NOVANTUNO

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Kate era partita per Santa Monica da sola. Aveva combattuto con Castle per non farsi accompagnare ed alla fine era riuscito a convincerlo a stare a casa, con Alexis, dicendogli che sarebbe stata via solo due giorni, ma aveva dovuto cedere alla sua offerta di prenderle i biglietti aerei e si accorse solo una volta arrivata al check in che erano biglietti di prima classe. Non aveva mai volato in prima classe, non sapeva nemmeno come era fatta, né tutti gli altri benefit che hai a disposizione quando viaggi lì. Lo chiamò dicendogli che era molto arrabbiata perché le aveva mentito e lui si giustificò ricordandole che non lo aveva fatto, non le aveva mai specificato che erano biglietti di economy. Doveva aspettarselo da lui. Lo ringraziò ed ogni volta che lo faceva le sembrava di non farlo mai abbastanza. Si godette la comodità di quelle sei ore di volo, nelle quali dormì per gran parte del tempo, ed anche il fatto che al suo arrivo c'era una macchina con autista ad aspettarla per portarla in hotel o dove avesse voluto. Si fece portare subito da Calvin Cooper, a Santa Monica. Arrivò nel primo pomeriggio, più riposata di quanto non era mai stata dopo un volo da una costa all'altra. Erano passati anni da quando aveva fatto quel tragitto per l'ultima volta, da quando era tornata a Stanford per prendere tutte le sue cose e non tornare più, chiudere quella parentesi della sua vita che in realtà non si era chiusa mai.

La villa di Calvin Cooper si trovava in posizione piuttosto isolata, immersa nel verde e con un grande giardino alle spalle. L'auto la lasciò proprio davanti all'ingresso del viale. Kate citofonò e una voce dal chiaro accento latino le rispose chiedendo chi fosse. Rispose senza pensare, dettata dall'abitudine.

- Detective Kate Beckett, polizia di New York.

La donna, forse allarmata, le aprì subito indicandole il percorso da fare con anche troppa solerzia. Quando arrivò sotto il portico il portone era già aperto e la donna era all'entrata e dietro di lei potè intravedere la figura di un uomo magro e alto: assomigliava decisamente tanto a Connor quando era giovane, solo con molto meno fascino.

- Detective, la polizia di New York ha molti fondi se si scomoda di mandare un suo elemento fin qua. Ma quella denuncia non era stata ritirata? - Le disse Calvin avvicinandosi mentre la domestica la faceva entrare.

- Buonasera signor Cooper. Non sono qui per quella denuncia, anche se è uno dei motivi che mi ha spinto a venire e a parlare con lei. Può dedicarmi qualche minuto del tuo tempo?

- Ma certo, mi segua.

Calvin era più giovane di Connor e i suoi modi erano molto gentili e garbati. La fece accomodare in quello che doveva essere il suo studio, una stanza vecchio stile con mobili di legno scuro, una grande scrivania, varie sedie molto lavorate con la seduta di velluto verde e tanti, tantissimi libri.

- Vuole che le faccio portare qualcosa da bere? - Chiese da perfetto padrone di casa.

- No, grazie, sono a posto.

- Di cosa mi voleva parlare, detective.

- Di suo cugino Connor.

Calvin scivolò un po' sulla sua poltrona sembrava volersi mettere più comodo di quanto non era, fece un respiro profondo e poi rilassò le spalle. Guardò Beckett incuriosito e le fece cenno con la testa di andare avanti.

- Perché Connor l'ha denunciata per aggressione? C'entrava forse la storia della figlia di suo cugino e dell'eredità? - Kate era andata dritta al punto e il giovane non si era meravigliato.

- Sembra molto interessata a questa storia.

- Lo sono. Joy è mia figlia e suo cugino non ha utilizzato metodi molto limpidi per portarla via da chi l'aveva in custodia, da... dal mio compagno. Quello che cerco, signor Cooper, sono delle prove.

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