CENTOUNDICI

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Malgrado l'assenza di Kate, Rick e Joy erano riusciti a passare una bella giornata con i cavalli. Avevano fatto un giro molto più breve di quanto inizialmente previsto e poi erano tornati a casa, sperando in un arrivo tempestivo di Beckett. Che non c'era stato. Gli aveva mandato un messaggio sul cellulare nel quale lo avvisava che avrebbe cercato di liberarsi il prima possibile e male che andava, si sarebbero visti direttamente al ristorante. Cercò di nascondere il suo disappunto a Joy, ma lo sapeva che sarebbe andata così, non poteva fargliene una colpa, però veramente anche lui aveva sperato così come Joy di passare una giornata tutti e tre insieme: era una sensazione strana come ne avesse quasi la necessità. Sapeva che non era un pensiero che doveva fare, però gli sembrava che poteva finalmente avere e fare tutte quelle cose che con Meredith non aveva mai potuto condividere quando Alexis era piccola. Gli sembrava di dover rincorrere il tempo e con Kate aveva finalmente una persona che correva al suo fianco, riuscendo a tenere il ritmo di tutte le sue follie ed i suoi eccessi e mettendogli un freno per non farlo allontanare troppo quando esagerava e se lo faceva lei Rick non si sentiva costretto, anzi gli piaceva vedere il mondo da una prospettiva diversa, la sua, provare a non vivere sempre con il piede sull'acceleratore in cerca del massimo, ma riusciva con Kate e Joy anche ad apprezzare il normale e si rendeva conto che in fondo era quello che aveva sempre voluto, gli erano mancate solo le persone con cui condividerlo.Non aveva mai avuto problemi nel suo rapporto con Joy, anzi la sua sintonia con quella bambina era stata fin da subito più che ottima e se questo all'inizio lo aveva fatto convincere sempre più delle sue doti con i bambini, per vicinanza di età come gli avrebbe detto Kate più volte, poi si era convinto che non fosse per i suoi super poteri, ma era semplicemente destino: Joy era figlia di Beckett, era naturale che lui la conquistasse e lei facesse lo stesso con lui, erano i geni di sua madre che avevano facilitato tutto questo.Adesso era a tutti gli effetti suo padre e questa cosa lo emozionava un po': era una situazione del tutto diversa da quella vissuta con Alexis, la sua piccolina, una parte di lui stesso e quel legame indissolubile che si era creato dal primo momento che l'aveva vista, anzi da quando aveva saputo di lei. Joy era una conquista ed il fatto stesso che lo chiamasse papà con tanta naturalezza era il frutto del rapporto che avevano costruito, Alexis era normale che lo chiamasse così, era qualcosa di scontato, Joy no e per questo lo emozionava ogni volta. Era immensamente felice ogni volta che vedeva i suoi occhi ridenti ed era fermamente convinto che quella scelta fosse stata la cosa migliore che avesse fatto, donarle quella felicità che non aveva mai avuto, poterle dare quella famiglia che aveva solo sognato, con Kate. Lei formalmente non era nulla per Joy, eppure era lui a sentirsi spesso quello che doveva fare un passo indietro tra loro, si sentiva in dovere di lasciare che fosse Kate a decidere le cose più importanti per Joy, anche se il più delle volte, anche nelle piccole cose, il loro punto di vista coincideva perfettamente ed era lei stessa a chiedere a lui consigli e confidargli i suoi dubbi. Sentiva, Rick, che il rapporto di sangue tra madre e figlia era qualcosa di più forte di ogni carta burocratica, legge o tribunale e lui non poteva mettersi in mezzo.Era stata però la stessa Joy qualche giorno prima a porgli quella domanda che lui evitava: tu e la mamma cosa siete?Non era una risposta facile da darle, non era fidanzati, non aveva nemmeno avuto tempo per pensarci, cosa erano allora? Amanti, compagni? Come spiegarlo ad una bambina che subito dopo gli chiede perché le mamme e i papà dei suoi amici sono sposati e i suoi no.Castle sorrise, intuendo dietro i suoi occhi vispi che quella domanda nascondeva altro, e quando Rick le chiese se a lei sarebbe piaciuto che lo fossero, la risposta affermativa fin troppo precipitosa, gli fece capire che il suo desiderio era proprio quello e capì che era anche il proprio. Si immaginò in un istante Beckett sottobraccio a Jim, in abito bianco che camminava verso di lui e rimase imbambolato per qualche istante pensandoci, fino a quando non fu Joy a riportarlo alla realtà e fu quella mattina stessa che uscì insieme a lei per comprare l'anello giusto per Kate ed il giudizio di Joy sarebbe stato fondamentale. Avevano scelto un anello che forse per i gusti di Castle era fin troppo semplice, un diamante ovale su una semplice montatura in platino, che aveva subito attirato l'attenzione di Joy in mezzo a tutti gli atri decisamente più vistosi. Lui era felice di averla coinvolta e lei di partecipare, con la promessa di mantenere il segreto fin quando non fosse arrivato il momento giusto.In quei giorni quando era solo in quella che ormai era la loro camera da letto, prendeva la scatolina nascosta nel cassetto del comodino, guardando e riguardando l'anello, trovandolo sempre più perfetto per Kate, semplice e splendido, come lei. Ed il momento giusto era arrivato, così aveva deciso Rick, le avrebbe chiesto di sposarlo, proprio quella sera, davanti a Joy, perché era giusto così.Davanti allo specchio, mentre si abbottonava la camicia viola, quella preferita da Kate, era decisamente nervoso. Non perché temesse una sua risposta negativa, di quello era abbastanza sicuro o meglio, non poteva farsi carico anche di quella preoccupazione, ma perché aveva paura di cosa lei potesse pensare. Gli aveva fatto in passato più di qualche battuta sulla sua propensione al matrimonio e su quanto facilmente si fosse sposato e divorziato più volte. Qualche volta aggiungeva qualche altro numero alle sue ex mogli che lui le ricordava essere due, solo due e lei lo guardava con quell'espressione di chi voleva solo dirgli "ti sembrano poche?" ricordandogli poi che lei invece era una da una volta. Quella sola volta voleva essere lui ma temeva che lei non potesse prenderlo sul serio e non si era preparato un discorso abbastanza efficace per spiegarle che lei sarebbe stata la sua ultima e sarebbe dovuta essere l'unica. Joy sarebbe stata la testimone di quella sua promessa che faceva con una serietà mai provata prima, non per dovere, come era accaduto con Meredith o per convenienza perché sembrava la migliore cosa possibile come era stato con Gina, ma perché lo voleva, come non aveva mai voluto nulla prima d'ora.Aveva scelto un completo non troppo elegante, aveva evitato di mettere la cravatta, non adatta per quella che aveva visto essere solo una trattoria familiare e Joy si era presenta indossando orgogliosa una maglietta con scritte e strass che le aveva regalato Alexis insieme ad un paio di jeans strappati sulle ginocchia, felice di avere dei vestiti da grandi, come diceva lei. Guardandola così Rick si accorse di come quel gattino bagnato trovato meno di un anno prima era sbocciato diventando una bambina radiosa e felice e questa era senza dubbio una delle cose di cui andava più orgoglioso.Arrivarono in anticipo al ristorante di Mike rispetto a quanto avevano previsto, ma Rick aveva capito che ormai Kate non sarebbe tornata a casa, quindi preferì andare direttamente lì con Joy, sperando che anche Beckett potesse pensare di raggiungere prima il ristorante.C'erano già alcuni tavoli occupati ed un cameriere li portò al loro tavolo, il migliore a detta di Mike che li aveva raggiunti, più spazioso e più riservato. Rick gliene fu intimamente grato.---L'appartamento di David Shade era nel Queens proprio dentro Little India. Non appena era scesa dal taxi, preso dopo aver lasciato Joy e Castle, l'aveva investita l'odore di spezie insieme a quello del persistente fritto dei samosa e di altri cibi che veniva dai tanti ristoranti e chioschi della via, con quel sottofondo di musica bhangra che le aveva fatto pensare di essere stata catapultata in uno scandente film di Bollywood tra uomini con turbanti e donne con sari colorati che la guardavano chi con curiosità chi con ostile diffidenza. Vide l'auto di Esposito e Ryan parcheggiata sotto il portone del palazzo che le avevano indicato e si diresse a passo svelto verso l'entrata, una porta lasciata socchiusa nascondeva al suo interno un ascensore guasto, forse da sempre, e una scala sporca e polverosa. Nessuno avrebbe mai pensato che quel palazzo fosse regolarmente abitato e non abbandonato da chissà quanto, se non fosse per le urla, i pianti di bambini che venivano da dietro le porte con il legno rovinato dall'usura e dal tempo e dall'odore di cucina speziata ancora più forte che all'esterno. Mentre saliva fino a raggiungere il quarto piano, Kate pensava che non avrebbe mai più mangiato indiano in vita sua.- Siamo qui Beckett! - Le disse Ryan appoggiato allo stipite della porta agitando la mano mentre lei stava salendo l'ultima rampa di scale. La fece entrare nell'appartamento che non era in condizioni migliori di tutto il resto del palazzo, con scatole di cibo d'asporto sparse un po' ovunque, pochi mobili di scarsa qualità ai quali si contrapponeva una enorme scrivania sulla quale si trovavano diversi computer ed altro materiale tecnologico da far invidia ad un laboratorio informatico all'avanguardia. Proprio lì davanti su una sedia si trovava il corpo senza vita di David Shade. Erano arrivati a lui dopo aver ristretto il gruppo dei sospettati a solo due nomi, ma l'altro che avevano interrogato quella mattina, aveva un alibi più che solido. Erano quindi andati a parlare con Shade, ma avevano trovato la porta aperta ed il suo corpo in quella posizione.- Abbiamo chiamato la scientifica, saranno qui a momenti - La aggiornò Javier mentre Kate osservava l'uomo ucciso.- Un solo colpo alla nuca. Lo hanno sorpreso alle spalle da distanza ravvicinata. - Constatò osservando il foro d'entrata.- Non ci sono né segni di lotta né di scasso. O la porta era già aperta, oppure aveva le chiavi. - Aggiunse Kevin- O conosceva il suo assassino e non aveva problemi a lasciarlo girare per casa. - Concluse Kate osservando le due birre e le due scatole di cibo d'asporto a terra vicino al divano.- Brian Karn? - Chiese Esposito in quella che sembrava di più una logica deduzione alla quale la detective rispose solo con uno sguardo eloquente.- Cosa altro avete trovato su di lui? - Chiese ai due.- Non più di quanto già sapevamo. Shade però aveva trovato il modo di entrare nel sistema della polizia di New York, sapeva che stavamo indagando su di lui. - Le disse Ryan mostrandole uno dei monitor dove c'erano vari file del loro lavoro. Kate pensò che più di qualcuno della sicurezza informatica del dipartimento avrebbe passato guai molto grossi appena la notizia avesse raggiunto chi di dovere. Ecco spiegato come aveva ottenuto tutte le informazioni sulle vittime e sui loro parenti.- Non aveva un lavoro fisso, una denuncia per violazione dei sistemi informatici poi ritirata, genitori morti, ha una sorella che vive a Brooklyn. - Continuò Esposito che poi scrisse l'indirizzo su un foglietto del suo blocco e lo diede a Beckett prima ancora che glielo chiedesse. Era lei che solitamente si occupava di parlare con i parenti delle vittime e non sarebbe stato diverso nemmeno quella volta.- Io vado a parlare con la sorella, voi interrogate chi abita nel palazzo- Dubito che qualcuno ci potrà essere d'aiuto. - Rispose Esposito stizzito sentendo la continua confusione che c'era in quel luogo.- O che voglia esserlo... - Aggiunse Kate mentre se ne stava andando.- Ci vediamo dopo al distretto? - Chiese Javier- Questa sera ho una cena a cui non posso proprio mancare. Fino a quando non sappiamo con precisione causa e ora della morte non possiamo fare molto di più. Ci vediamo direttamente domani mattina, se non ci sono novità.- Ehy ma oggi non doveva essere il tuo giorno libero ragazza? - La voce squillante di Lanie sovrastò il resto dei rumori che venivano fuori dall'appartamento.- Doveva... - Rispose salutando l'amica con una visibile smorfia contrariata che produsse uno sguardo compiaciuto della dottoressa, felice che finalmente la sua amica avesse una vita normale fuori dal lavoro. Beckett tornò sui suoi passi per sentire le prime ipotesi di Lanie sulla morte del ragazzo che la dottoressa aveva fatto risalire a non più di quattro ore prima con un colpo di arma da fuoco da distanza ravvicinata. Si fermò ancora nell'appartamento, assicurandosi che la scientifica non tralasciasse nemmeno un dettaglio di quella scena del crimine, era convinta che Karn poteva aver fatto un passo falso e lei lo avrebbe trovato.A Beckett sembrava che anche il Taxi puzzasse di masala e delle altre spezie mentre si allontanava velocemente da Little India per andare a Brooklyn dalla sorella di Shade, o forse erano i suoi abiti ad essere impregnati dall'odore e si annusò più volte per accertarsi che non fosse così. Non ne era sicura. Sperò di riuscire a finire presto e di poter passare da casa almeno per qualche minuto prima di cambiarsi per andare a cena fuori.L'indirizzo di casa della sorella della sua ultima vittima in un luogo decisamente più tranquillo, una palazzina a tre piani uguale a tutte le altre che erano lì sulla via. Controllò più volte che il numero fosse corretto perché non c'era nessun nome sul citofono, ma pensò che le iniziali E.S. potessero indicare proprio la presenza di Emma Shade.Quando suonò riuscì a mala pena a sentire la voce della donna dietro il rumore gracchiante del citofono. Si identificò e l'unica risposta che ebbe fu uno scarno secondo piano percepito tra i fastidiosi suoni metallici. Mentre stava per entrare lasciò il passo ad una coppia di anziani che stavano uscendo, tenendo loro la porta e salutandoli con un sorriso che ricambiarono quasi stupiti, forse non proprio abituati a ricevere un semplice gesto di cortesia. Qui al contrario di dove viveva suo fratello l'ascensore funzionava, ma preferì salire velocemente a piedi per le scale. Bussò all'appartamento numero 4 ed aspettò che la porta si aprisse.- Buonasera detective Beckett. Ti stavo aspettando. - Quello che Kate si trovò davanti non era quello che si era aspettata e fu presa alla sprovvista, incapace di reagire tempestivamente. Brian Karn era davanti a lei e teneva ferma contro il suo petto Emma Shade minacciandola con una pistola alla tempia.- Entra e chiudi la porta. Fai solo un passo falso e lei muore. - Disse indicando con la canna della pistola la donna dallo sguardo terrorizzato che sembrava supplicarla tra le lacrime. Kate fece esattamente quello che le fu chiesto. Consegnò a Karn cellulare, pistola e manette e poi cominciò a camminare nel corridoio seguita dall'uomo che teneva Emma sempre sotto tiro. La casa era molto piccola, alla fine del corridoio c'era un unico modesto ambiente, dove da una parte si trovava il letto e dall'altra un divano con una tv. Kate non riuscì ad individuare altri elementi, perché sentì una fitta al collo e poi tutto diventò nero.Quando si risvegliò si trovò con le mani bloccate dalle sue stesse manette, sospese in alto sulla sbarra metallica del letto. Man mano che apriva gli occhi riuscì a mettere a fuoco altri particolari di quella stanza. Era arredata con vecchi mobili ma al contrario di quella di David Shade era decisamente più curata. Le tre finestre nel lato più lungo della stanza avevano delle tende ricamate e in fondo al letto c'era un tavolino circolare non tanto grande di legno marrone scuro con due sedie. Su una di queste era seduto Brian Karn intento a mangiare una mela tagliandola con un coltello decisamente troppo grande per quello scopo. La vista era ancora annebbiata ma non riusciva a trovare Emma, provò a sporsi e solo in quel momento vide a terra il corpo della donna circondato da una grande chiazza di sangue. Riuscì a trattenere un grido di raccapriccio, ma doveva aver fatto rumore con le manette mentre si muoveva, attirando l'attenzione di Karn.- Non mi serviva più. - Disse con noncuranza buttando appena uno sguardo al pavimento, prima di tornare a concentrarsi sulla sua mela.- Cosa stai aspettando, uccidimi. È questo che vuoi, non è vero? - Beckett si accorse che la sua voce era decisamente più impastata e meno chiara di quando pensasse. Non sapeva cosa le aveva iniettato, ma sicuramente stava ancora facendo in parte effetto.- Non ancora, detective. Non ancora. C'è un tempo per tutto ed ancora per te è presto.Kate si accorse solo in quel momento che sul tavolo davanti a lui c'erano due pistole ed era certa che una fosse la sua. Lo vide alzarsi prendere qualcosa che non riusciva a mettere a fuoco e poi avvicinarsi verso di lei. Una carta. L'ultima del suo gioco, il jolly nero.Si sedette sul letto vicino a lei lasciandole la carta sul cuscino e poi con il coltello accarezzò la sua guancia tagliandola appena, facendo scorrere un sottile rivolo di sangue.- Non sei curiosa di sapere perché? - Le chiese sghignazzando.- Non tanto quanto tu di dirmelo, immagino. - Non voleva fare il suo gioco. Non voleva compiacerlo. Se voleva ucciderla, che lo facesse, lei non si sarebbe prestata a giocare con lui.- Voi poliziotti siete così banali, anche quando pensate di essere geniali. Cercate sempre un motivo a tutto, una spiegazione, un perché. Fate analisi psicologiche, tracciate profili e non pensate mai che un perché a volte non c'è. È stato tutto un gioco, una scommessa. David era un povero ingenuo, ma era un genio con i computer, io l'ho sfidato a trovarmi delle persone con determinati requisiti e lui non credeva che avrei avuto il coraggio di ucciderle. Poi il gioco è piaciuto anche a lui, fino a quando non è finito e non mi serviva più. Lui, però, non sapeva che tutto questo gioco era fatto solo per arrivare a te, detective Beckett. Eri solo un agente allora, tu non ricorderai nemmeno quel ragazzo che hai ucciso durante una retata. Michael Peres, era come un fratello per me ed aveva solo 21 anni allora.- Allora non è vero che era tutto una scommessa. C'era un motivo, non sei così geniale, Karn.- Oh sì che lo sono, perché non mi avete preso. Perché siete stati dei perfetti burattini nella mie mani, ma alla fine siamo arrivati dove volevo io, anzi, è andato tutto anche al di là delle mie aspettative. C'è stato il contrattempo della Bolivia, ma quei tre anni sono stati diciamo così, formativi. Ho imparato tante tecniche nuove, ad esempio come far morire qualcuno molto lentamente... - Disse con un ghigno facendo scivolare il coltello lungo il suo torace e poi colpendola ad un fianco con un movimento veloce. Non affondò la lama in profondità ma la fitta di dolore fu forte da non riuscire a trattenere un urlo strozzato.- Non ti preoccupare, non è letale. Nessun organo è stato toccato. Ma ti stavo raccontando... Ah sì, la Bolivia... Beh, quando sono tornato sono stato felice di trovarti sempre al tuo posto, poi però c'è stato quel contrattempo... tua figlia... tu non eri così concentrata su di me, pensando alla piccola mocciosa.- Non parlare di mia figlia! - Ringhiò Kate recuperando tutto il fiato e le forze possibili, provando a divincolarsi per la rabbia. Karn rise ai suoi sforzi inutili, ma poi riprese a parlare come se niente fosse. Voleva vantarsi del suo operato.- Così ho aspettato, ma nel frattempo ti ho controllato, detective. Ho finito la mia serie, ho avuto di nuovo la tua attenzione e poi mi hai regalato questa opportunità su un piatto d'argento. Il tuo scrittore e tua figlia ti avrebbero aspettato oggi allo stesso ristorante dove tu e tuo padre aspettavate tua madre.- Quindi la tua è solo una vendetta... - Sospirò amaramente con un filo di voce mentre il dolore al fianco diventava sempre più intenso. Sapeva cosa stava per accadere e non poteva fare nulla.- Una vendetta, un gioco, uno sfidare la sorte. È tante cose.- Come facevi a sapere che sarei venuta io qui? Potevano venire i miei colleghi, era il mio giorno libero oggi.- È semplice, tu non ti saresti mai tirata indietro davanti a quanto accaduto a David, avresti voluto vedere la situazione di persona e poi... Sei prevedibile, Detective. Sei sempre tu quella che va a parlare con i parenti delle vittime, questa volta non è stata diversa. Come vedi, ho giocato, ho sfidato la sorte ed ho vinto io. - Nel dire quelle parole affondò di nuovo la lama nel torace di Beckett che ancora una volta urlò per il dolore.- Anche tua madre è stata uccisa così, non è vero? Ti piace sentire cosa ha provato? E tu, cosa provi adesso? A chi pensi?Le parole di Karn facevano più male dei colpi inferti. Le lacrime uscirono senza che se ne rendesse conto, facendola apparire ancora più fragile e indifesa agli occhi del suo aguzzino che se ne compiaceva. Stava per colpirla ancora quando sentì suonare il campanello.- Chiunque sia, tu stai zitta. Una sola parola ed uccido chiunque c'è dietro quella porta e sarà solo colpa tua.Karn andò verso l'ingresso e Kate strattonò ancora le manette in segno di stizza. Si accorse che la sbarra metallica si muoveva e mentre lo sentiva parlare con la vicina di casa che voleva sincerarsi delle condizioni di Emma dopo aver sentito delle grida. Kate scivolò a fatica verso l'angolo del letto, lasciando una scia di sangue sulle lenzuola, cercando di fare pressione dove la sbarra faceva gioco, mentre il suo rapitore provava a convincere la vicina che fosse solo il cugino di Emma e che lei era appena uscita. Mentre era quasi riuscita a togliere la sbarra, Beckett pregava che la donna riuscisse a tenerlo occupato ancora un po', ma nel contempo sperava che se ne andasse prima di rischiare troppo con le sue domande, fino a quando, proprio mentre la sbarra aveva ceduto, sentì un sibilo ed un tonfo sordo e poco dopo vide rientrare Karn la pistola in mano.- Quella donna parlava troppo! - Esclamò prima ancora di accorgersi che Beckett si era liberata e che stava brandendo la sbarra di metallo con tutta la forza che aveva. Colpì violentemente Karn alla testa, gli fece perdere l'equilibrio e cadde a terra. Kate riuscì ad alzarsi e malgrado le manette arrivare al tavolino per prendere la sua pistola, ma mentre stava per voltarsi sentì una fitta ancora più forte delle altre, questa volta la lama era entrata in profondità, fino alla fine, e fu quasi schiacciata dal peso di Brian Karn ancora intontito dal colpo ricevuto. Con gli ultimi istanti di lucidità fece fuoco più volte sull'uomo che cadde all'indietro esanime mentre le ginocchia di Kate si piegarono, respirare era qualcosa di difficile e troppo doloroso. Riuscì solo a pensare a Rick a tutto quello che gli avrebbe voluto ancora dire e non gli aveva detto e a Joy che avrebbe dovuto vivere esattamente quello che aveva vissuto lei ed avevano avuto così poco tempo per stare insieme. Pensò che Karn alla fine aveva vinto. Poi non potè più a pensare a niente.—L'attesa di Beckett si era protratta più a lungo di quanto Castle avesse immaginato. Aveva insistito con Joy perché mangiasse, ma lei si era decisa ad aspettare che arrivasse anche la mamma. Nel frattempo avevano avuto modo di parlare molto tra loro e lei aveva raccontato a Castle delle volte che l'aveva portata lì in passato e poi era stato lo stesso Mike ad intrattenerli, raccontando ad entrambi alcuni aneddoti di una Kate bambina che entrambi ignoravano. Rick colse il velo di tristezza nella voce dell'uomo quando parlò di Johanna e di come cambiò velocemente discorso quando stava per raccontare qualcosa di troppo, ma a lui non ci volle molto per capire perché quel posto era stato così importante per Kate e perché lo aveva evitato per così tanto tempo. Gli venne un nodo in gola e la necessità impellente di sentirla. Chiese a Mike se poteva rimanere qualche minuto con Joy mentre lui andava a fare una telefonata.Fece squillare il cellulare di Kate a lungo, fino a quando non cadde la linea. Decise quindi di chiamare al distretto, immaginandola impegnata in qualche interrogatorio, ma lì gli dissero che non si era vista. Scorrendo rubrica chiamò il primo numero dal quale sperava di avere delle risposte. Esposito rispose subito.- Ciao Javier, Beckett è con te? - Andò subito al sodo, senza troppi giri di parole.- No, non la vedo da questo pomeriggio, doveva andare a parlare con la sorella di Shade, pensiamo il complice e vittima di Karn, poi mi ha detto che sarebbe venuta direttamente a casa.- Non è venuta a casa e non è nemmeno andata al distretto. Ho provato a chiamarla al cellulare e non mi ha risposto. L'ultimo messaggio che mi ha mandato è di più di tre ore fa. - Disse quasi urlando al telefono concitato e preoccupato.- Merda!- Dove doveva andare Javier? - Lo incalzò- Castle tu rimani dove sei, ci pensiamo io e Kevin, ti facciamo sapere.Esposito aveva chiuso la conversazione e lui era rimasto con il telefono appoggiato all'orecchio, come paralizzato. Non poteva essere una coincidenza, lui non credeva alle coincidenze, non a queste.

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