Mi avviai con strana disinvoltura verso l'ascensore fingendo nella mia mente di trovarmi ancora nel mio precedente impiego.
Non succederà nulla. Non succederà nulla. No! Chloe, non lo devi piú dire! Porta male!
Mentre attendevo l'ascensore mi resi conto di un paio di cose:
1. Non avevo la minima idea di quale fosse il piano dell'edificio che dovevo raggiungere;
2. Non sapevo, una volta arrivata al piano sconosciuto, qual era la porta da bussare.
Bene, Chloe. Come farti riconoscere anche qui.
Tornai indietro verso la reception guadagnando uno sguardo per nulla benevolo da parte di Testa Pelata n°2, o signor Coso. Com'era in realtà che si chiamava? De Santis, De Stefanis, De Luca, De...
'Signorina Rossi? Ha già terminato? Suppongo il colloquio non sia andato a buon fine. Ritenti, forse sarà piú fortunata. Buone cose. A non rivederci!' Mi congedò De Stupidis - quello era il suo nome! - facendo un gesto dismissivo con la mano.
'Lei è molto simpatico, signor Coso...' Feci per dire.
'De Sica.' Mi corresse offeso. Ah, ecco come si chiamava!
'Sì, signor De Santis-'
'De Sica, le ripeto.' Mi interruppe sull'orlo di una crisi isterica.
'Certo, certo, come desidera! Non c'è bisogno di puntualizzare ogni volta! Comunque, potrebbe essere così gentile da indicarmi il piano desiderato? Perché prima ha omesso di dirmelo...'
'Ah, che sfortuna. Pensavo avesse già terminato... Piano trentadue. Seconda porta a destra. Buona... ehm...' Fece per dire per poi bloccarsi di colpo. Sorrisi maliziosa.
'Vada, De Stefanis, lo può dire, non le farà male...'
'Buona Fortuna!' Sbottò arrabbiato. 'E sono De Sica. D-E S-I-C-A!'
'Ehi, ehi...' Alzai le mani in segno di resa. 'Si prenda una camomilla, De Luca.' E andai via lasciandolo fumante. Non è colpa mia se non ricordo i nomi...
Mi riavviai verso l'ascensore, in uno strano senso di deja-vu, e stavolta vi entrai con la consapevolezza di dirigermi al piano trentadue. Mentre le porte si stavano per chiudere, sentii una persona urlare al di là di esse.
'Signorina! Solo un attimo! Devo entrare in ascensore! Blocchi le porte! Signor...' Fece per dire, ma le porte si richiusero prima che potesse terminare la sua frase. Pazienza. Con un'alzata di spalle attesi l'arrivo dell'ascensore al piano desiderato. Chissà cosa mi attendeva. Mi iniziarono a tremare un po' le gambe. Forse non c'era nulla da temere in quel Marco Valente. In fondo cosa poteva fare? Sgridarmi o farmi lavorare fuori orario come punizione? Ok, non è che stavamo a scuola, ma comunque una remota possibilità c'era.
Piano 15.
L'ascensore si arrestò e all'apertura entrò un ragazzo, forse della mia età, con sguardo basso e blaterando un timido 'Buongiorno' sotto i baffi - non che ne avesse letteralmente.
'Buongiorno! Piacere, Chloe Rossi! E tu sei?' Gli chiesi mentre l'ascensore ripartiva.
'T-Tommaso, signorina Rossi.' Disse stringendomi la mano con lo sguardo rivolto verso il basso.
'Niente formalità, Tommaso, te ne prego. Lavori qui?'
'S-sì, signorina.' Cosa non ha capito della richiesta "Niente formalità"? 'E lei?'
'Sono qui per un colloquio col Dottor Valente.' Risposi sorridente.
'Ah.' Esclamò guardandomi finalmente negli occhi sbigottito.
'Che vorrebbe dire...?'
'N-niente, signorina Rossi.' Ancora con queste formalità! 'Allora avrà bisogno di una buona dose di fortuna...' Nella sua voce vi era un pizzico di sarcasmo. 'Oh! Mi scusi, non glielo dica al Dottore! Non volevo... lui... non ne sarebbe contento... io... la prego...' Iniziò a incespicare e a terrorizzarsi.
'Ehi, Tommaso, sta tranquillo, nulla uscirà dalla mia bocca.' Anche perché a giudicare da ciò forse il Dottor Valente non è poi così docile...
'G-grazie, signorina.'
Piano 32.
Uscendo dall'ascensore mi voltai e lo guardai per un momento.
'Tommaso, per te sono Chloe.' Lo rassicurai donandogli il mio miglior sorriso.
'Non è possibile, signorina. Al Dottor Valente non piace.' E con quelle sue parole le porte dell'ascensore si richiusero lasciandomi a bocca aperta e con la mente piena di pensieri. Un dittatore. Ecco quello che è il Dottor Valente. Gli farò vedere io chi comanda chi!
Mi avviai non più in vena di essere un agnellino verso la seconda porta a destra., Con passi così lenti che anche una lumaca ne sarebbe stata invidiosa, mi ritrovai dinanzi alla fatale porta. Non potevo sbagliarmi. L'iscrizione era chiara:
Dottor Marco Valente
CEO Office
Ok, Chloe. Respira... respira... ce la puoi fare... resp-
'De Sica, dove diavolo si è cacciata? È da quindici minuti che la aspetto! Sai che io non attendo nessuno! NESSUNO!' Sentii improvvisamente urlare dall'altro lato della porta un uomo dalla voce profonda, molto maschile, ma soprattutto molto arrabbiata.
Ennesima figura da asina! Sono già licenziata ancor prima di essere assunta! Brava, Chloe. Ora ho seriamente paura...
Bussai timidamente alla porta, avendo quasi timore di ricevere una scossa elettrica se avessi bussato con più vigore. Non ricevendo il lasciapassare bussai una seconda... e anche una terza volta.
Silenzio tombale.
Beh, non mi restava che aprirla visto che le orecchie del Dottor Valente sembravano avere dei seri problemi...
'Uhm... ehm... uhm... B-buongiorno...' Blaterai per poi sbirciare all'interno. Ancora brava, Chloe. Dov'è finito il tuo coraggio? Sembri una perfetta idiota!
'Finalmente.' L'uomo dalla voce molto profonda tuonò.
'P-posso?' Chiesi timidamente. Chloe, ma tu non sei timida, forza! Le mie gambe sembravano suggerire il contrario.
'Vuole l'accompagnatore?' Sentii rispondermi in tono sarcastico.
'Oh... uhm... ehm...'
'Se stava cercando un centro che le insegnasse a parlare, mi spiace deluderla, ma è nel posto sbagliato. Arrivederla.' Fui infine dimessa.
Ehi, Chloe, ma ti stai facendo prendere in giro! Tu non ti fai mai prendere in giro, al massimo sei tu quella che prende in giro! Voglia di giochi, Dottore? Beh, possiamo farlo in due!
'Credo di essere nel posto giusto, "Dottore", e visto che non mi ha invitata all'interno credo che lo farò da sola.' Ed entrai in quell'ufficio che si presentava in maniera semplice, con le mie pareti bianche preferite, di una grandezza media e tutto minimal come avevo già previsto. Vi era una scrivania in fondo posizionata al centro con una figura maschile, possente e immobile come una statua dietro di essa. Solo che mi dava la spalle essendo voltata verso la finestra e quindi riuscivo a scorgere solo le sue spalle e i suoi capelli, che erano mori e lunghi fino alle spalle, tirati dietro con del gel. Non girarti. Non girarti. Non girarti!
'Nessuno le ha dato il permesso di entrare e nemmeno di rivolgersi a me con quel tono, quindi le chiedo di uscire e di riprovare a essere più "cortese" ed "educata".' Disse senza degnarsi di voltarsi. Eh no, proprio non mi conosce!
'Sarò "cortese" ed "educata" quando lei sarà un "gentiluomo" e "rispettoso" nei miei confronti.' Gli risposi col tono migliore che avevo a disposizione. 'Credo che non degnare una persona di uno sguardo sia sinonimo di "maleducazione" e fa di lei la persona "scortese" in questo momento.'
Vidi le sue spalle irrigidirsi, e con un movimento lento si girò sulla sua poltrona piazzando il suo sguardo dritto nel mio. E se uno sguardo avesse potuto fulminare all'istante, beh, sarebbe stato sicuramente il suo. Mi si seccò la bocca, mi immobilizzai sul posto e non riuscii neanche a battere ciglio. Quegli occhi neri, profondi, ti entravano dentro senza chiedere il permesso, e ti costringevano a fare tutto quello che pareva loro. E quel viso perfetto con quella barba curata... Tutto di quell'uomo ti obbligava a ubbidirgli.
'Forse non ci siamo capitoli. Lei ora esce fuori e avrà due opzioni: o se ne va o potrà riprovare, con "cortesia" ed "educazione", a rientrare. Questo è il mio ufficio e questa è la mia azienda, e decido io cosa fare e come farlo. Se decido che lei deve uscire, esce. Se decido che deve sparire, sparisce. Spero sia chiaro. E si fidi, non sono mai così magnanimo. La prenda come azione di "gentiluomo".' Spiegò con voce tuonante non togliendomi per un attimo lo sguardo di dosso. E fidatevi, fu quasi il momento più imbarazzante della mia vita.
Senza perciò rispondere mi voltai per uscire e ubbidirgli come un cagnolino, quando improvvisamente qualcosa in me scattò. Ma chi cavolo si crede di essere?
'Se crede che io sia un robot che sta ai suoi comandi, beh, si sbaglia. Io sono un essere umano e in quanto tale esigo rispetto. Io le ubbidisco solo per questioni strettamente lavorative. Non si aspetti altro. Ho smesso da tanto tempo di farmi comandare dagli altri. Ho una dignità e in quanto tale va rispettata. Spero se lo metta bene in testa.' Lo guardai infine dritto negli occhi e ritrovai i suoi fissi su di me. Poi mi voltai, sentendo ancora il suo sguardo bruciarmi addosso, e afferrai la maniglia della porta. 'Arrivederla, Dottore.'