Evelin- la ballerina

1.2K 134 90
                                    

Non sapevo che cosa Marianne e Carlo stessero dicendo, ma dall'espressione sul viso dell'uomo potevo percepire che si trattasse di qualcosa di molto triste da riportare a galla.

<<Mi parli di Evelin, Carlo. Mi dica che cosa ricorda di lei.>>

Carlo ebbe un altro attimo di esitazione, poi sorrise.

<<L'avevo conosciuta qualche anno prima, a Valenza. Sarà stato il 1976, o giù di lì. Era davvero soltanto una ragazzina, allora. Non aveva neanche diciott'anni. Ma era già di una bellezza totale, disarmante, se mi capisce. Ricordo i suoi lunghi capelli biondi, gli occhi verdi, brillanti, profondi. Quando entrò nella mia oreficeria per la prima volta era incinta, e mio figlio, Edoardo, aveva all'incirca quattro o cinque anni. All'epoca aveva dovuto prendere un periodo di pausa dalla danza a causa di quella gravidanza, ma aveva certi altri impegni di lavoro a Torino, da qualche parte. Il Regio era un gran teatro, sapete, in un'epoca in cui la gente amava davvero il teatro. Qualcuno le aveva parlato della città degli orafi, Valenza, e così lei aveva deciso di visitarla, spinta dalla curiosità. Era entrata nel mio locale, si era guardata intorno, poi aveva comperato qualcosa. Alla fine, era rimasta a parlare con me per un bel po'. Mi faceva tenerezza, perché avrebbe potuto essere mia figlia, eppure aspettava già un bambino.>>

Marianne mosse le labbra, si avvicinò un po' di più a Carlo, mi guardò.
La sua espressione stava cambiando. Anche Ryan sembrava incuriosito.

<<Quindi ha conosciuto Evelin nel 1976, all'incirca. Dieci anni prima della fabbricazione di quei ciondoli.>>
<<Sì, più o meno sì.>>
<<E poi? Che cosa è successo in seguito? Come mai vi siete rivisti?>>
<<Perché per qualche ragione, si era trovata molto bene in Piemonte. E tra di noi si era instaurato in poco tempo un rapporto stupendo di cortesia. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, ricordo con piacere quel periodo. Anche mia moglie Rosa era entrata in sintonia con lei. Forse perché da sempre amante della danza classica, e del teatro, e di cose così. Sapete, Valenza era un posto tranquillo. La città degli orafi, per l'appunto. Quante oreficerie, allora! Molte più di quando sono andato via. E temo molte ma molte più di oggi, miei cari. Laggiù, sapete... non capitava mai di incontrare qualcuno che non avesse a che fare con l'oro o con affari simili, in qualche modo. Ma Evelin...>>
Si fermò, abbassò gli occhi, poi guardò sua moglie Rosa. <<Evelin era diversa. Lei era una ballerina, capite? Una ballerina famosa. Un'americana. I giornali parlavano dei suoi spettacoli, la stampa tesseva le sue lodi. E lei girava il mondo, di teatro in teatro. Ci rendemmo conto di essere di fronte ad una ragazza davvero speciale. E a diciassette anni aspettava già un figlio.>>
<<D'accordo. Quindi si era instaurato un rapporto che si potrebbe definire di amicizia tra voi? Tra lei, sua moglie ed Evelin?>>
Carlo annuì con la testa.
<<Direi di sì. In modo del tutto naturale, e per volontà sua. Era come se con noi si fermasse volentieri a parlare, mentre il mondo che la circondava correva, a tutta velocità. E infatti, qualche anno dopo quel primo incontro, tornò a trovarci.>>
<<Quanto tempo dopo?>>
<<Un paio di anni, direi. Tornò da sola. Aveva uno spettacolo a Torino, e si fermò a Valenza per un paio di giorni. Fu ospite a casa nostra, e Rosa preparò la cena per tutti. Trascorremmo una bella serata insieme. La sera seguente, ci invitò a teatro, e presentò a mia moglie l'intero corpo di ballo. Ti ricordi, Rosa?>>
<<Non potrei mai dimenticarmene>> rispose la moglie, con un sorriso sulle labbra. Pur non comprendendo le sue parole, per qualche ragione l'espressione della donna mi sembrò nascondere qualcosa. Come un velo di tristezza.
<<Tornò altre volte a trovarvi, in seguito?>> domandò Marianne.
<<Oh, sì. Ogni volta che per lavoro doveva essere a Torino, lei passava da Valenza. Diceva sempre che non aveva tanti amici, nonostante il successo, e che parlare con noi, trascorrere del tempo in nostra compagnia, la faceva sentire bene. E parlava un italiano perfetto, oltre a diverse altre lingue. Era una ragazza straordinaria.>>
Carlo si interruppe, e ci domandò se volessimo mangiare o bere qualcosa.
<<Siamo a posto. Abbiamo appena pranzato. Ma grazie, davvero. Che cosa accadde in seguito? Cosa accadde nel 1986?>>

Lui esitò, scosse la testa, si guardo le mani. Erano le mani di chi aveva vissuto la vita lavorando. Grosse, segnate, rugose. Le mani di qualcuno che non si era mai fermato.

<<Era una sera d'estate. Riesco a vederla ancora adesso, mentre apre la porta della mia oreficeria e, tenendo per mano un bambino, entra camminando verso di me.>>
<<Suo figlio?>>
<<Già. Evelin entrò nel mio locale, mi sorrise ma io capii subito che in lei sembrava esserci qualcosa di diverso. Ormai la conoscevo da dieci anni, e sono... sono sempre stato abbastanza bravo a leggere negli occhi delle persone, sapete? Forse è per questo che adesso sto parlando con voi. Perché anche voi, in un certo senso, mi ispirate fiducia.>>
Marianne sorrise, gli appoggiò una mano su un braccio e lo ringraziò. Carlo continuò a raccontare.
<<Comunque, Evelin mi raggiunse, mi abbracciò, e poi mi presentò suo figlio. Un bel bambino di dieci anni.>>

<<Vieni, vieni. Saluta Carlo>> disse.
Il bambino mi strinse la mano, sorridendo.
<<Digli come ti chiami>> disse Evelin.

Lui esitò, quindi, sottovoce, si presentò.

<<Ray>> sussurrò, <<mi chiamo Ray.>>

Marianne sospirò, poi chiuse gli occhi e guardò prima me e poi Ryan.

Avevo capito soltanto la parola "Ray", ma non c'era bisogno di altro.

Eravamo nel posto giusto.

<<Poi, dopo che ebbi salutato il figlio di Evelin, stavo per domandarle come stesse, quando all'improvviso, da dietro le sue spalle, fece capolino un altro bambino. Strinse la mano della mamma e mi guardò.>>
<<Un altro bambino?>> chiese Marianne, spalancando gli occhi.

<<Sì. Un bambino identico a Ray. Un fratello gemello.>>

La ballerinaWhere stories live. Discover now