CENTODODICI

104 4 0
                                    

Non sapere. Non poter fare niente. Dover rimanere calmo. Non far spaventare Joy.Castle si era ripetuto queste parole in testa come un mantra mentre cercava di tenere a freno i suoi pensieri che la sua fervida immaginazione di scrittore facevano andare a toccare tutti questi tasti che avrebbero aperto scenari che non voleva e non doveva prendere in considerazione. Non doveva pensare che sarebbe stata la perfetta trama per uno dei suoi romanzi, con quella ciclicità di eventi ordita minuziosamente. Non doveva pensare a scene che si sovrapponevano a distanza di poco più di 10 anni, quando uno dei personaggi cambiava solamente ruolo e da spettatore di un evento ne diventava protagonista e vittima. Non doveva, ma lo sforzo che faceva per evitare di dipingere i peggiori scenari, solo per deformazione professionale, provava a scusarsi da solo, era superiore alle sue forze e più di una volta aveva ceduto. Non era stato facile nemmeno raccontare una scusa credibile a Joy che aveva immediatamente capito che c'era qualcos'altro, anche se lui negava. Così aveva dovuto far fronte anche alla delusione e alla rabbia della bambina perché la madre aveva disatteso la promessa di essere lì con loro ed aveva tirato fuori una frustrazione che probabilmente, pensò Rick, teneva dentro da molto più tempo, perché ripeteva che quel lavoro la teneva sempre troppo lontano da lei e da loro, arrivando a dire, al culmine della sua rabbia, che per Kate era più importante di tutto.Non fu facile per Rick gestirla e nella sua mente si alternavano immagini e pensieri che gli rendevano quasi impossibili concentrarsi su Joy. Avrebbe voluto dirle molte più cose, essere più convincente e spiegare tutto molto meglio, ma non si sentiva abbastanza lucido per farlo. Anzi, era confuso, decisamente. Capiva Joy e la sua frustrazione, perché era una cosa con la quale, intimamente, doveva convivere anche lui, almeno il suo lato più bambino che la vedeva esattamente come lei, avrebbe voluto Kate sempre a casa, al sicuro, con loro, ma la sua parte più adulta e razionale sapeva che quello era solo un desiderio egoistico, che quella non sarebbe mai stata la Kate Beckett della quale si era innamorato e che non era giusto, anche se quella sera non ne era così convinto. Aspettava in maniera spasmodica una chiamata di Esposito o di Kate stessa che gli diceva che andava tutto bene, dando una spiegazione credibile sul perché non riuscivano a contattarla. Ci sperava. Non ci credeva.Era riuscito a rintracciare Martha e sperava in cuor suo che fosse abbastanza lucida per riuscire a venire al loft e stare con Joy, non voleva rovinare anche la serata di Alexis che avrebbe passato la notte dalla sua amica Tiffany. Aveva organizzato tutto per stare solo con Kate e Joy quella sera e se ci fosse stata anche Beckett sarebbe stato tutto perfetto e non quell'incubo silenzioso in cui era precipitato. Gli sembrava di affogare nelle sue paure mentre tornava a casa con Joy e faceva finta che tutto andava bene, mentre aspettava l'arrivo di Martha e quella telefonata che non arrivava.Sua madre alla fine si era presentata al loft prima di quanto pensasse ed in uno stato decisamente migliore di quello che potesse sperare, era sicuramente più lucida di lui. Non perse molto tempo a spiegarle cosa stava accadendo, le disse la stessa cosa che aveva usato come scusa per Joy per giustificare tutti quei cambiamenti di programma: Kate aveva avuto un problema a lavoro ed aveva chiesto il suo aiuto per un caso. Non era proprio una bugia, non del tutto almeno, la cosa più difficile fu dover giustificare a Joy perché se aveva chiesto di lui non poteva anche parlare con lei e qui le scuse di Castle finirono per innervosire di più la piccola: a volte si dimenticava che, nonostante la sua età, Joy proprio come Alexis era decisamente più sveglia dei suoi coetanei e non era facile che si lasciasse convincere facilmente.Alla fine fu finalmente solo, in strada, e fu come una liberazione poter sfogare la propria frustrazione senza dover tenersi trattenere per non darla a vedere ad una bambina. Esposito non lo aveva ancora chiamato ed era passata già quasi un'ora. Si fermò in un vicolo cieco e sferrò un violento pugno su un'insegna ciondolante vicino ad un cassonetto che si staccò cadendo rumorosamente a terra. Dalla porta in fondo uscì un uomo, probabilmente il cuoco del retro di quel ristorante dove doveva ricordarsi di non andare mai a mangiare data la puzza nauseante che lo investì, insieme alle sue grida ed improperi. Non se ne curò e non si scusò. Si appoggiò con la schiena al muro ed aspettò che il tipo tornasse al suo lavoro.Sentì le gambe pesanti e si ritrovò seduto a terra con il volto rigato dalle lacrime, per la prima volta pensò, sopraffatto da qualcosa che sentiva più grande di lui. Non avere notizie di Kate lo aveva fatto andare nel panico: non aveva avuto notizie negative, semplicemente non aveva avuto notizie e per lui era la stessa cosa. Sapeva perfettamente che lei, quella sera, non avrebbe rinunciato alla loro cena se non fosse stato per qualcosa di veramente importante e comunque era certo che lei lo avrebbe avvisato. Per chi come lui la conosceva bene sapeva che quel silenzio voleva dire che non poteva avvisare e questo lo faceva pensare al peggio. Rivedeva le immagini di lei in tv dopo la sua missione sotto copertura, mentre veniva portata va, ferita, in ospedale. Ripensava a quanto era stato idiota con lei e non si dava pace. Infilò una mano nella tasca della giacca e sentì quella scatolina che ora pesava come un macigno. Pensò che non esistevano momenti perfetti, che non andavano cercati ma andavano creati. Sbattè i pugni contro il muro con forza, senza quantificare il dolore ma facendosi ancora del male quando capì che era fatto di piccoli mattoni. Quante volte aveva sbattuto, si era nascosto, aveva visto muri così? Tutti i giorni della sua vita, eppure quella notte, in quel vicolo aveva un senso del tutto diverso. Sentiva ancora le parole di Kate rimbombargli nelle orecchie, quel suo disappunto sincero e quella preoccupazione celata che solo a distanza di tempo aveva imparato a conoscere quando lo rimproverava che avrebbe potuto farsi uccidere da Tisdale. Il loro primo caso insieme. Gli sembrava passata una vita, gli sembrava che Kate Beckett avesse sempre fatto parte della sua vita e che non poteva esistere una vita senza di lei. Si rese conto da solo che stava scadendo nel melodrammatico, che stava passando di pensiero in pensiero peggiorando sempre di più senza alcuna base certa se non quel sesto senso che lui diceva non sbagliasse e mai come quella volta, invece, avrebbe voluto che lo facesse.Non sapeva dove andare, non sapeva cosa fare. Poteva andare al distretto ed aspettare lì che tornassero, così si sarebbe preso una bella lavata di capo da parte di Kate e ne sarebbe stato felice. Sapeva che aveva fatto esattamente quello che lei non avrebbe voluto, che se avesse potuto dirgli qualcosa gli avrebbe chiesto di rimanere con Joy, di stare con lei. Invece lui aveva fatto l'esatto opposto, l'aveva lasciata a Martha ed era uscito, anzi era scappato, perché si trovava lui a non sapere come gestire quella situazione di incertezza e non sapeva come fare per nascondersi agli occhi attenti di quella bambina, che era già brava quasi come sua madre nello scoprire quando mentiva. Avrebbe discusso con Kate per quello, ne era certo, e sapeva che era lei ad avere ragione: cosa avrebbe fatto ogni volta che ritardava o non rispondeva al telefono, sarebbe andato nel panico? Era il suo lavoro, sapeva come funzionava, eppure non essere con lei lo rendeva molto più ansioso, soprattutto perché ora sapeva bene come era il suo lavoro e sapeva che Beckett non era una che si risparmiava. Forse glielo avrebbe dovuto dire e ne avrebbero dovuto parlare, anche se sapeva che non poteva cambiare Kate e non poteva chiederle di cambiare il suo lavoro non sarebbe stato giusto, ma non fece in tempo a continuare nei suoi pensieri perché il suono del cellulare lo interruppe e quasi lo fece cadere a terra nella foga di rispondere ad Esposito, il cui nome aveva solo intravisto nel display.- Javier, allora?- L'abbiamo trovata. La portano al Presbyterian Hospital a Lower Manhattan.- Come sta?- L'hanno stabilizzata. Ora devo andare.- Ci vediamo là.Esposito non gli aveva detto molto, si era alzato di scatto e si era quasi gettato sotto il primo taxi che aveva visto passare. Aveva detto al tassista che gli avrebbe pagato quella corsa il triplo se si fosse sbrigato ad arrivare in ospedale e fu di parola, anzi ancora di più, lasciando alcuni fogli da 50 dollari sul portamonete prima di precipitarsi fuori.Nessuno sembrava interessarsi a lui dentro il pronto soccorso dell'ospedale. Non riceveva risposte da parte di nessuno del personale a cui chiedeva informazioni, braccava ogni infermiere o medico che vedeva chiedendo di Beckett ma nessuno sapeva o voleva rispondergli. Pensò di impazzire fino a quando non sentì più chiara di ogni altro rumore la voce di Esposito chiamarlo. Si voltò di scatto e gli andò incontro.- La stanno portando dentro, l'ambulanza è appena arrivata. - Gli disse mentre le porte si spalancarono e quattro paramedici spingevano correndo una barella verso l'interno. Rick si precipitò verso di loro e riuscì a riconoscere Kate sotto la maschera d'ossigeno che le copriva gran parte del volto. Corse al loro fianco non sentendo niente di quello che i medici gli stavano dicendo, riuscendo a stringere la mano di lei. Kate aveva gli occhi aperti persi nel vuoto, ma a appena percepì il contatto con Castle si voltò a cercare il suo volto, accorgendosi solo in quel momento della sua presenza.- Ti amo Kate... Ti prego non lasciarmi. - La supplicò correndo al suo fianco. Lei chiuse gli occhi per qualche istante e Rick si sentì morire nello stesso momento stringendo ancora di più la sua mano, riprendendo a respirare solo quando lei li riaprì. - Ti prego Kate... - La supplicò ancora prima di venir fermato fisicamente da uno dei medici. Non poteva proseguire oltre, erano arrivati alla fine di un corridoio che non si era nemmeno accorto di aver percorso e sembrò protestare per quella separazione brusca, ma altrettanto lo fu la reazione di un infermiere che lo allontanò: non avevano tempo da perdere e lui stava intralciando le operazioni. Lasciò la mano di Beckett all'istante permettendo al gruppo di portarla dietro quella porta lontana dal suo sguardo. Si voltò trovando Esposito e Ryan a pochi passi da lui. Voleva sapere cosa era successo. Voleva saperlo subito.

YouthDove le storie prendono vita. Scoprilo ora