81: Un assaggio di Paradiso

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5 Febbraio 2004

Draco's p.o.v.

Perfino nel tumulto che è la mia mente, nel caos di dolore e paura che mi lampeggia dietro agli occhi, riesco a sentire il rumore dei suoi passi.

Sapevo che sarebbe venuta a cercarmi. Lo sapevo e lo temevo.

Lo temo.

Temo la sua pietà, la sua compassione. Temo il disgusto che leggerò nei suoi occhi, che è lo stesso che mi pervade ogni volta che penso a quel nome: quello della donna che mi ha messo al mondo, quello della pazza che ha messo a ferro e fuoco l'intera nazione... della pazza che l'ha torturata.

Bellatrix.

La mia vera madre.

Mia madre.

Un conato più forte degli altri mi scuote, ma non riesco a vomitare. Riesco solo a sentire la contrazione che sale dal diaframma, così violenta che quasi mi strappa i muscoli dalle ossa, così intensa che non riesco a trattenere un verso disumano.

È come se tutto il mio corpo rifiutasse la verità che mi è stata sputata in faccia come veleno, ma non riuscisse a disfarsene, perché non si può.

Non si può!

I brividi che mi scuotono sono incontrollabili e aumentano, la nausea aumenta a ogni passo che sento compiere a Hermione. Non posso affrontarla. Non posso affrontare il peso del suo sguardo, qualunque cosa esso contenga.

Vorrei scuotermi ma non ce la faccio. Vorrei scappare, ma i miei muscoli non rispondono allo stimolo. Vorrei morire, ma nemmeno quello sono capace di fare: stamattina non sono riuscito a convincere la mia mano a compiere il gesto semplice e banale che avrebbe finalmente privato il mondo della mia presenza.

Così attendo senza voltarmi, attendo l'ascia del boia che trancerà l'ultimo filo che mi tiene sospeso sopra il baratro della pazzia, attendo il passo che calpesterà l'ultimo, sottile guscio di consapevolezza di me che mi impedisce di essere uguale a mio padre, uguale a mia madre.

Eppure quel passo si è fermato, diversi metri alle mie spalle.

Sembra quasi che tutto il bosco stia trattenendo il respiro in attesa che il successivo risuoni in uno scricchiolio di sassi e foglie bagnate, ma non avviene.

Trattengo il fiato, e ancora non avviene.

Mi aggrappo più forte alla corteccia, ma ancora non sento il fruscio della stoffa, il tonfo dell'appoggiarsi di una suola.

Ed è come se una forza esterna a me, lentamente, mi raddrizzasse e mi facesse voltare.

Lei è lì, al centro della radura, immobile. Una bassa nebbiolina quasi invisibile le vortica pigra intorno ai piedi. È senza cappotto e il maglione verde scuro, semplice e aderente, esalta il colore delle sue iridi, accarezzando le sue forme dolci e femminili.

Contemplo per un tempo infinito ciò che ho avuto per un istante effimero tra le dita, prima che la vita me lo strappasse via. Contemplo il suo viso, atteggiato a un'espressione solenne che le dà un'aria senza tempo, i suoi occhi fissi su di me, di cui non riesco a leggere le profondità.

Ci sono mai riuscito?

Ha importanza, ora che è tutto finito?

Un leggero aggrottarsi della fronte, poi la sua mano destra, arrossata dal freddo, si infila lentamente nella manica sinistra e, con pari lentezza, ne sfila la bacchetta. Vedo i suoi occhi accarezzare con indifferenza il lungo oggetto, e mi trovo a trattenere il fiato, incapace di formulare anche solo una stupida ipotesi sul perché l'abbia tirata fuori.

After Dark - A Dramione Story #Wattys 2019Where stories live. Discover now