Capitolo 68. Voglia di riscatto

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E se diventi farfalla nessuno pensa

a ciò che è stato quando strisciavi per terra e non volevi le ali.

Alda Merini

MADISON

Sono seduta a tavola e davanti a me ho la sua schiena con qualche graffio rosso.

È impegnato ai fornelli mentre io mi beo della sua vista.

Gli ho raccontato il significato della mia collana: da piccola sono sempre stata una sognatrice come ora e tendevo sempre a distrarmi e fissare il cielo. Persino gli insegnanti mi dicevano 'Madison, smettila di guardare le farfalle'.

La farfalla che porto al collo è anche simbolo di rinascita dopo ciò che ha comportato la mia esperienza passata a dir poco traumatica sulla mia violenza psicologica e gli spiegai dettagliatamente i fatti. La farfalla è delicata ma riesce a superare intemperie climatiche fino a volare ancora più in alto di prima.

L'ho ascoltato con attenzione durante la sua di storia e ho versato qualche lacrima insieme a lui, nonostante si ostinasse a non farmi vedere i suoi occhioni rossi.

Ma io gli spiegai ciò che dissi a Stella: piangere vicino a qualcuno significa fidarsi e abbandonare le parti più intime di noi stessi per condividere non solo momenti gioiosi, ma anche fatti di dolore.

Io lo condivisi con lui, lui con me. Ora ci sento più uniti come non mai.

Lui si volta con due piatti di pasta al sugo e polpette sorridendomi e non posso fare altro che pensare a quanto sia maledettamente bello.

"Voi italiani la mangiate così la pasta, vero?" Si siede vicino a me.

"Più o meno, però ammetto che ha un aspetto delizioso".

Lui non mangia, mi guarda aspettando la mia reazione. Imbocco imbarazzata una forchettata ed emetto un mugolio di piacere. È davvero buona.

Lui nota sull'angolo delle mie labbra una macchietta di sugo e non esita a pulirla. Con la lingua.

"Hmm, hai ragione è ottima".

Si lecca il labbro e con le mie guance piene di pasta potrei aver assunto un'espressione ebete.

Mi posa un bacio sulle guance piene.

"Sono riuscito a far impostare una linea telefonica privata a cui possiamo accedere soltanto noi e il contatto di Simon, in questo modo potremo comunicare con loro senza essere scoperti".

Ormai sono circa quasi tre giorni che siamo qui e mi mancano da morire i miei amici. Non so che fine abbiano fatto.

"Chiamiamoli ora". Dico con la bocca piena.

Lui prende dalla tasca dei pantaloni della tuta un cellulare che però non è il suo senza smettere di guardarmi.

Non ho visto bene, ma credo di aver notato una mia foto come sfondo.

Poi digita un numero, alza il volume e posa il telefono sul tavolo.

Squilla e sento una voce familiare.

"Jack? Sei tu? Mi senti?"

"Forte e chiaro, Simon". Dice lui.

Lo vedo... sereno.

"Oh, sia lodato il cielo! Ma dove diamine sei finito? Noi... Dammi questo benedetto telefono, Simon. Devo parlare con lui. Jack? Jack mi senti?"

Sento la voce della mia migliore amica che si è intromessa nella chiamata e per poco non mi emoziono.

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