Dangerous [hs]

By __soph

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«Due fumi tossici insieme creano l'ossigeno. Due veleni insieme creano l'antidoto.» Tratto dalla storia: «Non... More

Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
a voi
nuova storia su Harry!

Capitolo 45

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By __soph

Lily's pov

L'arido sole sparisce presto oltre l'orizzonte, macchiando il cielo immenso di sfumature rosse e aranciate. Si mischiano così diversi colori e infiniti squarci argentei: la luna già lotta per sorgere e portarsi via l'azzurro, l'arancione e il giallo.
Così come la mia mente lotta per avere la supremazia rispetto alle emozioni che già hanno deciso di guidarmi.
Non c'è sforzo o tentativo alcuno di lottare contro di esse, ma è il terrore di un rifiuto e di un confronto a farmi accelerare i battiti.

Mi allontano dalla finestra di camera non appena le stelle prendono vita sopra la mia testa distratta, una più luminosa e argentea dell'altra.
L'orologio appeso alla parete segna le dieci passate. Mia madre stasera non sarà di ritorno a casa, motivo per il quale l'idea di lasciare questo luogo così denso di ricordi terrificanti diventa ogni secondo più allettante.

Afferro la felpa nera posata sul letto. Mentre la indosso mi sembra che il tempo scorra a rallentatore, che i secondi scanditi dalle lancette dell'orologio siano illusori.
Che, calando il cappuccio sopra la mia testa, tutto mi stia già remando contro. Prima tra tutte la paura immensa di apparire sciocca o disperata.

"Andrà bene." Mi ripeto in un sussurro, piegandomi per afferrare il telefono e le chiavi di casa abbandonati sul comodino. Solo allora mi accorgo che le mie dita hanno preso a tremare. Mi sorprendo ad aver terrore di Harry. Timorosa che abbia eretto tra di noi un muro invalicabile.
Sono passate quasi due settimane, durante le quali lui è completamente scomparso - che mi detesti per ciò che gli ho detto (la verità)? Che il suo ego ingombrante lo abbia allontanato da me, che, sbagliando, ho solo tentato di aprirgli gli occhi?

"Tutto andrà bene." Ripeto. "Lo farò ragionare."

Mi chiudo la porta di camera alle spalle e prendo a scendere gli scalini con la stessa ansia di chi non ha idea di cosa lo aspetti. Ecco cosa mi annienta: la mia scarsa forza di volontà. Perché avere paura di rivederlo, se è, nonostante tutto, è la persona con la quale ho condiviso più esperienze? Perché nutrirsi di tale terrore sebbene io sia a conoscenza dell'enorme pazienza e dell'infinita comprensione che nutre nei miei confronti?

(Perché sta volta è diverso.)

Una volta fuori di casa, i miei sensi si fanno immediatamente più acuti. Io subito all'erta mentre i miei passi si susseguono sul marciapiede.

Probabilmente, se solo Harry mi vedesse, andrebbe fuori di testa. È un'azione azzardata e ne sono consapevole, ma la strada verso il suo appartamento si fa più lunga dal momento in cui decido di passare per il centro. Di attraversare luoghi affollati col capo chino ma gli occhi attenti. Ché, parole sue, Snake si azzarderebbe ad agire solo se certo di non avere ripercussioni. Casa mia no, con mia madre e i vicini. Troppo controproducente. A scuola neanche. L'aggressione al locale è stata pericolosa, ma in mezzo al fracasso nessuno sarebbe mai stato in grado di aiutarmi, se non fosse arrivato Harry.
L'idea di ciò che sarebbe potuto accadere ancora mi turba profondamente. L'intera situazione ancora mi sconvolge: nell'aria c'è profumo incertezza.

Arrivo a destinazione solo mezz'ora dopo. Il mento mi tremola insieme alle dita e alle ginocchia mentre salgo gli scalini del palazzo con la mente alienata. Quasi confusa. Come se non sapessi che cosa sono venuta a fare.
Come se non riconoscessi me stessa e il luogo nel quale mi trovo, sebbene io lo abbia già conosciuto abbastanza.

Abbasso il cappuccio e la guardia. Sento il cuore scalpitare violento nel costato, e i battiti accelerano e aumentano il mio desiderio di fuggire con la coda tra le gambe.

Busso tre volte contro il legno gelido della porta. Il tempo e il silenzio sono scanditi esclusivamente dai miei respiri profondi e affrettati e dalla punta del mio piede che batte ripetutamente le mattonelle del pavimento asciutto. Segue silenzio totale, per cui busso una quarta volta. Una quinta e una sesta, e poi "Harry." gracchio, con voce bassa e affranta. "Sono io. Per favore."

Per un attimo ho addirittura il desiderio di andarmene, tanto mi pare di stare ad umiliarmi. Eppure proprio lui mi ha detto che se qualcosa ti fa star bene non c'è bisogno di vergognarsene. E lui mi fa stare bene.

Deglutisco e la serratura scatta tutta d'un tratto. Indietreggio per puro impiccio dell'istinto, puntando i miei occhi acquosi sulla porta che viene lentamente spalancata.

Mi sembra di non vederlo da anni, oppure di star guardando uno sconosciuto. Lo percepisco lontano e privo della spinta vitale che lo ha sempre caratterizzato: il viso inespressivo, le spalle leggermente più ricurve, le borse più scure sotto gli occhi e le mani deboli, il sangue meno vivo dentro le sue vene.

I suoi occhi meravigliosamente verdi e accattivanti si accendono solo quando incontrano i miei. Una strana durezza si appropria dei suoi lineamenti, ma lui pare sorpreso di vedermi. Quasi incredulo e arrabbiato nello scorgermi ferma di fronte alla sua porta di casa, ora che è sera.

"Che ci fai qui?" Se ne esce, tagliente e velenoso come una vipera. I suoi occhi lampeggiano mentre si guarda intorno. "Sei venuta sola?"

"Sì." Bisbiglio mentre nascondo le mani. La sua voce è come arsenico puro: ferisce. E fa male. Fa male averlo così vicino eppure così diverso e distante. Cosa ti è successo?

Il gelo gli incupisce il viso. Si sporge verso di me solo per avvolgermi il braccio con mano forte e trascinarmi dentro casa, sbattendo la porta dietro di sé e mollandomi per passarsi le dita tra i capelli selvaggi.

Quando si volta, sono certa di vedere un ragazzo diverso e schiavo della disperazione. "Ti ho ripetuto miliardi di volte che non devi uscire da sola. Soprattutto di sera."

"Lo so." Replico senza guardarlo. L'aria odora di fumo e lacrime mai versate.

Mi muovo coi piedi di piombo solo per dargli le spalle e prendere un respiro profondo, troppo emozionata per riuscire a pronunciare anche solo una parola.

Sento Harry sospirare con le labbra serrate. "Ti ho chiesto perché sei qui."
Il suo tono serio mi fa sentire alle strette.

Osservo queste mura con gli occhi di chi le guarda per la prima o l'ultima volta, tentando di far sparire il tremore che mi scuote tutta.
Improvvisamente non me la sento più di affrontare la paura che proviamo entrambi, perché non sono della mentalità adatta per sopportare la rabbia ingiustificata che le sue parole portano con loro.

"Volevo parlare con te." Confesso quindi, voltando il capo nella sua direzione. Il suo corpo appare come quello di un titano.
È chiuso, dubbioso, quasi esitante.

"Pensavo avessi già messo tutto in chiaro."

"No." Sospiro. "Non è così."

Siamo a punto e a capo. Siamo in pieno inverno, è sera ed Harry mi sta urlando addosso per trascinarmi nella sua auto. Siamo caduti in basso. Siamo ancora lì. Lui è cupo e ferito, io fin troppo insicura.
Non andremo da nessuna parte.

"Non penso ci sia niente di cui discutere." Afferma, superandomi solo per raggiungere la cucina. Mi volto nell'istante in cui le nostre spalle si sfiorano, tentando di agganciare le dita intorno al suo polso, ma fallendo nel momento in cui lui le allontana con fin troppa aggressività.

"Se hai intenzione di continuare in questo modo non riusciremo mai ad avere un discorso serio. Ne sei consapevole?"

La testa vortica insieme a tutti i suoi pensieri. Raggiungo Harry con passo affrettato, cercando disperatamente il suo sguardo nel momento in cui si appoggia al bancone per bere lunghi sorsi d'acqua gelida. Noto, con la coda dell'occhio, le sue dita tremare appena.

"Ti chiedo di ascoltarmi."

"No." Sbotta, dopo aver schiantato il bicchiere contro il marmo ed essersi passato il calcagno della mano sulle labbra bagnate. "Non voglio sentire un cazzo. Vattene."

"Oh, no. Tu non hai capito proprio un cazzo." È l'emozione che mi fa parlare. "Non accetto che ti comporti come un bambino offeso. Non è così che si affrontano i problemi."

Mi rivolge un lungo e viscido sguardo gelido. Serra appena la mascella e i suoi occhi rilucono di rabbia ed infinite emozioni liquide.

"E tu vieni a parlare a me di come si risolvono i problemi? Con quale coraggio?" Versa altro liquido nel bicchiere in vetro, trascinandosi una mano sulla fronte mentre torna a bere. La sua è sete nervosa.

Rilascio un respiro profondo. Le sue parole mi feriscono, ma sono dettate dalla rabbia. Tento di controllarmi, di prenderlo nel modo giusto. Attaccarlo lo spingerà a difendersi nel modo sbagliato.

"Ho pensato a lungo a ciò che è successo, e ho capito una cosa." Mi avvicino di pochi passi. "Ho sbagliato nei modi. Rimango della stessa opinione, Harry, ma so che avrei dovuto ascoltarti."

"Cosa me ne faccio di questa affermazione, ora?" Si allontana dal bancone e inizia a muoversi in maniera agitata. Rimango a fissarlo con occhi attenti, quasi spaventata da suoi potenziali scatti d'ira.

"Come fai a non capire?" Mormoro. "Sto cercando di avere un chiarimento con te."

"Dopo ciò che è successo?"

Finalmente mi guarda: vorrei non lo avesse fatto, perché ha gli occhi persi e tanto, tanto delusi. Arrabbiati e feriti. Così grandi e intensi da farmi tremare le mani con forza disumana, quasi da farle sussultare cripticamente contro i palmi. Mi pento d'esser venuta: sto calpestando ciò che rimane della mia dignità.

"Mi hai detto che ti faccio schifo. Ti ho supplicata di ascoltarmi e tu mi hai respinto. Cosa è cambiato, adesso?"

"Harry..." deglutisco, disorientata. I ruoli si sono invertiti - ma non sono venuta qui per questo!
"Io non voglio che tu stia male. La droga uccide le persone. Ho agito in quel modo per paura di perderti."

"No! Non venire a fare la vittima, adesso!" Si infervora e permette a tutto il fuoco che lo anima di divampare.
"È così che fai: decidi di sentirti grande - nonostante tu sappia di non essere capace -, ti penti e poi torni sui tuoi passi piagnucolando e agendo come se tu fossi l'unica che soffre, quando non è così!"

Questo mi annienta. Venire a conoscenza dei pensieri che ha sempre nutrito nei miei confronti mi getta nella totale disperazione, soprattutto poiché non ha torto. Perché non sta dicendo cose sbagliate. E sarà la rabbia con cui le pronuncia, o la forza della sua voce graffiata, o il disgusto che emerge dai suoi gesti: rimango a fissarlo con occhi vacui.

"E sai che c'è? La colpa è anche mia. Io che ho sempre cercato di giustificarti. Pensi che non sappia di aver sbagliato? Avevo già provato a smettere prima che tu venissi a fare la paladina della giustizia, Lily. Il fatto che tu sia schifosamente fragile non giustifica i tuoi errori."

"Perché mi stai parlando così? Perché adesso? Non sono venuta per litigare."

"È qui che sbagli ancora. Tu non vuoi fare mai nulla di male. Eppure guarda dove siamo adesso!"

Sta urlando. Sta urlando e gesticolando in maniera confusa, teatrale, quasi drammatica. Il suo principale intento, adesso, è quello di ferirmi per farmi provare le sensazioni che io ho fatto provare a lui.
Io, immobile sull'ingresso della cucina e lui, lontano da me, con gli occhi a vomitarmi odio addosso.

"Ti chiedo scusa, per questo." Mormoro con voce tremante. Harry non pare minimamente smosso dal dolore che mi distorce i lineamenti, nel disperato tentativo di trattenere l'emozione.
"Ti prometto che ci lavorerò."

"Oh, finiscila." Le mie parole contribuiscono solamente a farlo arrabbiare di più. "Stai calpestando la tua dignità. Abbiamo sbagliato entrambi. Ma non accetto che tu venga qua a chiarire qualcosa che tu hai già chiarito a sufficienza. E adesso vattene."

"Non frapporre un muro fra di noi."

Mi ritrovo a supplicarlo.

"Tutto questo può essere chiarito. Non permettere all'orgoglio di avere la meglio su ciò che desideri davvero."

"Tu non sai cosa desidero davvero!" Schianta il palmo della mano sulla superficie lignea del tavolo, costringendomi a sussultare e ad arretrare precipitosamente.
"Tu non hai capito niente di me! Sei sempre a ripetere di star male, di non riuscire ad agire per paura. Pensi di essere l'unica? La tua è una sofferenza egoista. Mi sono stufato di stare dietro alle tue stronzate. Hai diciassette anni, oppure undici?"

Sembra pentirsi delle sue parole subito dopo averle pronunciate, eppure rimane in silenzio. Arraffa aria stantia per mezzo di respiri affannati e mi osserva mentre crollo in infinite schegge di vetro, ferita in maniera irriparabile: Harry non è stato solo sincero, né maleducato né offensivo. È stato cattivo.

Mentre assimilo le sue parole, una scarica di calore bollente mi attraversa l'intera epidermide.
L'umiliazione che mi ricopre non ha modo di essere descritta in maniera sufficientemente realistica: essere offesi dalla persona che più si ama è come venir pugnalati alle spalle quando meno ci se lo aspetta. Gli occhi mi si riempiono di lacrime, ma nessuna di esse scorre sulla mia pelle palpitante.

Accuso il colpo, ma non sono in grado di rispondere. Per questo abbasso lo sguardo e mi volto lentamente, portandomi una mano al viso per coprirmi gli occhi mentre esco dalla cucina con passo affrettato.

Per un attimo mi sembra di sentire il mio nome esser pronunciato alle mie spalle. Quasi spero che Harry lo abbia realmente sussurrato, ma in un attimo sono già di fronte alla porta d'ingresso e sto cercando di muovere le chiavi nella serratura quanto più velocemente possibile. Non riesco nel mio intento, tanto le dita mi tremano.

"Lily, aspetta. Lil." È con queste parole che la voce agitata di Harry raggiunge le mie orecchie. Si preoccupa di raggiungermi prima che io riesca a fuggire.

"No." Espiro, continuando a dargli le spalle. "Me ne sto andando. Non so neanche che ci sono venuta a fare."

Le sue mani si avvolgono attorno alle mie braccia con l'intenzione di trascinarmi contro di lui, ma nel momento in cui decido di voltarmi, la delusione e la rabbia sono tanto forti da costringermi a spintonarlo lontano dal mio corpo tremante.

"Non ti azzardare a toccarmi. Non adesso."

Non pronuncia neanche una parola. Si limita a guardarmi con occhi terrorizzati e quasi corrosi dalla disperazione, come se si fosse appena risvegliato da un incubo troppo reale.
E poi, "Lil." Di nuovo. "Non guardarmi così. Okay. Scusami. Non volevo ferirti."

Lo dice. Ha il coraggio di affermare una cosa simile con la faccia tosta di chi nasconde la vergogna dietro tonnellate di falsa sicurezza.

"Non volevi ferirmi." Ripeto. "È meglio che io me ne vada, prima che cominci a fare la vittima di nuovo. No?"

Nel momento in cui si avvicina, lui ha già la certezza di potersi far perdonare con un singolo sguardo: per questo arretro fin a toccare la parete con la schiena e le spalle. Ma quando Harry continua a macinare distanza, il terrore è tanto forte da spingermi a colpirlo in pieno viso - e quando il suo capo ruota sotto la forza del colpo subito, io sussulto e abbasso la testa. Completamente paralizzata. Raggelata.

Chiudo gli occhi e nascondo le mani sudate dietro la schiena, come a volermi difendere. Ma da chi? Da Harry?
Il silenzio che ci circonda è interrotto solo dai miei respiri affannosi e da quelli profondi e calcolati di Harry, che pare aver perso l'uso della parola.

Tutto questo è un disastro.
Io sono incapace di trovare un punto d'incontro con lui, perché non ho mezze misure. Non so rapportarmi con Harry nella maniera giusta. Assumo costantemente un comportamento morboso, umiliante e ingiustificabile. Perché non riesco ad agire nella maniera giusta? Perché non riesco mai a fare qualcosa di buono? Perché sono così schifosamente fragile?

Percepisco l'aria spostarsi quando Harry sospira e muove pochi passi nella mia direzione. Io che tremo e scuoto appena la testa ho ancora gli occhi bassi e il capo chino, ché mi vergogno di essere finita in questa situazione come se avessi commesso peccato. Come se non riuscissi a reggere la tensione - ed è realmente così.

Harry posa la mano aperta sul muro, a pochi centimetri dalla mia testa. Il suo calore si fa vivido quando il suo addome inizia a premere sul mio, costringendomi a stringermi maggiormente nel mio piccolo rifugio. Non sembra arrabbiato, ma paziente. Appena irritato. Eppure le sue intenzioni sembrano gentili.

Quando il suo capo si abbassa per essere alla stessa altezza del mio, il pollice e l'indice della sua mano libera avvolgono il mio mento un poco tremante. Sussurra: "Apri questi occhioni. Guardami."

Averlo così vicino si rivela annientante: i suoi occhi sono da togliere il fiato.

"E non piangere. Scusami." Sussurra.
"Sono ancora arrabbiato con te, ma avrei dovuto comportarmi in maniera diversa. Non le pensavo, quelle cose. Lo sai. Respira."

"Anche io sono arrabbiata con te." Mormoro con voce tremante. Il suo viso, talmente vicino e pacato dopo attimi di panico a rabbia, è illuminato da un piccolo sorriso amaro.
"Ma ti chiedo scusa anche io. Non volevo tirarti quello schiaffo."

È incredibile come, anche nelle situazioni peggiori, sentire il suo corpo caldo e forte a contatto col mio, abbia un effetto calmante sui miei nervi tirati. Per questo poso una mano alla base della sua schiena, esortandolo silenziosamente a farsi più vicino. I suoi fianchi premono quindi sui miei, mentre la punta del suo naso sfiora la mia.

"È incredibile." Sussurra lentamente. "Fino a pochi minuti fa ero furioso."

"Promettimi che smetterai, Harry. Per il tuo bene."

Si limita ad annuire, ché è troppo preso ad osservarmi. In maniera talmente intensa che sono tentata di abbassare lo sguardo.

"Non mi fai schifo, Harry." Continuo, posando una mano sul suo viso bollente. Lui pende dalle mie labbra. "Non l'ho mai pensato. Io ti ammiro, lo sai? Solo...ho agito nella maniera sbagliata. Permettimi di aiutarti."

Segue uno strano silenzio. Uno di quelli che ti tolgono il respiro, tanto sono rumorosi. E tale assenza di suono parla da sé: Harry che mi guarda, io che guardo lui, le sue dita gentili sul mio zigomo, il suo corpo protettivo a coprire il mio, i suoi capelli selvaggi a solleticarmi appena le guance.

Leggo nelle sue iridi la tentazione di coprire le mie labbra con le sue. Di spazzare via questo infinito dolore con un bacio. Eppure ci sono ancora così tante cose da dire che per un istante mi pare di aver parlato del nulla, di aver pronunciato cose futili e prive di significato.

Faccio scorrere dolcemente due dita sul suo labbro inferiore. Poi, con voce tremante e intrisa di infinita insicurezza, sussurro che mi manca il coraggio.
Harry si ritrova a sorridere. Scuote appena il capo, sporgendosi per avvolgere le mie labbra nella carnosità delle sue - e quando si allontana, è come se ci stessimo guardando per la prima volta.
Come se tutto fosse chiaro solo adesso che i nostri sguardi si sono ritrovati.

La sua mano destra scivola sulla mia nuca, fino ad intrecciare le dita nelle ciocche scure dei miei capelli. Lo sento. Percepisco il suo cambiamento, l'aumento dell'intensità con cui mi guarda.

"Ti amo." Mormora quindi, mostrandosi in tutta la sua meravigliosa vulnerabilità. Confessione alla quale rispondo con maggiore calore, rivelando di provare un sentimento ancora più grande.

E le sue mani coprono le mie scapole, trascinandomi contro il suo petto quando indietreggia per guidarmi con sé. Mi bacia con infinita dolcezza e il mondo intorno a noi si dissolve, passa in secondo piano.
Tutto ciò che ha importanza siamo noi e il sentimento che ci stiamo cucendo addosso coi baci, i sospiri, le mani che si sfiorano.

Non so se odio o amo sto capitolo. Nel dubbio ve lo pubblico. Sono stata super veloce: felici?
Il prossimo sarà il vostro preferito. Già lo so. Datemi tempo, voglio farlo bello intenso.

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