Capitolo 56. Perchè mi proteggi?

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Ora sono io quella che lo trascina nell'oblio con me. Sta cercando di salvarmi, ma non ancora comprende che non ho la minima intenzione di andarmene.

Se la vita non è vissuta con rischio e pericolo, sta pur certo che non si vivrà neanche la metà.

Io ho scelto il rischio, ho scelto lui. I miei amici.

E lo rifarei altre volte.

"Non sai quello che stai facendo. Fermati". Mi dice.

"I ruoli si sono invertiti o sbaglio?" Lui indietreggia ma io sono una furia affamata e mi avvicino. "Non mi vuoi più, Jack?"

Sussulta, ma rimane serio, fisso davanti a me e sta resistendo più di quanto pensassi.

"Sto solo cercando di non farti male, Madison. Non c'è spazio per questo nella mia vita. Finirei per ucciderti in tutti i modi".

"Male me l'hai già fatto" si ferma appoggiato al muro e io seguo i suoi passi. "Non respingermi, fai solo male a te stesso e la situazione è già abbastanza difficile. Non puoi impedirti di vivere, ormai so tutto di te e quello che passi ogni giorno. Io voglio stare al tuo fianco, ormai l'ho confessato a me stessa".

Gli accarezzo il collo e sento che i muscoli sono tesi, le labbra morbide strette. Il respiro ansante e gli occhi celesti adrenalinici. Al momento la vecchia Madison è rimasta in Italia.

Mi tolgo la maglietta e rimango in reggiseno.

Per la prima volta, Jack sembra essere colpito e smistato della sua espressione seria ed impassibile. E mi sta fissando il petto.

Sono appoggiata a lui e gli mordicchio il labbro, le mie dita sono fra i suoi capelli ed emetto lievi gemiti sulle sue labbra.

La stanza si muove.

Il respiro accelera.

Il mio corpo è più caldo.

Sento qualcosa sotto la schiena ma non so come ci sono arrivata.

Jack è sopra di me sul mio letto, respira con la bocca e mi inebrio della sua freschezza sul mio petto. "Sei in un mare di guai, amore".

Si toglie la maglietta e la testa inizia a girarmi.

Petto largo, spalle sensuali quanto le clavicole, addominali scolpiti e sento il fuoco. Non riesco né a pensare né a respirare. Noto la sua collana d'argento.

È elegante e rende il suo petto ancora più sexy.

Gliela sfioro con le dita e sento il contrasto freddo che ha contro il suo petto caldo. "E questa?"

Torno a guardarlo.

"Magari un giorno ti racconterò la sua storia". Prende la mia mano e l'attorciglia alla sua, fino a posarle entrambe sopra la mia testa e inizia a sdraiarsi totalmente su di me, permettendomi di respirare.

Potrebbe essere davvero mio oggi. E lo voglio come non mai.

"Perché mi stai costringendo a farlo?" Mi dice con respiri irregolari ma inebrianti.

"Voglio complicarmi la vita, altrimenti non c'è gusto" gli accarezzo il petto e lui segue il movimento della mia mano. "E non mi dispiace affatto".

Lui mi guarda dalla testa al ventre dove è appoggiato abbastanza da non farmi male e sorride maliziosamente. Vedo la fossetta e voglio baciarla.

"Sapevo che nascondevi un lato del genere. L'innocenza non ti si addice sempre, amore. Io l'ho capito dal principio". Si abbassa su di me e mi morde le labbra mentre mi guarda e spero qualcuno fermi tempo. "Credo di averti influenzata anche io. Vedi? Non puoi stare con me. Diventeresti davvero una cattiva ragazza".

Emetto dei lievi e timidi gemiti che non posso controllare e prego che mi tolga il resto dei vestiti, ma esita. Perché sta esitando? Che frustrazione.

"Ma per quanto io sia il demonio al di fuori di queste mura, per te farò un'eccezione". Si alza dal letto e si mette in pedi. Io rimango sdraiata e ansante sul materasso senza la maglietta. "Ci sei quasi riuscita, amore. Ma non sarai mia, non ancora. La cosa che mi differenzia dagli altri è che ho voglia di salvarti. Almeno da me stesso".

Ritorna per un attimo sopra di me e mi accarezza l'interno coscia guardandomi profondamente negli occhi. "Per quanto tu me lo stia rendendo quasi impossibile". Azzarda un sorriso ma io non ci vedo nulla di divertente.

Mi alzo in piedi e lo scanso da me. In realtà è lui che si sposta essendo che sono una piuma in confronto alla sua statura muscolosa. Torno in cucina e riprendo la maglietta dal pavimento indossandola, mi sento imbarazzata e su tutte le furie. La testa e le consapevolezze di quello che ho fatto tornano al loro posto e vorrei solo sotterrarmi da qualche parte senza lasciare alcun recapito.

Lui viene in soggiorno e si appoggia allo stipite della porta che dalla sala conduce alle camere a braccia conserte. "Non serve che ora metti il muso". Mi giro verso di lui dando in escandescenza. Si assapora le labbra. "Però sei alquanto dolce, mi mancava questo sapore". Mi sorride di nuovo maliziosamente, gli lancio addosso un cuscino preso dal divano di fianco a me.

"E tu sei alquanto stronzo".

Sgrana gli occhi e utilizza tutte le sue forze per non ridere ma io sto per buttarlo da oltre il centesimo piano di questo dannatissimo edificio.

"Lo trovi divertente?" Gli dico.

"Un po'".

"Allora esci di qui". Torno verso la mia stanza ma lui mi blocca il braccio. Prevedibile.

"Lasciami".

"No".

Mi dimeno. "Jacob, lasciami".

Lui mi guarda e sorridendo alza gli occhi al cielo mordendosi il labbro inferiore. "Ti prego, dillo di nuovo. Sai perfettamente che solo i miei genitori mi chiamano con il mio nome completo. È un tuo modo per cercare di possedermi?"

Non lo sopporto, Dio ma che mi passa per la testa quando penso che lo voglio?

"Smettila di fare il cretino". Continua a sorridere e per il nervoso potrei urlare o piangere.

"Smettila di fare la bambina. Lo sai anche tu che siamo due metà opposte e questa cosa sarebbe pericolosa. Sei già a rischio ogni giorno che esci di qui insieme a noi. Mi ringrazierai prima o poi".

"Perché ti importa di me o della mia incolumità così tanto?" Lo sfido.

Non risponde, si acciglia e mi guarda contrariato.

"Non lo so, ma lo faccio".

"Non puoi non saperlo".

"Singolare, vero? Allora tu perché fino a poco fa ti sei quasi denudata davanti a me?" Cerca di non cadere dalla parte del torto e, come sempre, rigira la frittata!

"Perché hai voluto che io cedessi quella sera?"

"Perché mi afferri sempre la mano quando hai paura? Sono io che dovresti temere".

"Allora non stringermela la prossima volta e non proteggermi".

"Non mettermi nella condizione di farlo".

"Tu non farci caso se ho bisogno di protezione".

"Moriresti".

"Almeno dopo aver provato a combattere, cosa che tu non vuoi fare".

"E invece rischio tutti i giorni per te, anche solo venendo qui in casa tua. O salvarti rischiando che sempre più nemici vedono quanto io tenga a te. Ma tu questo non mi aspetto lo capisca. Infatti, dovrei andare ora".

Sgrano gli occhi. "Tu tieni a me?"

Mi guarda come se volesse ammazzarsi per quello che ha detto. "Saresti morta se non avessi un occhio di riguardo nei tuoi confronti".

Torna verso la mia stanza, prende la sua maglia e si ostina ad andarsene lasciandomi insoddisfatta e confusa. Ancora più delle volte precedenti. Se dovessimo dare una definizione al nostro rapporto direi caos più completo.

Una volta rivestito, inizia a camminare verso la porta. Io non ho intenzione a rimanere imbambolata mentre me la chiude in faccia; quindi, prima che esca vado in camera mia. Sbattendo la porta. 

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