativo. Non perdeva l'occasione di prendersi gioco di me con i suoi amici, di ridere alle mie spalle. Era nato un profondo odio nei miei confronti, di cui ancora non conoscevo il motivo. Forse solo per guadagnarsi il rispetto degli altri del gruppo, o solo per puro divertimento, fatto sta che aveva voltato le spalle alla nostra amicizia, come se si vergognasse di considerarmi una sua amica. Ma d'altro canto non ero all'altezza. Mi voltai di scatto e fuori di me dalla rabbia gli urlai -Brutto stronzo, ma che cazzo hai nel cervello, segatura!? - non feci in tempo a riprendere fiato che lui, con espressione soddisfatta, disse -Che caratterino. Che ti è successo, si è risvegliata la tigre che è in te? Di solito è più facile sottometterti. - Scandì bene le ultime parole e scoppiò in una fragorosa risata. Indignata feci per andarmene, ma la sua voce mi fermò. -Ei tigre, ti ho forse lasciato senza parole? Quanto mi dispiace, proprio ora che avevi tirato fuori le palle. - Che gli avessi risposto o no la soddisfazione l'avrebbe avuta sempre e solo lui, quindi non ne valeva neppure la pena, ma tentai comunque la sorte. E sembrò andarmi anche molto bene visto che lo lasciai senza parole dicendo -Da quel che mi dicono tu le palle le tiri fuori, ma usarle non sei capace. Mi deludi. - Accompagnai il tutto con uno sguardo derisorio. Soddisfatta della sua reazione girai i tacchi e me ne andai. Arrivata alla porta mi voltai e lo vidi ancora lì, fermo immobile, con un mix di espressioni che andavano da quella sorpresa a quella incazzata. Proprio mentre mi gustavo il mio capolavoro arrivò una ragazza molto bella, i capelli castani le incorniciavano il viso candido, rifinito appena da un trucco non troppo marcato, facendolo rinsavire. Le sorrise, ammiccando, e la ragazza ricambiò avvicinandosi a lui in un modo che non lasciava dubbi sulle sue intenzioni. Pochi secondi più tardi stavano pomiciando davanti alle porte della scuola, emettendo suoni inequivocabili. La ragazza si staccò e con un ultimo sorriso gli girò le spalle, andandosene soddisfatta. Sebastian avanzò verso l'entrata con espressione impassibile, come se questo non gli facesse nessun effetto, come se questo fosse una sorta di abitudine. E in verità lo era. Vidi che si stava avvicinando così ripresi a camminare. Accelerai il passo per paura. Non sapevo esattamente di cosa. Sicuramente non dalla sgridata che mi sarei presa dall'insegnante a causa del mio ritardo.

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Ringrazio chi avrà il coraggio di andare avanti dopo questo primo capitolo a dir poco penoso e anche abbastanza noioso.

Lidia00x
Inchiostroalpostodelsangue//





"Come aeroplanini di carta"Where stories live. Discover now