Capitolo 2

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Chanel non arrivò mai e io fui costretta a tornare a casa a una certa ora.

Proprio in quel momento partirono i rintocchi delle campane della cattedrale di Notre Dame, diffondendo nell'aria varie e molteplici sfumature di suono di diverse profondità. Mi fermai ad ascoltarle, posando il mio sguardo sul maestoso edificio, per poi decidere di entrare.

Ancora una volta rimasi colpita dalla bellezza del posto. La struttura era spettacolare ed era incredibile come quella perfezione architettonica fosse rimasta immutata con il passare del tempo.

Restai a contemplare l'immensa cattedrale per diverse ore. Ero così concentrata ad ammirare i vari particolari della chiesa che non mi ero accorta che stesse cominciando a calare la sera. Ben presto il cielo divenne buio e il posto si isolò. Dovette venire il custode, un uomo sulla quarantina e con una particolare tonalità di marrone nelle sue iridi, a mandarmi via bruscamente.

Uscendo, notai come la temperatura fosse decisamente diminuita. Il mio respiro formava una nuvoletta e ben presto le mie guance si tinsero di rosso per il freddo.

Strisciai i miei stivali lungo la strada, rendendomi poi conto della fitta nebbia, che sembrava aver ricoperto gran parte della città. Per orientarmi usai la Senna come punto di riferimento nelle vicinanze. Mentre camminavo nei dintorni del fiume, sentii un urlo, seguito da diverse imprecazioni, risate e ringhi.

Siccome non spiccavo per la mia innata intelligenza, ma per la mia forte curiosità, mi avvicinai, stando in massima allerta e con la rassicurante consapevolezza di trovarmi molto vicina a casa. In un primo momento non vidi nulla, quindi pensai di essermelo immaginato.
Camminando sempre di più verso la riva del fiume, però, intravidi tre figure massicce che ne accerchiavano una più piccola.

Parlavano una strana lingua che io non riuscivo a comprendere.

Non osai procedere oltre. Qualcosa non mi convinceva.
Mi accucciai dietro a un muretto di un piccolo ponte, uno dei tanti che caratterizzava gli argini della Senna, sbirciando la scena e cercando di non farmi vedere.
Non riuscii a capire quasi nulla della conversazione, ma la vittima pareva rifiutarsi di parlare, sebbene fosse chiaramente terrorizzata.

Una mano comparve all'improvviso sulla mia bocca, facendomi morire di paura.

«Abby, sono io,» mormorò Raphael con voce soffusa «resta qui. Qualunque cosa succeda, corri, ma non chiamare la polizia.»

Si alzò, cominciò a camminare silenziosamente verso l'altro lato del fiume e scomparve nell'oscurità della sera.

Riuscivo a vedere con difficoltà quello che stava avvenendo, poiché l'effetto creato dalla nebbia si era intensificato, aggiungendosi alle tenebre delle ore notturne.

«Adesso basta!» tuonò a un certo punto uno degli aggressori, per poi far ruotare il collo del mal capitato, dopo aver preso il suo capo fra le mani.

Ero così scioccata che non mi accorsi di stare urlando, sentivo le grida come se provenissero al di fuori da me, come se a emetterle fosse un'altra persona.

Subito i tre assalitori girarono la testa verso di me.

Il mio sguardo si concentrò su quello che aveva colpito il ragazzo.
Non lo vidi benissimo, riuscii a scorgere solo i suoi occhi: enormi, gialli e sorpresi quanto i miei.

Immediatamente cominciai a correre, attraversando il ponte e le varie vie per andare verso casa.
Lì non avrebbero potuto farmi nulla, c'erano troppi testimoni.

Sapevo che mi stavano inseguendo, così corsi più forte che potei.

L'adrenalina, causata dal mio terrore, mi stava decisamente aiutando, sebbene il mio corpo non fosse abituato a praticare quel genere di attività.

Sentivo i passi dietro di me aumentare sempre di più. Si stavano facendo man mano più vicini.
Io, però, non mi arresi.

Finalmente parte della nebbia sembrò svanire e anche il calpestio dei miei inseguitori, ma non mi fermai lo stesso. La sensazione di essere in pericolo rimaneva costante.

Quando raggiunsi casa, ero sconvolta. Pensavo che il cuore sarebbe potuto esplodere da un momento all'altro.

Andai dritta in camera mia nella speranza di non essere vista. Mi accasciai sul pavimento, dopo aver richiuso la porta alle mie spalle e averla usata come schienale, mentre riprendevo fiato.

Sentii le lacrime minacciare di uscire, ma non potevo permettermi di perdere la mia lucidità.

Sapevo che sarei dovuta andare dalla polizia a denunciare il fatto, eppure ero combattuta nel farlo, poiché, non solo non ero stata abbastanza vicina per osservare chiaramente la scena, ma non avevo neppure visto gli altri due individui in volto. Inoltre, ero troppo spaventata per poter rivelare a qualcuno dell'episodio a cui avevo assistito.
Il trauma era troppo recente.
Raphael stesso mi aveva detto di non farlo e lui non era di certo uno degli aggressori, sebbene fosse diventato davvero meschino.

Avevo troppi pensieri che mi assillavano e la confusione martellava in modo costante nella mia testa. Ero piena di dubbi.
Infatti io non conoscevo più Raphael così bene da poter garantire totalmente per lui.

Presi il mio cellulare.
Dovevo chiamare per il bene di quel ragazzo.

La polizia non sembrò sorpresa, mi ringraziarono per la mia collaborazione e il tutto finì in fretta.
Era sembrata una normalissima routine per loro, eppure io ero ancora scioccata.

Decisi di fare una doccia, per cercare di rilassare i nervi.
Stetti sotto l'acqua bollente per un'ora, ma non riuscivo a venirne a capo.

Perché diavolo ero stata così stupida e non avevo fatto anche il nome di Raphael? Lo avevo proprio omesso dalla mia dichiarazione.

E se fosse un complice?
In quel caso non sarei rimasta in silenzio. In sostanza poteva benissimo esserci una spiegazione logica.
Magari la situazione non era così grave, come era sembrata a me.
Tuttavia non dovevo giungere a conclusioni affrettate.

In tutta questa confusione, possedevo solo una certezza: avevo bisogno di dormire.
Scelsi di rimandare il problema al mattino dopo. Se Raphael non fosse venuto a darmi le sue spiegazioni, avrei richiamato il commissariato.

Mi diressi in camera con il corpo avvolto in un asciugamano profumato e, dopo aver indossato il pigiama, mi sdraiai sul letto, cadendo in un sonno profondo.

Stavano accadendo troppi avvenimenti strani e tutti in un solo giorno. Forse era davvero solo stress ed era la mia stessa mente a provare a trarmi in inganno.

Quella notte ebbi una strana sensazione, per un breve istante sentii le lenzuola svolazzare attorno al mio corpo.
Probabilmente Leslie, mia sorella minore, aveva lasciato le finestre aperte.

Per qualche attimo ebbi la sensazione di essere osservata.

SWANWhere stories live. Discover now