Capitolo 29

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Il buio sembrava essere diventato il mio più grande amico ultimamente. Anche l'abitudine di svenire nei momenti più cruciali era diventata una moda per me.

Intorpidita, mi accorsi di essere legata al muro con qualcosa, che mi stringeva i polsi e sprigionava freddezza: delle catene. Per fortuna ero stata adagiata in un angolino e le catene erano abbastanza lunghe da permettermi di muovere braccia e gambe.

Quando ebbi il coraggio di aprire gli occhi, fu tutto inutile, l'oscurità persisteva ugualmente.

Misi la testa contro il muro, chiudendo nuovamente le palpebre, rimuginando sulla pietra fredda della parete.

Mi ricordai di Lucifero e di quanto avevo fatto. Non era stato assolutamente da me. Cioè, avrei potuto essere diventata più coraggiosa, in seguito a tutti quei tradimenti, ma di certo non ero così folle. Non avrei mai aggredito Lucifero, che, come re degli inferi, non era di certo incline nel perdono o nella comprensione. Ero, infatti, sorpresa di non essere già morta o sotto tortura.

In secondo luogo, non lo avrei mai fatto per Azael. Mi aveva salvato dalla sabbia, ma questo non voleva dire che era un mio alleato o che lo avrebbe rifatto.

Inoltre, non ero neppure sicura che lo avesse fatto per me. Mi aveva ingannato tante di quelle volte che ormai non gli dovevo più nulla per una vita intera.

Ancor più scioccante era ciò che era avvenuto in seguito: le mie mani avevano preso fuoco. Non credevo di poter essere in grado di fare qualcosa del genere.

Avvertii un lontano cigolio stridulo di una porta in ferro che si apriva, presumibilmente era quella della mia prigione.

Un serissimo Azael entrò con una fiaccola in mano. Fu allora che li vidi. I suoi occhi. Non mi ero accorta che, quando erano al buio, non erano dorati, bensì gialli fosforescente. E soprattutto li avevo già incontrati a Parigi.

«Il vendicatore...» mormorai fra le labbra.

Tutto mi tornò in mente: Il giorno della selezione, il ragazzo ucciso e la notte passata con Raphael. Mi venne un groppo alla gola.

Chissà cosa stesse pensando quello che un tempo era il mio miglior amico. Era un bugiardo anche lui, ma adesso sapevo oltre ogni dubbio che non era stato lui a tentare di uccidermi.

Invece Azael aveva torto e mi aveva manipolata, un'altra volta.

In quel momento il demone si inginocchiò di fronte a me. «Sapevo che eri tu a urlare, gattina. Non mi è piaciuto incontrarti per la prima volta in quel modo, ma il lavoro è lavoro.»

«Perché ricordo soltanto adesso?» Mi schiacciai contro il muro, cercando di fare in modo di lasciare un po' di spazio fra me e quella oscura creatura. Inutile dire che non funzionò.

«A quanto pare qualcuno ha fatto in modo che dimenticassi l'accaduto. Dubito che si tratti di Raphael, anche se ne sarebbe sicuramente capace.»

Lo trucidai con lo sguardo. «O magari sei stato tu! Dal momento che non aspettavi altro che uccidermi, non vedo il perché tu debba farti scrupoli nel manipolare la mia mente. E, inoltre, il fatto che sapessi che Raphael si trovasse con me quella sera, fa capire quanto tu sia colpevole.»

«Se fossi stato io, non avrei fatto un lavoro così penoso. Dei poteri demoniaci, appena accennati, hanno completamente cancellato l'effetto della pozione. Considerati fortunata che non l'abbia fatta io.»

«Avrebbe senso, se non fosse per il fatto, che io non sia una demone.» Non avrei dovuto rispondergli così sfrontatamente, lo sapevo. Dovevo avere paura di lui. Dovevo temere questa nuova realtà, che mi circondava. Eppure non riuscivo a farlo.

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