"Come aeroplanini di carta"

By ChinaNera

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Un amore sfortunato, nato in una pozza di fango, in un giorno piovoso. Un amore maturato nel tempo. Un amore... More

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[52-The End]
Ringraziamenti &... Sequel(?)^
Squel^
SEQUEL CANCELLATO^

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By ChinaNera

SEBASTIAN POV'

-Appena arriva Marco mi devi mandare un messaggio e devi portarlo nella stanza di Chiara. Non farlo uscire per nessun motivo al mondo, intesi? – chiesi, tenendole le mani sulle spalle, mentre la guardavo dritta negli occhi. Lei annuì, leggermente perplessa per l'importanza che davo ad una cosa così semplice, e andò ad aspettarlo in sala d'attesa. Avevo passato tutta la notte in bianco. Verso le due del mattino, quando tutti avevano nuovamente preso sonno, ero tornato in camera di Chiara ed ero rimasto lì fino alle sei circa. Mi ero infilato nel letto accanto a lei ed avevo passato ore intere a guardarla, accarezzandole i capelli. Ero stato il più delicato possibile e avevo evitato meglio che potevo di scontrarmi con la sua spalla e con il collo, per evitare di farle del male e magari svegliarla. Con le prime luci del giorno avevo deciso di tornare in sala d'attesa e lì ancora tutti dormivano, tranne Eva, che si era svegliata da poco, con cui poi avevo sistemato alcuni dettagli del piano. Mi diressi verso l'entrata, alla reception, per chiedere se qualcuno avesse visto il dottore di Chiara e lo trovai accanto alla macchinetta del caffè, mentre ne beveva uno con dei documenti in mano. Nel frattempo, mentre mi dirigevo verso l'uomo, le grandi porte scorrevoli dell'ospedale si aprirono, rivelandone Federico. –Salve. – salutai l'uomo, guardando con la coda dell'occhio il ragazzo che era appena entrato. Ad ogni passo che faceva verso il corridoio, che conduceva alla sala d'attesa, sentivo l'ansia aumentare esponenzialmente. Dovevo sbrigarmi. Il medico si voltò verso di me e mi sorrise. –Salve signor Stark. – disse cordialmente, gettando via il bicchiere vuoto del caffè e chiudendo la cartella che teneva fra le mani. Tolse gli occhiali e li infilò nella tasca de camice, passandosi la mano libera fra i capelli brizzolati, prestandomi la sua totale attenzione. Con la coda dell'occhio, alle spalle dell'uomo, vidi Federico finire addosso ad un'infermiera, facendole cadere di mano dei fascicoli, che si sparpagliarono sul pavimento dell'atrio. Si chinò insieme alla ragazza per raccoglierli, ciò mi dava un po' di tempo in più per parlare al medico. –Sono venuto a chiederle un favore. – dissi, andando dritto al punto. Non aveva senso perdere altro tempo. –Ho bisogno che lei tenga Federico occupato per una ventina di minuti. – dissi di fretta, guardando alle sue spalle, assicurandomi che il ragazzo non avesse finito. L'uomo mi guardò confuso, ma vedendo la mia fretta e i miei occhi che sembravano implorarlo di acconsentire alla mia richiesta, annuì. –Va bene, mi inventerò qualcosa. – disse, leggermente titubante, e dopo un veloce saluto si diresse verso il ragazzo, distraendolo e portandolo in qualche modo dalla parte opposta dell'ospedale. Sentii il telefono vibrare nella tasca dei jeans, lo estrassi e lo schermo si illuminò per una notifica di messaggio. *Marco ed io siamo da Chiara. * C'era scritto. Bloccai lo schermo e rimisi il cellulare in tasca, mentre a passo svelto mi dirigevo verso la stanza di Chiara. Nel corridoio, stranamente deserto, rimbombavano i miei passi pesanti, che si confondevano fra il piacevole brusio proveniente dalle stanze che avevano le porte aperte. Arrivato davanti alla camera della ragazza mi guardai bene intorno, assicurandomi che non ci fosse nessuno nei dintorni, ed entrai. Mi chiusi bene la porta alle spalle e mi voltai verso gli altri che, a parte Eva, mi guardavano entrambi un po' spaesati. –Il dottore lo sta tenendo occupato, ma non abbiamo molto tempo. – dissi, rivolto ad Eva, che annuì e si voltò verso Chiara. La ragazza aveva perso l'espressione confusa, si limitava a guardarmi, ignorando l'amica, con quegli occhi marroni che splendevano solo per me. –Che ci fa lui qui? – chiese Marco, con tono duro, facendomi distogliere lo sguardo da Chiara, che neanche in quel momento sembrava decidersi a togliermi gli occhi di dosso, mentre il fratello mi fissava come se volesse polverizzarmi in quell'istante. –Ieri sera Sebastian è venuto mentre dormivi e ha visto il livido che hai sul collo. – iniziò Eva, attirando l'attenzione di tutti su di lei. A quelle parole Chiara sbarrò gli occhi e allarmata portò la mano destra al lato del collo, in un riflesso involontario. Suo fratello portò immediatamente gli occhi su di lei, scioccato, e la ragazza abbassò lo sguardo sul lenzuolo, probabilmente sentendosi colpevole, quando forse l'unica colpa che aveva era di non aver detto nulla a nessuno. –Non sapendo cosa fare è venuto a parlare con me, così gli ho raccontato tutto e ha trovato un modo per liberarci di Federico. Siamo qui appunto per questo. – spiegò brevemente, e la ragazza rialzò lo sguardo su di me, leggermente titubante. A quel punto Marco, rimasto in silenzio fino a quel momento, sbottò. –Ti ha picchiata? – urlò, in preda alla rabbia, aprendo le braccia esasperato. –Quel verme ti ha picchiata e tu non hai detto niente a nessuno? Ma che cavolo hai in testa Chiara? – rimproverò la sorella, inducendola a riabbassare lo sguardo sul lenzuolo. La vidi stringere il pugno destro, conficcandosi le unghie della mano nel palmo, forse per distrarsi dalle lacrime che stava tentando di trattenere. –Non avrebbe potuto parlarne con nessuno, senza di conseguenza fare un disastro. – dissi a quel punto io. Lo sguardo di Marco si puntò su di me e mi fulminò con gli occhi. –E tu che ne sai? – chiese, avvicinandosi in modo minaccioso, a testa alta e con il petto in fuori. Se così sperava di intimorirmi sbagliava di grosso. In quel momento l'unica cosa che mi preoccupava davvero era il tempo che stavamo sprecando perché lui doveva gonfiare il suo ego e tentare di umiliarmi davanti a sua sorella. Sbuffai e scossi la testa, passandomi pollice ed indice sugli occhi. –Senti, non abbiamo tempo da perdere. Puoi per un secondo mettere da parte l'orgoglio ed ascoltarmi? – chiesi esasperato. Il ragazzo sgranò gli occhi, probabilmente sorpreso dal fatto che non fossi minimamente intimorito da lui e dalle sue provocazioni. –Voglio almeno quanto lo vuoi tu liberarmi di Federico e ho trovato un modo per farlo. Me li concedi due minuti per spiegarmi? – sbottai, attirando anche l'attenzione di Chiara, che sorpresa dal mio tono alzò le sopracciglia. Il ragazzo davanti a me sospirò e si passò una mano fra i capelli, indietreggiando di qualche passo. Sembrava indeciso se negarmi anche l'opportunità di aiutare sua sorella oppure se lasciarmi parlare. Come ci riusciva, mi chiedevo. Neanche avendo tutto l'orgoglio del mondo io sarei riuscito ad essere indeciso su un fatto come questo. Sua sorella era maltrattata da un ragazzo, io avevo trovato un modo perché ciò avesse fine, ma nonostante ciò, visto che a lui non andavo a genio, doveva prendersi del tempo per pensare se lasciarmi il permesso di parlare e provare a risolvere la situazione o no. Assurdo. –Okay, vai avanti. – disse, rassegnato, come se per lui darmi quella soddisfazione fosse un peso. –Allora Chiara. – iniziai, attirando su di me la sua completa attenzione. –Appena uscirai di qui dovrai passare un pomeriggio con lui, a casa sua. Se non sarà lui a chiederti di farlo allora glielo chiederai tu. Fa come se nulla fosse; ridete, divertitevi... fingi di... - Iniziai a gesticolare impetuosamente con la mano destra. - ...esserne innamorata. – Solo a pronunciare quelle due parole avevo la nausea. Già l'idea che lei fosse a casa sua, senza nessuno che li controllasse, mi spaventava. Era riuscito a picchiarla in un ospedale affollato senza che nessuno se ne accorgesse, chissà lontano da occhi indiscreti cosa le avrebbe potuto fare. Che poi lei ci provasse anche con lui, comportandosi come si era comportata solo con me, quell'anno, era solo un motivo in più per stare in pensiero per lei. Sapevo fin da subito che avrei passato tutta la giornata con il telefono in mano, a torturarmi in attesa che mi mandasse un messaggio, dicendomi che era tuto sistemato. –Dopo poco arriverà anche Marco e lo dovrà tenere occupato per un po'. – dissi, rivolto a lui. –Ricorda che proverà in tutti i modi a non far vedere che Chiara è lì con lui, per pura della reazione che avresti, quindi parlerete fuori casa e molto probabilmente chiuderà la porta. – asserii serio. Poi spostai lo sguardo su Chiara, concentrandomi su di lei. –A quel punto tu andrai in camera sua e cercherai la chiavetta, il dischetto o qualsiasi cosa abbia. – gesticolai distrattamente. –Appena la trovi distruggila e assicurati che non ne abbia copie. Guarda nel suo computer e se trovi altre chiavette distruggi anche quelle. – dissi. Aprii la porta e mi sporsi a guardare verso l'esterno della stanza. Per fortuna di Federico non c'era ancora nessuna traccia, ma dovevo andar via prima di fare un casino io stesso, facendomi trovare lì. –Bene, io vado. – dissi e mi voltai, uscendo dalla stanza senza aggiungere altro. Più tempo stavo lì dentro, più possibilità avevo di rovinare tutto, e non era certamente ciò che volevo. Quello che volevo era essere lì mentre Chiara se ne andava, vederla sculettare via soddisfatta, felice, e allontanarsi per sempre da quell'uomo. Ma forse più di tutto, volevo vederla felice.

***

Due giorni dopo.
-Pronta amore? – chiese Federico, accarezzandomi la guancia con il pollice. Annuii, inducendolo con disinvoltura a togliere la mano dal mio viso, e sorrisi. Grazie agli antidolorifici non sentivo alcun dolore, la ferita si era ben rimarginata e mi era rimasta solo la fasciatura avvolta attorno alla spalla, riuscivo addirittura a muovere il braccio, anche se poco. Il medico diceva che in un paio di settimane avrei potuto togliere del tutto la fasciatura e avrei ripreso la totale mobilità, il che mi dava un grande sollievo. In realtà sarei potuta tornare a casa anche due giorni prima, ma dopo che un'infermiera, sostituendomi le fasce, aveva notato il livido sul collo avevano preferito tenermi lì ancora per qualche giorno in osservazione. Non so a quale scopo visto che comunque sarei dovuta uscire di lì prima o poi e tenermi in ospedale due giorni in più, se fossi stata vittima di abusi, non mi avrebbe di certo evitato di essere picchiata una volta a casa. Dire che impedire all'infermiera di raccontarlo ai miei genitori fu difficile sarebbe un eufemismo. Se fossi potuta scendere dal letto mi sarei inginocchiata davanti a lei, ma mi ero limitata a pregarla in lacrime di non dire niente, convincendola che non sarebbe mai più successo e grazie a Dio in quel modo ce l'avevo fatta. –Ti va se questo pomeriggio vengo da te? Così passiamo un po' di tempo insieme. – proposi, stringendomi nelle spalle, cercando di sembrare più convincente possibile, e nel frattempo piegavo alcuni abiti che mi avevano portato i miei genitori, rimettendoli nel borsone, per distrarmi dal filo di bugie che stavo tessendo. Sembravo essere abbastanza convincente, o almeno lo ero ai suoi occhi. In un giorno ero magicamente diventata la ragazza perfetta, innamorata pazza, disponibile e sempre gentile. Non so con quale forza continuavo a fingere, con quale coraggio lo chiamavo amore, lo baciavo; So solo che quando lui se ne andava, finito il turno di visite, scoppiavo a piangere, esasperata, stremata da quella situazione ai limiti dell'inverosimile. –Certo piccola. – acconsentì, passandomi un paio di calzini che infilai anch'essi nel borsone. Mi chiedevo come facesse a prendere sul serio quello che dicevo, sapendo ciò che pensavo di lui. Era consapevole del fatto che mi stesse costringendo letteralmente a stare con lui, quindi come poteva pensare che le mie parole fossero reali? Come poteva fidarsi di me? Mi sottovalutava così tanto da pensare che fossi innocua? A quanto pare sì. Ciò mi faceva provare solo più risentimento nei suoi confronti e mi rendeva più complicato fingere di provare un qualche sentimento diverso dall'odio per lui. Chiusi la sacca con un gesto secco e il ragazzo se la caricò in spalla. Uscimmo dalla stanza e ci recammo in sala d'attesa, dove i miei genitori e Marco ci aspettavano per portarci a casa di Tom, a prendere la mia valigia, prima di tornare a casa. Era fuori discussione che i miei mi lasciassero restare lì dopo tutto quello che era successo, e nemmeno Federico me l'avrebbe permesso, in più il piano di Sebastian prevedeva che quel giorno andassi a casa sua, quini non sarei potuta restare comunque. Sebastian. Erano due giorni che non avevo sue notizie. Mi chiedevo appunto se sarei riuscita a vederlo, prima della fine delle vacanze di natale. Avevo talmente tanta nostalgia di lui che quasi mi sembrava surreale e mi ritrovavo spesso a piangere anche per quello. Non riuscivo a capire perché non riuscissimo a stare insieme. C'era sempre qualcosa che andava storto e in un modo o nell'altro venivamo allontanati, come se stare insieme fosse impensabile. Uscimmo in gruppo dalle grandi porte scorrevoli dell'ospedale, per poi dirigerci nell'affollato parcheggio e salire in auto. Mi sedetti fra mio fratello, che era alla mia destra, e Federico, alla mia sinistra, sui sedili posteriori, mentre su quelli anteriori avevano preso posto i miei genitori, con alla guida mio padre. Loro stranamente sembravano ignorare il fatto che stessi apparentemente con un ragazzo di sei anni in più, in tutti quei giorni non ne avevano fatto parola e nemmeno gli avevano rivolto parola. Era come se per loro fosse invisibile, non lo consideravano proprio, il che mi dava un certo sollievo. Non avrei dovuto dare spiegazioni quando, dopo quel pomeriggio, non l'avrebbero più rivisto. Nella vettura si diffuse il leggero suono della musica che aveva acceso mio padre e dei mormorii fra lui e mia madre. Il ragazzo seduto alla mia sinistra mi appoggiò una mano sulla coscia, troppo verso il mio inguine, e la strinse, mentre guardava distrattamente fuori dal finestrino. Mi morsi il labbro inferiore e allungai la mano, cercando conforto in quella di mio fratello. Appena la trovai, appoggiata accanto a me sul sedile, la strinsi, attirando la sua attenzione. Appena si accorse del modo in cui mi stava toccando Federico la stretta sulla mia mano aumentò e lo sentii sospirare. Ero perfettamente consapevole che fosse arrabbiato con me perché non avevo parlato con nessuno del livido sul collo, ma in quel momento avevo bisogno di lui, che mi proteggesse e mi desse conforto, o non ce l'avrei fatta. Appoggiò le labbra sulla mia tempia e mi lasciò un bacio, che mi diede un minimo di conforto. –Vedrai che presto sarà tutto finito. – sussurrò, stando attento a non farsi sentire dal ragazzo accanto a me, e appoggiò la testa sulla mia. –Lo spero tanto. –

***

-Vuoi qualcosa da bere? – urlò Federico dalla cucina e lo sentii aprire il frigorifero. Sembravano passati anni dall'ultima volta che avevo messo piede in casa sua, eppure l'appartamento sembrava essere rimasto lo stesso. Piccolo, buio e disordinato. Non potei fare a meno di ripensare all'ultima sera che ero stata lì, e allo stesso modo non potei fare a meno di sentirmi umiliata e ferita, mentre le immagini di lui con altre ragazze mi scorrevano davanti agli occhi. –Si, un succo d'arancia grazie. – affermai e approfittai della sua assenza per scrivere un messaggio a Marco. "Sono pronta." Digitai in fretta il testo del messaggio e lo inviai, rimettendo poi il telefono in tasca. Pochi secondi dopo sentimmo il campanello suonare. Federico, dalla stanza accanto, si voltò verso di me, aggrottando le sopracciglia. Già sapendo chi fosse mi diressi alla porta e guardai dallo spioncino, sotto lo sguardo attento del ragazzo che era rimasto fermo sulla soglia della cucina, con il mio bicchiere di succo fra le mani. Subito l'immagine di mio fratello mi apparve nitida davanti agli occhi e una scarica di adrenalina mi attraversò il corpo, consapevole che entro pochi minuti mi sarei svegliata da quell'incubo in cui ero rinchiusa da giorni. Il mio dubbio più grande in quel momento era se fossi abbastanza credibile o no. Dopo tutti quei giorni a fingere di essere innamorata di lui ero stanca di quella recita, quindi non ero sicura che sarei riuscita a far finta che la comparsa di mio fratello non fosse per me motivo di sollievo, ma che invece mi spaventasse. Nonostante ciò, il pensiero che dipendeva tutto da quell'ultima recita, mi motivò a dare il meglio di me. –È mio fratello. – sussurrai, con aria allarmata. –Se sapesse che sono qui... non voglio immaginare cosa potrebbe farti. – dissi, a bassa voce. Vidi il ragazzo davanti a me impallidire. Sapeva benissimo quanto era protettivo mio fratello nei miei confronti. Quando aveva scoperto che io e lui ci eravamo fidanzati l'aveva minacciato di picchiarlo se non mi avesse lasciata. Era convinto che lui fosse troppo grande per me e che un tipo come lui non andasse bene. Solo dopo scoprii che effettivamente aveva ragione. Mi aveva messa in guarda più e più volte sul suo conto. Continuava a ripetere che anche lui aveva avuto la sua età e che sapeva cosa si aspettava un ventunenne da una ragazza. Se solo lo avessi ascoltato invece di passare il poco tempo che avevamo per stare insieme a litigare con lui e a proteggere Federico, avrei sicuramente sofferto di meno. –Merda. – imprecò, appoggiando il mio bicchiere sulla prima superfice piana che trovò. Mi venne in contro e mi mise le mani sulle spalle, facendo un sorriso tirato come se volesse dimostrare di non essere preoccupato, mentre invece sembrava solo uno psicopatico sull'orlo di una crisi isterica. –Okay, tu va in camera mia. Io cerco di non farlo entrare. – disse, fingendo disinvoltura, iniziando a passarsi nervosamente le mani sui jeans, dopo averle tolte dalle mie spalle. Lo faceva spesso anche Sebastian quando era nervoso, e le passava così violentemente che mi stupivo di come non avesse ancora bucato quei pantaloni. Annuii in risposta al ragazzo e a passo svelto mi avviai in camera sua, mentre lui si accertava che prima di aprire la porta fossi sparita. Appena entrai nella sua stanza chiusi la porta alle mie spalle e iniziai a frugare ovunque. Guardai fra i suoi calzini, nel comodino, ma non trovai niente. Lo stesso quando guardai nell'armadio e sotto il letto. Mi guardai in torno, convinta che mi stesse sfuggendo qualcosa, e non appena vidi il portatile acceso sulla sua scrivania mi schiaffeggiai la fronte, alzando gli occhi al cielo. Era ovvio che la tenesse da qualche parte sulla scrivania. Dopo tutto che motivo aveva di nasconderla visto che non andavo mai a casa sua? Mi sedetti alla scrivania e la prima cosa che notai fu la chiavetta che mi aveva mostrato quel giorno all'ospedale, inserita nella porta USB del PC. Ne controllai il contenuto e scoprii che ci fossero più video di quelli che Federico aveva detto di possedere, ma più corti e girati più da vicino, quasi come se fosse stato davanti a Sebastian mentre stava registrando. Tornata sul Desktop, stanca di tutti quei video su Sebastian, aprii un'altra cartella, denominata "A" e davanti ai miei occhi apparvero una decina di video su Adam. Sbarrai gli occhi, inorridita e sorpresa, e uscii subito da quella cartella, rifiutandomi di guardare oltre. Aprii le altre. "E" su Eva, "S" su mia madre, alcuni video su mio padre, "L" su Luca, "T" su Tom. Aveva video compromettenti su ogni persona mi stesse intorno, su ogni persona a cui io tenessi. Al solo pensiero che mi passò per la testa un brivido mi percorse la schiena e la pelle d'oca mi increspò le braccia. Fu allora che capii che quella era una cosa molto più grande di quello che pensavamo, che Federico mi stava tenendo sotto controllo già da molto tempo. Era tutto programmato nei minimi dettagli. A quel punto feci la prima cosa che mi venne in mente. Resettai il computer e cancellai la memoria dell'hard disk, in modo da eliminare ogni traccia di quei documenti. Presi la chiavetta e me la infilai in tasca, e presi anche ogni altra chiavetta ci fosse sulla scrivania e nei suoi cassetti. Solo in quel momento finalmente riuscii a respirare a pieni polmoni, e mi sentii fuori pericolo, con il cuore leggero. Finalmente non dovevo più preoccuparmi per Sebastian. Spensi il computer e uscii dalla stanza, chiudendomi la porta alle spalle. I due ragazzi discutevano animatamente sulla soglia d'entrata e quando mi sentirono arrivare si zittirono, fissandomi entrambi in un modo strano. Mi avviai verso l'attaccapanni e mi infilai il cappotto, prima di uscire di casa, seguita da mio fratello. La cosa che più mi stranì fu il silenzio totale in cui compii quelle poche azioni, l'essere uscita da casa sua senza che il ragazzo facesse resistenza. –Aspetta, che cazzo sta succedendo? – chiese Federico, spaesato, facendo fermare me e mio fratello sul pianerottolo del suo appartamento, finalmente resosi conto di ciò che stava accadendo. Ci voltammo entrambi verso di lui, seri, impassibili. –Va a controllare il tuo Computer. –

***

Appena arrivammo a casa salii in camera senza proferire parola e mi buttai a letto, a riflettere. Che schifo, avrei dovuto passare la notte di capodanno a casa con i miei genitori. Probabilmente avremmo guardato uno di quei programmi orrendi su canale 5 e avremmo mangiato uva allo scoccare della mezzanotte, mentre ogni altro adolescente nel raggio di venti chilometri era a qualche festa o in qualche bar in centro, a divertirsi e festeggiare. La cosa che però mi dava più fastidio era il pensiero che Sebastian, che sarebbe rimasto in montagna ancora per qualche giorno, avrebbe avuto mille ragazze che gli ronzavano in torno, alla festa a cui avrebbe partecipato quella sera, e io non sarei stata lì per tenerle alla larga da lui. Decisi quindi di scrivere un messaggio ad Eva, per farle sapere che era andato tutto bene. "Il piano è andato bene, Federico ci lascerà in pace d'ora in poi, o almeno lo spero. Ringrazia Sebastian e abbraccialo da parte mia, spero che stasera vi divertiate. Buon anno a tutti, vi voglio bene. <3" Pensai che dirgli ciò che avevo trovato nel computer di Federico sarebbe stato solo motivo di preoccupazione, e visto che comunque avevo cancellato tutto anche superfluo. Gettai il telefono ai piedi del letto e affondai la faccia nel cuscino, gemendo frustrata. Perché la mia vita deve fare così schifo? Mi venne spontaneo chiedermi. Sentii il campanello suonare e non potei fare a meno di chiedermi chi fosse la persona tanto disperata da suonare alla mia porta alle dieci di sera dell'ultimo dell'anno. Mi avviai lentamente al piano di sotto, sbuffando, e almeno quella volta non inciampai per le scale. Dio sembrava aver capito che quella giornata faceva già abbastanza schifo... e forse aveva pensato di migliorarmela, perché quando aprii la porta mi trovai davanti agli occhi la cosa più bella al mondo.

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Lidia00x

Inchiostroalpostodelsangue//

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